La chiesa dei Battenti in Galatina

di Domenica Specchia  – foto di Oronzo Ferriero

Un recente restauro ha interessato la chiesetta dedicata alla Vergine della Misericordia di Galatina – comunemente nota come chiesa dei Battenti – poiché il tempo, gli agenti atmosferici e l’incuria dell’uomo l’avevano destinata, ingiustamente, all’oblio. Ubicata nella circoscrizione territoriale della Parrocchia di S. Caterina d’Alessandria dell’Archidiocesi di Otranto, tale struttura religiosa che, nei secoli, ha subito ampliamenti e rimaneggiamenti, fu sede del Pio Sodalizio dei Battenti come attestato nelle Visite Pastorali.

Tuttavia, risalire alla data precisa che vide operante questa confraternita sul feudo del casale di S. Pietro in Galatina risulta impervio poiché i primi documenti disponibili di questa “scuola” risalgono al Cinquecento e, peraltro, non consentono di definire l’anno della sua nascita. Di contro, possono essere di ausilio gli affreschi della monumentale chiesa di S. Caterina d’Alessandria.

Leggendo questo compendio da biblia pauperum si è catturati dalle diverse figure le quali, come acquisito da autorevoli studiosi, possono rappresentare, nello scenario, i possibili committenti dei cicli pittorici e gli autorevoli personaggi della vita sociale e religiosa galatinese del Quattrocento. Tra questi si osservano anche i seguaci dei Flagellanti, cioè coloro che tormentavano il proprio corpo, a sangue, con i battenti e che furono in loco i rappresentanti della relativa Confraternita.

Considerando ancora che gli affreschi della chiesa dedicata alla santa sinaitica furono eseguiti, come asserito dalla studiosa Matteucci, tra il 1419 ed il 1435, si presume che già a tale data la confraternita dei Battenti svolgesse, a livello locale, la sua missione, attestata poi dal 1567, nella chiesa dedicata alla Vergine della Misericordia.

Le due epigrafi:

Ianua constructa est christicolorum suffragiis prioratum gerente Francisco Imbino et Michino Papadia Pompeio Stasi oeconomi coeteris 9 Piis confratribus e Frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas et uidicia quasi vectes confraternitatum 1579, incise sull’architrave dell’unico portale di accesso alla chiesa – acquisite ormai alla memoria storica della città – rivelano che questo tempietto della SS. Trinità o della Misericordia fu la sede del pio sodalizio laicale dei Battenti che, con le altre confraternite del tempo – Annunziata e S. Giovanni – arruolò la popolazione del Casale di S. Pietro in Galatina in spiritualibus.

Entrambe le epigrafi però tacciono il nome dell’artefice di questa piccola costruzione occupante il lato sinistro della viuzza Marcantonio Zimara che sbocca sull’attuale piazzetta Carlo Galluccio alla quale, la modesta struttura ecclesiale offre la glabra pagina muraria della fiancata destra, frammentata, nella monotona vista dell’intonaco, dall’unica sobria monofora.

L’asimmetrica architettura rimane caratterizzata, sul lato nord, da alcuni ambienti, a pian terreno, adibiti a sagrestia, voltati nella copertura, semplici e severi nell’essenzialità delle forme celate dallo stretto vicoletto, dove restano rinserrati ed occultati alla vista del comune passante. La facciata monofastigiata, prospiciente la strada, offre al visitatore, nella condizionata veduta laterale, membrature architettoniche sapientemente lavorate nella fulva e lionata pietra leccese. Sulla piatta e limpida cortina muraria risaltano le semplici e squadrate finestre gemelle dell’ordine superiore e le centinate nicchie di quello inferiore simmetriche, peraltro, nell’armoniosa epidermide compatta, rispetto al portale della chiesa sul cui asse, l’architrave della finestra centrale ostenta l’iscrizione: «Lodato sempre sia il nome di Gesu’ (sic) e di Maria (1601)» (?).

La concisa essenzialità ornamentale definisce lo pseudo protiro, qualificandolo, nei delfini – simbolo  di Terra d’Otranto – scolpiti sugli alti plinti. Su questi,  le due pseudocolonne corinzie si ergono con il fusto decorato, in basso, con motivi floreali al di là dei quali le scanalature confluiscono nelle foglie di acanto dei capitelli ornati da mascheroni antropomorfi, costituenti la base di dadi di tipologia brunelleschiana. Al centro dell’alta trabeazione, tra foglie intrecciate, Giona profeta, simbolo della morte e resurrezione di Cristo, domina lo spazio scultoreo che rimane chiuso, da una centina – ponderatamente ornata da teste di cherubini – entro la quale la figura centrale della Vergine della Misericordia accoglie benevolmente, nel suo manto aperto, dai lembi ricurvi  sostenuti da due putti, i confratelli sodali inginocchiati dinanzi a Lei.

Risalire al nome dell’artefice di questa apollinea pannellatura plastica è difficile; tuttavia, in difetto di documentazione probante e, confortati nell’analisi comparativa  dalla presenza di altra analoghe ornamentazioni come quelle del Duomo in Minervino (1573), del portale di S. Giovanni Elemosiniere a Morciano, di S. Domenico di Nardò, del chiostro del convento dei domenicani a Muro Leccese (1583), del portale di S. Chiara a Copertino (1585),  della Immacolata in Nardò (1580 o 1590), dell’Incoronata in Nardò (1599), del campanile di Copertino (1588-1603), della chiesa della Rosa in Nardò, della parrocchiale di Leverano (1603), di S. Angelo in Tricase, di S. Caterina Novella (oggi S. Biagio) in Galatina, possiamo avanzare l’ipotesi  di vedere riflesso, in questo artifizio plastico, la maniera neretina di Giovan Maria Tarantino, operoso tra il 1576 ed il 1624.

Galatina, chiesa dei Battenti, particolare (ph O. Ferriero)

Nella lunga elencazione delle opere da lui realizzate, probabilmente, può annoverarsi anche la facciata della chiesa galatinese che, a nostro avviso, potrebbe essere stata realizzata dopo la chiesa di S. Giovanni Elemosiniere a Morciano e prima delle chiese dell’Immacolata e di S. Domenico a Nardò.

La trentennale attività svolta dal Tarantino nel basso Salento per la committenza religiosa, pubblica e privata è fondamentale al fine di comprendere il suo modus operandi che, peraltro, risulterebbe vicino a quello dell’architetto leccese Gabriele Riccardi.

Il ritmo plastico-geometrico delle strutture progettate da questi protagonisti dell’arte salentina  locale costituisce il comune denominatore riscontrabile nelle absidi di alcuni edifici religiosi e rimane un gioco architettonico di superfici curve e rette qualificante le diverse soluzioni progettuali riscontrate in non poche chiese a firma dell’uno o dell’altro architetto in discorso.

La fierezza del prospetto prosegue, senza scarti, all’interno dove, la grande aula, consta di due spazi: uno, riservato ai fedeli e l’altro, destinato al clero. Una ringhiera in ghisa segna il limite tra le due zone, sottolineate, peraltro, dai differenti livelli del piano pavimentale. Lo spazio, dove i fedeli si raccolgono in preghiera, rimane caratterizzato, sulla parete sinistra, dall’ambone, in asse con una delle due finestre che illuminano il vano trapezoidale trasformato poi in rettangolare, per la costruzione della cantoria, in corrispondenza della controffacciata dove, peraltro, rimane allogato l’organo. Le nude pareti segnate, nella parte alta, a circa 240 cm dal pavimento, da una cornice di stucco, che corre  lungo tutto il perimetro della chiesa fino al presbiterio, risultano impreziosite da tele incorniciate entro modanature dalle sinuose forme protobarocche. La zona absidale, semi esagonale, rimaneggiata nel XVII secolo – come documentano le Sante Visite – rimane definita da un grandioso arco a tutto sesto decorato con motivi floreali, con angeli dorati, razionalmente disposti e qualificata dall’epigrafe: Pura pudica pia miseris miserere Maria.

Galatina, particolare della chiesa dei Battenti (ph O. Ferriero)

Anche in questa chiesa galatinese è evidente la lezione riccardesca che il Tarantino probabilmente ricevette dall’anziano architetto leccese durante la messa in opera del Duomo di Minervino, nel 1573. D’altronde, il repertorio dell’architetto neretino fu il risultato di una ricerca continua nell’humus della ricca e peculiare tradizione artistica salentina. Al centro della zona absidale, al di sopra dell’altare maggiore, un tempietto, in stile classico, destinato a contenere la statua lignea della Vergine in preghiera, rimane definito da più piani aggettanti e da due colonnine corinzie in asse con le quali, al secondo piano, due lesene lignee dorate, dello stesso ordine e con motivi floreali, inquadrano una tela, in asse con la sottostante statua della Vergine della Misericordia.

Altri due altari, antistanti la zona presbiteriale, completano questo piccolo spazio religioso: a sinistra, quello della SS. Trinità con la relativa tela, d’impostazione masaccesca, presenta in basso, ad ulteriore conferma del significato iconologico che nell’insieme comunica, un triangolo equilatero alludente a Dio, Uno e Trino, ed alla perfezione assoluta.

Questo altare, donato dai Confratres D. aem ae Miser. Un iubileum 1633, officiato dagli affiliati all’omonimo pio sodalizio laicale, fu restaurato sotto il priorato di Didaco Tanza. A destra la tela, che correda la mensa dedicata al SS. Crocifisso, rappresenta Maria e S. Giovanni, in piedi; ai  lati della croce, in basso, i simboli della passione di Gesù; in alto, angeli che completano la struttura compositiva dell’opera le cui linee – forza, verticali, accompagnano l’occhio del fruitore verso l’alto, inducendolo ad estraniarsi momentaneamente dalla realtà ed a proiettarsi lentamente in una dimensione soprannaturale. In questo sacro vano le quattro grandi tele della Natività, Adorazione dei Magi, Purificazione di Maria con la presentazione di Gesù al tempio, Disputa tra i dottori e quelle relative alla vita mariana Presentazione di Maria, Lo sposalizio della Vergine, Presentazione di Gesù, Assunzione in cielo, Annunciazione, Immacolata, che arricchiscono le pareti laterali, invitano il fedele al raccoglimento e alla preghiera.

La trascendenza dalla realtà si concretizza quando l’occhio del fruitore si ferma a contemplare il dipinto del contro soffitto che, in un grande ovale, presenta La Vergine in gloria e Santi, virtuosismo pittorico del famoso decoratore latianese, Agesilao Flora (1863-1952) realizzato nel 1897. Nello spazio aperto del cielo le numerose figure di serafini si muovono intorno alla Vergine seduta su un ammasso di nuvole mentre un angelo incensa il singolare evento. L’ardito scorcio prospettico della balaustra a giorno, dove Santi inneggiano lodi alla Vergine, contribuisce al prolungamento dello spazio fisico. Le architetture ed i corpi si rarefanno progressivamente assumendo via via una consistenza materica non dissimile da quella delle nuvole. La luce assoluta e radiante determina un effetto suggestivo che sollecita l’ammirazione del fedele  verso la volontà divina che compie il miracolo.

Nella trepida attesa della riapertura ufficiale alla collettività forsan et haec meminisse juvabit poiché la chiesa dei Battenti rimane, per la città di Galatina, una delle opere più interessanti tra quelle protobarocche presenti sul territorio salentino fondamentale per ricostruire la trama della sua storia nella quale i cittadini, a tutt’oggi, si riconoscono e si identificano.

 

pubblicato integralmente su Spicilegia Sallentina n°5.

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