di Paolo Vincenti
“Fate fogli di poesia, poeti, vendeteli per poche lire!”.
Quella di Antonio Verri è una figura centrale nel panorama della cultura salentina degli ultimi anni. Personaggio eclettico, brillante ed attivissimo sul fronte della promozione culturale, animatore instancabile di varie iniziative, voce dissonante, personaggio “contro”, per usare una espressione forse abusata, poiché Verri non era “contro”, ma, se mai, “ a favore” della cultura e della rinascita salentina, attraverso la poesia, la scrittura, l’arte in genere.
Era nato a Caprarica di Lecce, nel 1949, e fin da giovanissimo aveva manifestato un grande amore per la sua terra ed al tempo stesso una certa insofferenza per la cultura accademica, per i circoli asfittici di quegli intellettuali aristocratici che intendono la cultura come “elitaria”, riservata a pochi eletti.Verri odiava quella immagine quasi macchiettistica che si dava del Salento con i suoi riti, usi e costumi, che da folklorici diventano folkloristici, ed odiava quella operazione di marketing con cui si voleva e si vuole vendere il nostro Salento ai turisti, con poca anima e poca attenzione alla nostra storia ed identità vere. Egli non accettava che la letteratura diventasse anch’essa merce di scambio, sottoposta alle regole della domanda e dell’offerta, alla legge del profitto, insomma. Per questo si diede da fare, autofinanziandosi, con iniziative che potevano sembrare folli, ma che folli non erano. Stampò da solo i suoi primi volumi e fece dei volantini con le sue poesie, senza nessun tornaconto economico ma, anzi, rimettendoci, come purtroppo assai spesso, oggi, accade a chi voglia fare promozione culturale nel Salento.
Antonio Verri fu poeta, giornalista, romanziere ed editore. Molto forte il suo legame con Parabita, anche e soprattutto grazie all’amicizia con Aldo D’Antico, il quale, con la sua casa editrice “Il Laboratorio”, pubblicò, nel 1988, I trofei della città di Guisnes, e più volte ebbe Verri ospite a casa sua o alle varie manifestazioni culturali parabitane organizzate dallo stesso D’Antico.
Verri spendeva tutto se stesso nelle iniziative in cui credeva e, purtroppo, un tragico incidente stradale lo ha prematuramente portato via. Ebbe l’idea di distribuire, in numerose città italiane, un “Quotidiano dei Poeti”, che durò solo quindici giorni, e, vera rarità bibliografica, fece distribuire delle cartelle di cartone, chiuse solo dallo spago, in parte diverse l’una dall’altra, contenenti fogli di poeti, pittori, giornalisti, fotografi, musicisti.
Fondò e diresse riviste, come “Caffè greco”, “Pensionante dè Saraceni”, che divenne anche un centro di cultura ed una casa editrice, e collaborò con la rivista “Sud Puglia”. Diresse la rivista “On Board” e aderì al Movimento Genetico di Francesco Saverio Dodaro, una delle linee portanti del Salento europeo, insieme alla pittura di Edoardo De Candia, alla poesia di Salvatore Toma, alle esperienze musicali di Cosimo Colazzo, estetiche di Salvatore Colazzo, letterarie di Carlo Alberto Augieri e teatrali di Fabio Tolledi.
Nel 1983, pubblicò Il pane sotto la neve; nel 1985, Il fabbricante d’armonia, trasmesso dalla Rai Puglia nel maggio dello stesso anno; nel 1986, La cura dei Tao, nel 1987, La Betissa, da cui Fabio Tolledi ha tratto una versione teatrale.
Verri era molto legato ai suoi compagni di viaggio: Maurizio Nocera, autore di Antonio Antonio- O dell’amicizia, poetico omaggio all’amico scomparso, pubblicato nel 1998 e poi ripubblicato nel 2003 proprio dal “Laboratorio” di Aldo D’Antico, Rina Durante, giornalista e scrittrice, il poeta Bruno Brancher, l’archeologo Cosimo Pagliara, docente dell’Università di Lecce, Antonio Errico, valente critico letterario, Vittorio Pagano, grande poeta e traduttore, al quale Verri ha dedicato il volume Per Vittorio Pagano contenuto in “Pensionante de Saraceni”, Aldo De Jaco, scrittore e giornalista, i fratelli Cosimo e Salvatore Colazzo, Vittore Fiore, che ha definito Verri “battistrada storico dell’avanguardia culturale salentina”, ed altri.
Verri curò le collane “Spagine-scrittura infinita”, con F.S.Dodaro, “Abitudini-cartelle d’amore”, con M. Nocera, “Compact Type:Nuova narrativa”, “Diapoesitive-Scritture per gli schermi”, sempre con Dodaro e “Mascheroni”.
Nel 1988, pubblicò I trofei della città di Guisnes, nel 1990 Ballyhoo, Ballyhoo, nel 1991, E per cuore una grossa vocale e Il naviglio innocente. A Cursi, istituì il Fondo internazionale contemporaneo “Pensionante dè Saraceni”, eccentrica ma preziosa biblioteca composta da più di tremila volumi, riviste, manoscritti, cataloghi, spartiti e audiovisivi.
“Mi sembrano così idiote queste mie rane, tirano e tirano, girano e girano, fino a scoppiare, sono davvero così idiote… Guizzano e non sono che abbozzi di parole, spettri, apparenze, birbe verdastre, non sentono l’arsura e corrono tutto il guscio, e si arrotondano; balenotteri sembrano, ballerine di fila, subrettine.” (da I trofei della città di Guisnes).
Queste sono le parole, per Antonio Verri: incanti magici, lisce, ruvide, significanti e significati, elastiche, infinite.
Una scrittura continua, quella di Verri, che ricorda, per certi versi, lo “stream of consciousness”, il “flusso di coscienza” di joyciana memoria. Burle, frottole buttate lì, gialle, nere, rosse, lanciate al galoppo. Come dice Antonio Errico, “motivi che si presentano, scompaiono, si ripresentano con valenza semantica accentuata. L’intenzione e l’ansia di trasmettere alla frase il proprio respiro, di far coincidere strutture profonde e strutture superficiali, il suono e il senso, i tempi della vita con i tempi del testo. E poiché la vita non ha niente di finito, niente di finito c’è nel testo.
Ogni frase, ogni parola, ogni fantasma, è sempre un ritorno ad altre frasi, altre parole, altri fantasmi, oppure rinvia ad un declaro. Il testo, insomma, è un ponte tra il già fatto e ciò che si deve ancora fare.” Verri somiglia al suo diavolo Zèbel in Guisnes, “è come un camaleonte, sa così bene simulare, chiacchera a vanvera, splende. Oggi per lui va bene girare su se stesso, è così leggero, crede di vedere nell’invisibile, sa entrare in un corpo e ripetersi all’infinito… Il mondo è una immensa replica, è un libro in cartisella!”.
Verri morì nel 1993. La sua eredità artistica ed umana è stata raccolta, tra gli altri, da Mauro Marino, grafico e poeta, e Piero Rapanà, fondatore della compagnia teatrale Teatro Bliz, i quali, con il “Fondo Verri- Libero Cantiere”, portano avanti la grande lezione dello scrittore di Caprarica. E sul solco dell’esperienza del banco letterario che Verri inaugurò con “Caffè greco” e con “Pensionante de Saraceni”, ogni anno, a maggio, nel cortile del Convento dei Teatini a Lecce, si tiene la mostra mercato “Gran Bazar”, ovvero “Il libro in tasca, banco dell’editoria e della poesia salentina”, evento culturale organizzato dal Fondo Verri e dalla Libreria Icaro, che ottiene, ad ogni nuovo appuntamento, un crescente successo. Vi si tengono presentazioni di libri, incontri con gli autori, readings letterari e concerti musicali; uno spazio aperto alla consultazione e alla ricerca, come del resto è il Libero Cantiere, con la sua collezione di circa 1500 libri, patrimonio di chiunque voglia approfondire ed esplorare, tendendo un filo fra l’esperienza letteraria e la realtà contemporanea, sempre più esposta al disagio e alle difficoltà sociali.
… Per non dimenticare chi era Antonio Verri.
Pubblicato su “NuovAlba”, luglio 2005 e poi in “Di Parabita e di Parabitani”, di Paolo Vincenti, Il Laboratorio Editore, 2008.