Enzo Fasano, maestro parabitano della tarsia lignea

di Paolo Vincenti

La pubblicazione di un catalogo della collezione d’arte moderna appartenente alla Camera di Commercio di Lecce, di cui mi omaggia Enzo Fasano, maestro parabitano della tarsia lignea, in occasione di una mia recente visita a casa sua, mi suggerisce l’occasione di ricordare, da queste pagine,  la bellezza e l’originalità della sua arte, che ha ricevuto  attestazioni unanimi di consenso dalla più titolata critica,  salentina e nazionale.  Nelle grandi sale della sede leccese dell’ente camerale, infatti, in Viale Gallipoli 39, sono presenti ben quattro opere di Enzo Fasano: “Omaggio a Parabita”( intarsio ligneo di cm 67,5 x 77,5),   “Japigia” ( cm 110 x 75), “Messapia” ( cm 110 x 75) e soprattutto “Salento” (cm 300 x 550). Di quest’ultima macrotarsia, che campeggia sul grande scalone dell’ex  ingresso della Camera di Commercio, scrive Donato Valli ( nella rivista “Terra D’Otranto” n.4, dicembre 1996 ) che  essa rappresenta “ una sintesi organica, programmata, dell’itinerario artistico di Enzo Fasano”.  Nel mezzo di un argilloso paesaggio salentino, si alza un arco con incisi i misteriosi dipinti della Grotta dei Cervi di Porto Badisco, a destra del quadro una stele dauna, simile ad un salentino menhir, un ceppo con alcune indecifrabili incisioni e contadini che, intenti nel lavoro quotidiano, portano un cesto pieno di frutta, l’uva appena raccolta, e un fascio di grano; nel mezzo, una  trozzella messapica,  un orciolo di terracotta ( lu ‘mbile) e, sullo sfondo, proprio al centro dell’arco-simbolo, si intravedono, di spalle ad un bellissimo tramonto, delle esili figure eteree che, come fantasime tornate da un remoto passato, ballano una danza della vita e della morte, una danza ancestrale, nel mezzo di un campo di terrarossa. Nell’uva e nel grano portati dagli umili zappaterra stanno i simboli stessi della nostra civiltà contadina del passato,  emblematici della nostra economia rurale ma anche della nostra millenaria spiritualità, allegoria del pane e del vino dell’eucarestia cristiana. Sulla destra del pannello, sullo sfondo degli alberi di ulivo, una casetta- furneddhu, tipico esempio dell’architettura povera meridionale, dei fichi d’india  e, in primo piano, delle contadine con dei panieri per la raccolta delle olive. Una di esse significativamente tiene sotto braccio un ombrello per ripararsi in caso pioggia; poi cesti di vimini adagiati per terra e un cielo meraviglioso e intenso, tanto Fasano ha saputo rendere, con la policromia delle sue tessere lignee, le sue variegate sfumature. Insomma, in questo mosaico, nella rappresentazione iconografica che Fasano ha fatto del nostro passato remoto e prossimo, riposa  veramente l’epopea di un popolo, un universo di segni e simboli etnografici e culturali racchiuso in un quadro.  Vale la pena  fermarsi un momento ad ammirarlo,se ci capita di recarci per motivi di lavoro alla Camera di Commercio di Lecce, nel passare frettolosamente da un ufficio all’altro. Questa grande tarsia ci fa entrare nel mondo pittorico di Enzo Fasano, artista un po’ schivo e appartato. Il suo è un mondo popolato dagli elementi più caratteristici del nostro paesaggio salentino, quali vecchie case scalcinate o le antiche curti e il dedalo delle strade e stradine dei centri storici dei nostri paesi, misti a simboli ancestrali come le iscrizioni messapiche o i pittogrammi di Porto Badisco,  ad esseri esili e proteiformi  che intrecciano danze tribali, a manufatti litici come specchie, dolmen e menhir, che si uniscono a zappe, rastrelli, scarponi, cesti di vimini e altri attrezzi del lavoro quotidiano dei contadini. Un mondo  popolato da cavamonti e  cave di tufo, da campagne infinite e assolate dove gli ‘ppoppiti  salentini e le loro donne ricurve sui campi raccolgono le patate o le olive, insieme a steli daune e misteriose scritture dentro il ventre di grotte millenarie;  e ancora gli spaventapasseri, che si animano e attraversano  le  strade, simili a maschere tragiche  o a Lari che sembrano aspettare il nostro passaggio sul limitare dei poderi o ai crocicchi delle strade, per metterci in guardia dal disastroso corso di progresso che ha intrapreso l’umanità e che, se non fermato o corretto in tempo, porterà questa società del consumismo alla distruzione finale. Enzo Fasano da sempre si dedica ad un’arte antichissima, quella della tarsia, che, fiorente dal Trecento al Seicento, ha poi subito uno scadimento ed un oblio, fino agli inizi del Novecento. Enzo Fasano, classe1944, ha sicuramente innovato  l’arte stessa dell’intarsio, come il suo repertorio dimostra, giungendo a creare della tarsie di dimensioni eccezionali (si pensi alla grande “Crocifissione” , di metri 3 x 2, che campeggia nell’atrio del suo palazzo- laboratorio nel centro storico di Parabita).  Ecco, in questo laboratorio creativo, come l’officina del Dio dei fabbri Efesto  di mitologica memoria (Parabita è terra di maestri ferrai), mi piace immaginarlo mentre tira fuori demiurgicamente dal legno le sue creazioni, come gli alchimisti del passato facevano  i loro esperimenti per  trasmutare i metalli in oro.  Ma Fasano non cerca la combinazione alchemica per creare la pietra filosofale, ma dei legni pregiati per realizzare delle tessere musive, sulle quali dipingere i soggetti della sua trama pittorica. Certo, ci vuole una pazienza certosina per applicarsi ad una tecnica come quella dell’intarsio.  Proviamo a pensare a questo artista che rimane piegato sulle sue tavole per ore ed ore, per giorni e giorni, mentre  fuori dalla sua bottega il mondo corre veloce, troppo veloce, e usa e getta pezzi di scambio di questa multimediale e tecnologicamente avanzata società. Chi di noi oggi  lo farebbe? Chi saprebbe resistere alle tentazioni del “tutto e subito”, alle sollecitazioni  del real time, per immergersi  in una vita quasi cenobitica, lontano dalle voghe e dallo stress?  L’arte di Fasano, infatti,  rifugge da tutti gli “ismi”, così come dall’ultimo “ismo” di moda. “Un artista moderno dal cuore antico” lo ha definito Carlo Munari. Molte  le rassegne collettive nazionali ed internazionali, a cui ha partecipato nel corso della sua carriera e le mostre personali tenute, sempre all’insegna di quella “archeologia lirica del maestro Fasano”, come la ha definita Donato Valli. Quando penso che l’attività di Enzo Fasano rientra nell’ambito dell’artigianato artistico salentino (un vanto  della nostra terra in Italia e all’estero), mi viene in mente quella bellissima frase di San Francesco D’Assisi che dice “Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani, la sua testa ed il suo cuore è un artista.” Fasano è tutte e tre queste cose insieme. Oggi  è considerato uno dei più importanti maestri viventi della tarsia al mondo. Fasano racconta una storia antichissima. Lontano da ogni idillismo, il paesaggio assolato e a volte spettrale del Sud si fa reale, anche troppo reale, sfiorando il tema della denuncia sociale in certe visioni di rinuncia e povertà dei nostri paesi e campagne, come in quell’orciolo, così abbandonato a se stesso, o negli scarponi sfondati, in quelle porte scardinate, in quelle finestre, in quelle  crepe nei muri.  Così anche, in quella civiltà georgica dipinta da Fasano,f ra i suoi contadini che vangano la terra ed hanno nei loro volti rassegnati, nei loro gesti dimessi, un che di fatalistico, Fasano si fa aedo di un mondo in estinzione, compartecipe cantore. E quelli dei contadini sono gli stessi tratti somatici che si ritrovano nel suo Cristo, che rimane la più rappresentativa delle sue realizzazioni, che viene crocefisso nelle campagne salentine, forse parabitane, con degli altri contadini intorno che sembrano usciti da un film del cinema neorealista degli anni Cinquanta.  Sebbene la sua presenza a mostre ed eventi artistici si sia un po’ diradata negli ultimi tempi, la sua attività pittorica invece continua di buona lena ed io spero che possano essere presentate quanto prima al grande pubblico dei suoi ammiratori e degli amanti dell’arte, queste sue nuove incisioni che io ho avuto la fortuna di  ammirare nel suo laboratorio atelier, in via De Jatta20 a Parabita, in un bel palazzo dalle linee pulite ed essenziali, sulla cui parete di ingresso  non compare nessuna pregiata targa ad indicare lo studio del maestro, ma solo un anonimo citofono con la scritta “Enzo Fasano”.

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2 Commenti a Enzo Fasano, maestro parabitano della tarsia lignea

  1. Son lieto di leggere questa bella presentazione del maestro Enzo Fasano perché io, quasi per caso, ho in casa, proprio in bella mostra nell’ingresso, un magnifico suo quadro ad intarsio che ho comprato nel suo studio nel lontano 1974, quando era piuttosto sconosciuto. Mi compiaccio anche del mio “gusto” nel capire l’arte di questo che sarebbe diventato quello che l’articolo ci descrive.

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