Gallipoli. La festa di S. Cristina compie 145 anni, ma molti di più la devozione popolare

di Gino Schirosi

Dopo i patroni ufficiali S. Agata e S. Sebastiano, dopo l’acquisito compatrono S. Fausto, Gallipoli gode anche dell’ausilio di S. Cristina, nostra coprotettrice da quasi un secolo e mezzo. La giovane santa nata a Roma nel 270 fu martirizzata ventenne il 24 luglio 290, imperante Diocleziano, ma a lei si riconduce persino il miracolo dell’Ostia sanguinante che nel 1264, con Bolla papale, diede origine sia alla festività del “Corpus Domini” sia all’edificazione del superbo Duomo della vicina Orvieto che tuttora custodisce la prova visiva del lino insanguinato nel misterioso e sovrannaturale episodio di Bolsena (PG).

Accadde cioè che nella cappella dedicata alla martire sull’isola Bisentina, dinanzi alla pesante lastra di pietra (oggi pannello d’altare), con la quale la giovane fu legata e gettata nel lago per risalirne a galla incolume ed essere infine barbaramente uccisa, si verificò il fatto straordinario del “Corpo Mistico” che sanguinò tra le dita tremanti di uno scettico sacerdote boemo.

Santa Cristina di Nicolas Régnier (1590-1667)

Per S. Cristina è nota la devozione del popolo gallipolino. Ne è testimone, nella chiesa di S. Maria della Purità, la leggiadra statua, oggetto di culto e somma venerazione, opera mirabile di “felicissima interpretazione”, commissionata col contributo di devoti. Fu realizzata a grandezza naturale dal cartapestaio leccese Achille De Lucrezi nel biennio 1866-67, peraltro nel rispetto dell’agiografia della giovane martire di Bolsena. La sacra effigie, rispettosa della storica vicenda tratta dal Martirologio Romano di Cesare Baronio (1600), rappresenta la santa legata ad un albero e trafitta dalle frecce, mentre un Angelo le porge la corona di santità e la palma del martirio.

Il bellissimo simulacro, giunto da Lecce la sera del 22 luglio del 1867, fu esposto nella cappella nel largo Canneto ed il giorno successivo (secondo la testimonianza di don Serafino Consiglio, citata da don Sebastiano Verona) fu benedetto in Cattedrale, dopo di che “si fece una gran festa con musica, panegirico e processione” per essere traslato nella chiesa confraternale della Purità, dove tuttora viene amorevolmente custodito per celebrare ogni anno la solennità della santa. Questa statua, nel corso dei suoi 145 anni di storia, ha dovuto subire due interventi di restauro, il primo per un incidente fortuito dovuto a disattenzione (nel 1962 incappò in un filo metallico aereo e si spezzò in due), il secondo di carattere estetico (realizzato dall’aletino Valerio Giorgino).

Il 23 luglio 1868, primo anniversario della fine del colera, che per tutta la cittadinanza fu vissuta come un’autentica liberazione, iniziò canonicamente, giusta la tesi di Albahari, il vero culto con la prima processione ufficiale in onore della santa martire, pressappoco col medesimo rituale liturgico dei nostri giorni, fatta salva la festa civile man mano trasformata in sostanza in fiera paesana e popolare.

Alquanto particolare ed interessante la storia di tale festività. Sin dal 24 ottobre 1865 per istanza presentata dai fedeli e devoti, ma pure dai confratelli della “Purità”, in effetti ci fu la prima cerimonia liturgica per devozione alla martire di Bolsena, allorché, ottenuto, a seguito d’istanza al Comune (29 giugno 1867), persino il possesso della cappella di S. Cristina con l’obbligo di ricostruire l’altare e riattivare il culto, la Confraternita diede ufficialmente avvio alla solenne celebrazione.

La santa in verità è stata da subito riconosciuta come la coprotettrice di Gallipoli a ragione del miracolo secondo cui proprio per sua intercessione cessò la diffusione del colera che coinvolse anche la città nel 1867, mietendo indicibili sofferenze e provocando 167 vittime dal 20 febbraio sino al mese di luglio, lutti che invero colpirono parimenti tutto il meridione d’Italia da Napoli al Salento con migliaia di morti. Alla santa difatti la credenza popolare ha attribuito da subito il miracolo straordinario della fine dell’epidemia che coincise proprio con l’inizio del triduo di funzioni religiose in suo onore. Anzi la leggenda riporta persino che testimone del miracolo fu un cagnolino: pacificamente accovacciato nella cappella si vide uscire di corsa allo scoppio dell’epidemia e poi rientrare quando il pericolo era cessato insieme alle fervide preghiere ed alle invocazioni dei fedeli. E non a caso proprio il cagnolino è effigiato ai piedi del simulacro della santa, anche come emblema di sicura fedeltà e protezione della martire per la città e per i cittadini a lei devoti.

Fu appunto a seguito di quel prodigioso e fausto evento che, alla vigilia della sua festa, nel 1867 giunse da Lecce il bellissimo simulacro del De Lucrezi, il quale, secondo il Verona, ha dotato all’effigie della santa l’espressione tipica di Guido Reni per gli occhi sognanti rivolti in alto. Da quella data ebbero inizio ufficiale i grandiosi ed eccezionali festeggiamenti religiosi che solo dall’anno successivo si arricchirono della prima solenne processione, così come annualmente tuttora avviene in una variopinta e variegata cornice fieristica fantasmagorica, rallegrata non solo da cuccagna a mare, ma pure da bancarelle, luminarie, bande musicali e spettacoli pirotecnici con un folto concorso di pubblico di fedeli, visitatori e turisti, provenienti non solo dalla provincia, felici di partecipare ad un singolare evento tra musiche, odori e sapori per tutto il corso Roma.

Sacra Famiglia con S. Cristina da Bolsena (Polidoro da Lanciano)

La festa gallipolina (23-24-25 luglio) ha oggi al centro delle manifestazioni religiose la processione per mare lungo il periplo delle mura urbiche e per le vie cittadine anche del Borgo, ad iniziare dal Corso Roma attraverso la festosa e allegra galleria che si illumina proprio al passaggio della santa. Nel novero delle costumanze civili è pure da ricordare la gastronomia incentrata su un menu particolare preparato con tubettini al sugo di cernia giusto il giorno della festività, in cui il bagno dei gallipolini veraci si fa in mare, seppure calmo, con meticolosa prudenza, perché, come si tramanda tra le credenze popolari, “Santa Cristina porta la steddha” (a ricordo della morte di un ragazzo, figlio undicenne dei gallipolini Carlo Ricci e Lucia Indelli, annegato nelle acque di Gallipoli il 24 luglio nel 1807).

Dunque di un singolare culto popolare gode dal 1868 S. Cristina, venerata e celebrata nella chiesa di S. Maria della Purità e nella cappella omonima sita sulla banchina-est del seno del Canneto. Tale culto per la santa romana in verità è nato storicamente nella cappella di S. Cristina e si è sviluppato poi definitivamente nella chiesa della Purità dopo essere provvisoriamente transitato per la chiesa del Canneto.

Qui una tela a lei dedicata s’incontra alla terza arcata a sinistra prima della zona del presbiterio al posto dov’era l’altare laterale: raffigura S. Cristina nell’atto del suo martirio, opera forse dei primi del ‘700, attribuibile quindi a scuola giordanesca, ossia dopo che i danni subiti dalla vicina cappella omonima avevano indotto già da tempo a trasferire qui la devozione per la santa.

La presenza di questa antica cappella, letteralmente esposta a tutte le intemperie in un sito del tutto isolato fino ad un secolo e mezzo fa, fuori dalle mura dell’isola abitata, ha un indiscusso significato di fede e pietà popolare. Ma anche il culto per la martire romana immolatasi per difendere il proprio credo, con la solenne festività religiosa e insieme civile la più importante della città, dimostra quanto sia stata sentita negli anni e nei secoli trascorsi la profonda devozione del popolo gallipolino per la giovane e bella santa così intensamente amata.

Santa Cristina, del Guarino

Non è dato tuttavia sapere quando, dove e come vadano ricercate le ragioni dell’origine di una così speciale venerazione. Probabilmente potrebbe essere d’ausilio a giustificazione la particolare “simpatia” dei gallipolini non solo per la Madonna sotto i suoi vari titoli, ma anche per le giovani sante più familiari, come Agata, Lucia, Cecilia, Teresina, Chiara, in verità non quanto la stessa Cristina a cui è riservata la maggiore festa popolare dell’anno.

La cappella inizialmente sorgeva addirittura sugli scogli, oggi coperti dalla banchina orientale del porto peschereccio. Seppure non perfettamente allineata in parallelo al lato di costa, guarda largo Canneto (oggi piazza A. Moro) al centro di un pittoresco e scenografico angolo della città, dove,  nel seno di mare popolato di natanti, si affacciano le mura medievali, la città vecchia, il ponte secentesco, il castello e il rivellino di fronte all’antica fontana e a quello che è oggi il Santuario.

Se dal punto di vista architettonico è irrilevante, ha però segnato, nella precarietà dove è sorta, una testimonianza vivente della profonda devozione popolare gallipolina. Probabilmente potrebbe essere del ‘500, più che del sec. XIII o XIV (come asserisce il can. Francesco D’Elia in un suo scritto del 1899), sebbene non se ne conosca la data precisa di edificazione, ma è attestato che per tutto il XVII sec., abbandonata per inagibilità a causa dei marosi cui era direttamente esposta, è rimasta chiusa al culto.

Le prime notizie ufficiali si riferiscono difatti alla visita pastorale di mons. Pellegro Cybo che nel 1567 la descrive priva del tetto e dell’altare. Fu rimessa immediatamente in sesto nel 1576, ma dopo circa un secolo, nel 1660, mons. Montoya non ne fa cenno e così pure lo stesso mons. Filomarini nel 1715. Da ciò si potrebbe dedurre, con Albahari, che la cappella, “abbandonata, sconsacrata, restaurata e restituita al culto”, più volte sia rimasta chiusa per un indefinito lasso di tempo a ragione dei danni di continuo subiti dalle mareggiate, stante la precarietà del fabbrico edificato proprio sulla scogliera a contatto dei marosi, specie in tempi in cui non esistevano banchine, moli di difesa e frangiflutti.

Nelle more dell’assenza del culto, la venerazione della santa si dovette trasferire nella chiesa del Canneto, presso un nuovo altare a lei dedicato col dipinto raffigurante la santa. Dopo un ulteriore lungo periodo di abbandono e degrado, nel 1865 fu dunque riaperta al culto con conseguente aumento della devozione del popolo gallipolino verso S. Cristina, specie in occasione e a seguito della sua intercessione che, nella credenza popolare, risultò efficace a porre fine al colera che colpì gli abitanti e infuriò sulla città nell’estate del 1867.

Su precisa istanza della Confraternita di S. Maria della Purità il Comune, in virtù del diritto di proprietà riveniente da antichi privilegi al Primiceriato (l’attuale Demanio), le aveva già affidato la cura dell’edificio cagionevole con l’impegno di un canone annuo di L. 21,25 nonché il diritto di tutelare e conservare il culto della martire di Bolsena.

La cappella venne intanto restaurata ed arricchita di una statua in cartapesta in un’edicola lignea sull’altare con la bella effigie della giovane martire ritratta così come ventenne morì il 24 luglio 290, ovvero legata ad un palo e trafitta dalle frecce del suo supplizio. È la medesima rappresentazione iconografica che pure si legge sulla parete di sinistra, in una nicchia dorata che su scala modesta riesce a ritrarre e riprodurre la copia di un prònao, ovvero un tronetto dall’architettura composita di decori, entro cui è collocata un’altra statua della santa, di minori proporzioni, assai più graziosa e famosa, in quanto collegata col noto fatto miracoloso dell’800 e quindi oggetto di devozione. Sono le medesime testimonianze cittadine, invero ben poche, esistenti in altre chiese in cui la santa è sempre raffigurata nella sua giovanile bellezza non senza i segni del martirio e la presenza del cane: fra tutte da menzionare la statua in S. Maria della Purità (De Lucrezi), la tela nel Santuario del Canneto (anonimo) e l’altra in S. Maria degli Angeli (Forcignanò).

Sicché, a fare inizio dal luglio 1868, per eccezionale concessione della Santa Sede alla Confraternita, fu a questa formalizzato il privilegio esclusivo di celebrare ogni anno l’Ufficio sacro in onore della Vergine di Bolsena con solenne e sontuosa processione per l’intera città e persino per mare in partenza dal porto e lungo il litorale sud con la partecipazione di autorità religiose, civili e militari. Dato per scontato il calendario liturgico caratterizzato soprattutto da molteplici celebrazioni eucaristiche, intenso è il tipico programma civile che, preparato da un apposito gruppo di lavoro, per i tre giorni di luglio si svolge sempre con le medesime modalità.

Tutto ciò, a dire il vero, viene col massimo scrupolo organizzato oggi da un Comitato composto da responsabili della Confraternita e dell’Unità pastorale del Centro storico coordinati dal priore Sig. Silvano Solidoro e dal parroco don Piero De Santis.

La politica in questo impegno così serio, qual è l’organizzazione di una festa civile collaterale e parallela a quella religiosa, è assente, anzi è tenuta fuori, perché i politici, spesso politicanti di mestiere, in queste questioni talora sono alquanto improvvidi e maldestri nonché faziosi ed ovviamente litigiosi, se è pur vero che nel passato anche su tale terreno di scontro e discussione ma soprattutto di spartizione del potere sono state registrate crisi amministrative. Purtroppo anche intorno ad un “settore della torta” quale poteva essere il “Comitato per la festa di S. Cristina”! Ma la nostra santa con paziente prudenza sa perdonare, nonostante tutto, anzi vigila e provvede per il bene della sua città e di noi tutti. Ed il cane, accovacciato ai suoi piedi, è sempre lì immobile e silenzioso nel continuare a fare da guardia.


Ndr

Sul culto della santa rimandiamo anche all’articolo di Pietro Barrecchia di alcuni giorni fa:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/07/21/gallipoli-la-santa-il-cane-la-stella/

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2 Commenti a Gallipoli. La festa di S. Cristina compie 145 anni, ma molti di più la devozione popolare

  1. Carissimo Gino
    Mi complimento per lo scritto, preciso per quanto concerne la devozione dei Gallipolini a santa Cristina ma non altrettanto per quanto riguarda la Santa in generale come che sia considerata una martire romana, quando il martirologio Geronimiano l’assegna a Tiro e il martirologio Romano a Bolsena; la data del martirio è molto diversificata nelle fonti agiografiche; il celebre Miracolo eucaristico di Bolsena non avvenne nell’isola Bisentina , bensi nella basilica di santa Cristina a Bolsena; il Miracolo di Bolsena non fu la causa dell’rezione del duomo di Orvieto…….
    Scusami se mi sono permesso ma sull’argomento ho tanto lavorato e pubblicato…..mi piacerebbe poter restare in contatto con te, avremo certamente da condividere molto.
    A presto
    Un cordiale saluto
    Marcello Moscini

  2. Salve mi chiamo Cristina e sono devota della Santa.
    Non capisco come mai da una parte la Santa è coprotettrice di Gallipoli, dall’altra la Cappella a lei dedicata è così trascurata con le mura umide e rovinate senza il suo altare originale e la ricostruzione dello stesso guardando vecchi disegni d’epoca. Sì il mare la danneggia ma non ci vuole poi tanto a tinteggiarla e proteggerla di tanto in tanto. Dentro è tanto buia ma all’esterno è cinta da una corona luminosa fra cielo, mare, gabbiani che svolazzano, sullo sfondo dell’antica città. Si parla di Santuario ma a me pare molto trascurato. La sua collocazione seppure non più sullo scoglio del mare fa sì che si percepisca ancora l’ha sullo scoglio in mezzo al mare e questo elemento naturale la arricchisce di molto rendendola immagine poetica. Non c’è una didascalia che parli del culto della Santa e della Cappella nei pressi della stessa. Vorrei fare uno studio in proposito e le chiederei gentilmente alcune cose. Lei ha una fotografia dell’altare originale? Chi è il parroco che si occupa di questa cappella? Se ho capito bene dall’articolo da Lei pubblicato è la Confraternita e il parroco don Piero De Santis che oltre all’organizzazione della Festa si occupa della Cappella. Avete delle immagini dell’interno da inviarmi. Inoltre potrei avere il vostro testo disponibile. Vi ringrazio anticipatamente.
    Cristina C.

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