I murales ebrei di Santa Maria al Bagno. Per non dimenticare!

di Gianni Ferraris

Prendendo la litoranea da Gallipoli verso nord si passa per alcune frazioni sulla marina. Sono paesini prevalentemente di seconde case. In estate è un pullulare di turisti, di lingue, di culture diverse. Negli altri mesi invece la calma è immensa. Poche persone, il mare che accompagna con il suo sottofondo di rumori più o meno cupi, pescatori in lontananza. Sono luoghi in cui è bello sedersi e guardare il tempo scorrere con i pensieri che lo accompagnano. Posti battuti dal maestrale che porta freddo, a tratti la roccia è stata tagliata per far passare la strada. Si transita fra due muri nella “montagna spaccata” come la chiamano qui.

Ebrei a Santa Maria al Bagno (coll. privata Paolo Pisacane)

E subito dopo il mare riappare. E la storia è passata da qui come da ogni luogo e sono racconti ora, quasi fiabe. Gli abitanti locali li danno per scontati, ma per me che ascolto per la prima volta sono evocativi di come la solidarietà sia ovvia, non derogabile, in queste terre. Lo straniero, il diverso, è accolto e spesso protetto, soprattutto se ha gli occhi colmi di terrore. Non importa da dove venga, né importa il colore della pelle o politico, prima si accoglie, poi magari si discute. Santa Maria al Bagno ti viene incontro con le sue Quattro Colonne. Sono i resti di una grande torre di avvistamento, come le altre voluta da Carlo V, danneggiata forse da un sisma che ne ha demolito il centro, lasciando in piedi solo i quattro angoli. È una frazione di Nardò, in questo piccolo luogo sostò a lungo un pezzo di storia.  

Era da poco passato il Natale del 1943 quando il piccolo sobborgo fu scelto dalle autorità inglesi come campo profughi. Arrivarono i primi camion carichi di persone, erano slavi. Furono requisite le case, furono alloggiati gli sfollati. Ma la diffidenza fra i profughi e quelli che solo pochi mesi prima erano considerati nemici era forte. La difficile convivenza durò pochi mesi. Gli slavi lasciarono il luogo. E spesso lasciarono un ricordo non buono. Non sempre trattarono con cura le cose e le abitazioni che vennero loro affidate. Andarono in altri luoghi i profughi, ma rimasero i soldati inglesi. E poco tempo dopo altri camion  arrivarono. Molto più numerosi e con molte più persone.
 
Quando scesero a terra i loro sguardi erano diversi. Timorosi e spesso rivolti in basso. C’era un po’ di diffidenza e paura nei salentini. Ancora le eco dei massacri di ebrei, dei campi di sterminio, non erano arrivate in queste terre, tutto sommato solo sfiorate dalla guerra. Furono sufficienti pochi mesi per sapere, capire, ascoltare storie che si credevano impossibili. E presto nacque quella solidarietà che è spontanea in chi ha conosciuto la fame verso chi ha vissuto gli orrori della storia. Così il cibo dato dall’amministrazione delle Nazioni Unite veniva scambiato dagli ebrei con il pesce dei pescatori locali. Spesso veniva donato in cambio di nulla. 

E i rapporti divennero solidi e solidali. Gli ebrei fecero nascere alcuni negozi, e la vita ricominciò. I bambini andavano a scuola tutti assieme, forse non avevano il grembiulino, però nessuno avanzò mai la pretesa di far frequentare classi diverse a nessun altro. Nonostante si sentisse parlare italiano, salentino, spagnolo, yddish. In quegli anni nel campo passarono circa 100.000 ebrei e furono celebrati circa 400 matrimoni regolarmente registrati allo stato civile di Nardò. In uno di questi la teste fu Golda Meyer. Da qui passarono Moshe Dayan e Ben Gurion. Stavano andando verso quella che sarebbe diventata Israele, ma questa è altra storia.

Nel Salento le esigenze religiose dei nuovi arrivati vennero agevolate. Nacque una sinagoga in alcuni locali sulla piazza, ed un kibbuz poco distante. E ancora sono presenti, fortunosamente salvati dalla distruzione, alcuni murales fatti da Zivi Miller, ebreo polacco che a Santa Maria trovò la compagna della sua vita. Un comitato ne ha preso a cuore la vicenda perché quelle opere erano in una casa abbandonata e fatiscente e si stavano irrimediabilmente danneggiando.

L’amministrazione comunale ha provveduto a staccarli e a dar loro una sede più idonea. Ed è opera meritoria in giorni in cui una destra estrema e quasi eversiva sta rialzando la testa. E lo fa nei modi più criminali. A pochi metri da quella casa e da quella testimonianza è comparsa, a inizio anno, una scritta che dice: 10 100 1000 Anna Frank. L’humanitas trovata nel Salento venne riconosciuta e viene ricordata in Israele. E un riconoscimento è giunto alla città di Nardò dal capo dello stato.

Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in occasione del 27 gennaio 2005, ha conferito motu proprio la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla città di Nardò
con la seguente motivazione:

«Negli anni tra il 1943 ed il 1947, il Comune di Nardò, al fine di fornire la necessaria assistenza in favore degli ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele, dava vita, nel proprio territorio, ad un centro di esemplare efficienza. La popolazione tutta, nel solco della tolleranza religiosa e culturale, collaborava a questa generosa azione posta in essere per alleviare le sofferenze degli esuli, e, nell’offrire strutture per consentire loro di professare liberamente la propria religione, dava prova dei più elevati sentimenti di solidarietà umana e di elette virtù civiche».

murales ebreo a Santa Maria al Bagno (coll. privata Paolo Pisacane)

 

È il più grande dei due murales realizzati da Zivi. Rappresenta il grande sogno degli ebrei di raggiungere la Terra Santa. Sulla sinistra le vittime scampate all’olocausto si lasciano alle spalle un’Europa disseminata di filo spinato. Attraversano l’Italia e raggiungono il campo di accoglienza di Santa Maria al Bagno. Da qui il viaggio di una moltitudine allegra e festosa che raggiunge finalmente la Palestina, passando simbolicamente sotto un arco a forma di stella di David.

 

murales ebreo a Santa Maria al Bagno (coll. privata Paolo Pisacane)

 

Questo è il secondo murales di Zivi. È evidentemente meno gioioso dell’altro. In questo caso la Terra Promessa è un fortino, un castello inaccessibile. La porta e le finestra sono chiuse dalle grate: da lì sventolano i simboli dell’ebraismo. Una mamma e i suoi due bambini giungono da lontano, ma la loro espressione è corrucciata, come se per la difficile strada percorsa per arrivare fin lì avessero perso qualcuno di importante. Ad accoglierli non c’è un arco, né le palme del deserto ma un soldato inglese col fucile in mano.

murales ebreo a Santa Maria al Bagno (coll. privata Paolo Pisacane)

Questo è l’unico murales non realizzato da Zivi. È opera di una ragazza ebrea, anch’essa ospite del campo di Santa Maria. In questo caso, l’accezione dei soldati inglese sembra essere diversa da quella datagli dall’artista rumeno. I militari non bloccano gli ebrei in arrivo, ma custodiscono i simboli della loro religione, rimanendo un gradino più in basso, quasi fossero degli umili e discreti servitori della causa ebraica.

 

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12 Commenti a I murales ebrei di Santa Maria al Bagno. Per non dimenticare!

  1. Una pagina di speranza, per non dimentare le tante orribili che erano state appena scritte nel cammino della Storia

  2. Un affresco straordinario, questo racconto di sensazioni e di memorie.
    Condivido che “sono luoghi in cui è bello sedersi e guardare il tempo scorrere con i pensieri che lo accompagnano”.
    Un sogno di libertà…

  3. Notizia di pochi giorni fa, un tedesco su cinque non associa nessuna emozione e nessun avvenimento al nome Aushwitz. Classico caso in cui la memoria non è solo storica ma ideologica, emotiva. Per fortuna nella maggiorparte d’Italia si tramandano, fin dall’infanzia, documenti e testimonianze su uno dei periodi peggiori della storia d’Europa: la shoa. Il rispetto, la solidarietà, l’accoglienza sono valori non sempre innati e perciò da coltivare e curare fino a vedere le loro radici ramificarsi nelle nostre coscienze. Nel dopoguerra il popolo di Santa Maria al Bagno non ebbe bisogno di grandi lezioni per aprire le sue porte ai superstiti ebrei. Quattrocento matrimoni celebrati a fondere due culture religiose in un contesto sociale semplice come quello della frazione salentina, sono davvero significativi, così come lo sono le sinagoghe concesse dalla popolazione alla libertà di culto. L’apertura nasce dall’attitudine storica individuale e di un popolo ad aprirsi, a scambiarsi tradizioni e conoscenze, ed è questo che fa veramente cultura rendendo grande un uomo. Sarebbe interessante a questo punto stravolgere il messaggio insulso trasmesso dal viceministro del lavoro Martone: “Dobbiamo dire ai nostri cittadini dai dieci anni in su, che se non impari dagli altri, se non ami gli altri al pari di te stesso…SEI UNO SFIGATO!!”

    • Condivido la necessità di tenere alta la guardia e la memoria. Purtroppo in questi tempi in cui i testimoni, per questioni anagrafiche, stanno scomparendo tutti quanti, occorre tramandare i valori dell’accoglienza, della Resistenza al nazifascismo, della liberazione. Anche se, ahinoi, lì’attuale politica fa di tutto per scardinarne i principi. Gli sfigati, è vero, sono quelli che non accolgono e non accettano, il compito della scuola dovrebbe essere appunto questo, invece molto spesso il giorno della memoria e quello della liberazione sono intesi come semplici anniversari da “festeggiare”, addirittura un pò noiosi. Ed ogni giorno dovrebbe esser equello della memoria. Per le persone morte nella shoa e in quelle morte in Afghanistan, per gl iebrei morti di terrorismo e per i palestinesi morti per missili “intelligenti”.

  4. Sui tedeschi, sulla loro scarsa, a quanto pare, memoria storica ed emotiva (ma la seconda nasce dalla prima…) e sulle colpe immense che chiunque disponga a proprio piacimento dell’umanità altrui, comunque, si assume, non spendo neppure una parola.

    Sull’Olocausto dico solo che coloro che lo negano dovrebbero, quanto meno, avere il coraggio (almeno una volta, prima di morire…) di partecipare ad un pubblico contraddittorio.

    Difendo, invece (sembrerà strano…ma per poco), Martone dal cui periodo originale “Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa” sono state estrapolate le prime tre proposizioni per dargli addosso. Ma, dopo la difesa, formale, una domanda sostanziale che bypassa quella estrapolazione: “E quei giovani che si sono laureati a 22 anni, hanno subito conseguito, oltre ad altre specializzazioni, il dottorato e sono ancora precari, sono da considerarsi sfigati o vittime di un sistema, anche politico? Che si può fare per ovviare a questa situazione?”.

    E, dopo la difesa e la domanda sostanziale, l’attacco (consideratelo pure malizioso…):

    http://www.repubblica.it/rubriche/la-scuola-siamo-noi/2012/01/26/news/martone-28824446/

  5. Non entro nel merito, ne faccio una questione di metodo. Il fatto è che un poilitico, soprattutto se impegnato nel governo, dovrebbe misurare le parole. Ci provò, durante il governo Prodi, un suo ministro (momentanea amnesia sul nome) a definire Bamboccioni i ragazzi. Ora la questione sfigati. Non dovrebbero essere interpretati ma compresi ed hanno il dovere di farsi capire. Purtroppo la politica (quella brutta) ci ha abituati ad affermazioni seguite da smentite… Non mi pare un buon modo di procedere.

  6. Per dare a Cesare quel che è di Cesare (e pure su Cesare avrei tanto da dire…) : “bamboccioni” è un’invenzione, piuttosto recente, di Brunetta, ministro del governo Berlusconi. E poi, secondo me, chi, da politico, non è in grado di esprimere le proprie opinioni in modo chiaro ed inequivocabile (non è questo, bisogna riconoscerlo, il caso) e chi ne utilizza, giornalista o no, parzialmente e strumentalmente le dichiarazioni senza saperne sfruttare la versione integrale (è questo il caso…) è meglio che se ne stia a casa… Armando Polito

  7. BISOGNA PORTARE LE SCOLARESCHE IN SANTA MARIA AL BAGNO,per i murales……..deve essere sempre,ricordato l’eccidio, le brutture,l’olocausto,le cattiverie…………PERCHE’NON SI RIPETANO

  8. Ragazzi miei, quanto ardore! Permettetemi di ammirarvi per aver comunque dato vita a un confronto che, per quanto parta da vedute all’apparenza contrastanti, è sempre sinonimo di democrazia, soprattutto quando è intelligente. Caso, ahimè, oggi piuttosto raro.
    Il mio spunto deve essere stato evidentemente un po’ infelice, ma perdonatemi, era solo un mezzo, un utilizzo di un motto recente, pur se da parte di un esponente di governo, per rendere più forte, se non brutale, un messaggio rivolto alla nostra parte umana.
    Chi di noi, a volte, non ha pensato(senza forse tener conto del proprio ruolo in società, soprattutto nell’ambito scolastico o di una qualsiasi rappresentanza pubblica) di trovare un escamotage, una frase ad effetto per esprimere un monito, un proprio pensiero, magari perfino un ‘incoraggiamento mascherato’?
    Gaffe! Non vogliamo a questo punto giudicare le intenzioni, la persona, il retrogusto politico che ha caratterizzato l’affermazione in questione.
    Probabilmente tutto parte dal solito, meraviglioso, complesso concetto di… TEMPO. Il tempo è una variabile, spesso soggettiva, per altri versi necessariamente oggettiva. Quest’ultimo può essere il caso degli orari di lavoro, dei tempi di produzione(anche di studio!), del limite di un ricatto sia allegro sia sadico, dello spazio di un’attesa.
    Umana necessità di regole, di chiarezza.
    Ma se di umanità parliamo, allora dobbiamo per forza considerare il ricamo unico di ogni personalità, sensibilità, condizione mentale, economica e sociale: chi vive nell’agio, a volte ‘non ha fretta’ di concludere; chi è emotivamente fragile spesso rimanda; chi è spinto più dalla speculazione filosofica, dall’idealismo, dalla sensibilità poetica, invece, ha un utilizzo più smaterializzato del tempo; chi è un gaudente si tuffa nel ‘carpe diem’; chi è decisionista ‘spacca il capello’; chi è povero, chi in difficoltà di qualsiasi genere e chi è proiettato verso una mèta si fa invece in mille pezzi per moltiplicare il tempo e i suoi frutti.
    E gli schemi non valgono mai.
    A questo punto vi chiederete il perchè di tutto questo excursus. Ebbene: vada per l’incoraggiamento(magari con forme più delicate) a nobilitare il tempo, a non adagiarsi sugli allori per poter essere sempre risorsa, forza produttiva di un Paese in quasi costante crisi, ma vada anche per un incoraggiamento meno teorico fatto di incentivi, di garanzie, di merito, di lavoro e di ‘case gratificanti’ per tutti quei cervelli in fuga da tane e ovili senza dignità!

  9. Forse sarebbe il caso di promuovere anche a Roma un memoriale della gente del ghetto, con lo stesso stampo di percorso del museo della shoa che si vede nel film “Freedom Writers”, non per rendere più simpatici gli Israeliani, ma per far capire che l’odio verso il “diverso” porta alle aberrazioni dei popoli (dalla provocazione, all’isteria il passo è breve). E forse nell’imminente guerra tra i meno poveri e e i poveri.
    Comunque complimenti a voi, perchè pur essendo io così lontano mi fate vivere il Salento come la terra viva e misteriosa che ho scoperto solo da alcuni anni, ma principalmente immensamente ricca di spunti culturali, che la accomuna al mio territorio che è sempre stato terra di confine e ponte tra diverse realtà geografiche. Oltretutto come ho scoperto lavorandovi, neanche tanto distanti culturalmente e materialmente, grazie alla Serenissima Repubblica.

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