Quando l’artista (o quasi…) ce l’hai in casa e non te ne accorgi…

di Armando Polito

Nemo propheta acceptus est in patria sua (Nessun profeta è accettato nella sua patria1) è la frase, divenuta poi proverbiale nella forma ridotta Nemo propheta in patria, attribuita da Luca (IV, 24) a Cristo risentito per la fredda accoglienza da parte dei suoi conterranei a Nazareth e citata poi abitualmente per stigmatizzare il fatto che difficilmente il merito ha il giusto riconoscimento nella propria terra. Di solito, per giustificare questo atteggiamento, si mette in campo una sorta di compensazione dovuta al fatto che solo chi ci ha visti nascere e crescere conosce anche le nostre debolezze ed i nostri limiti. Demolire questa opinione è facilissimo perché, se fosse fondata, dovremmo, per esempio,  considerare idioti, incompetenti e miopi, se non ciechi,  quegli stati e quelle istituzioni che hanno propiziato, e continuano a farlo oggi più che mai, la fuga dei nostri cervelli. È pur vero, però, che, senza scomodare grandi doti come il talento e la genialità, l’uomo ha in sé il vizio innato di non apprezzare, forse per abitudine, quello che ha. Così, anch’io, in un improvviso sussulto di ravvedimento, potrei adattare la frase evangelica e dire Nulla fatidica in domo sua (Nessuna è profetessa in casa sua) permettendomi, non sembri blasfemo, di riconoscere esplicitamente anche a tutte le donne quel valore che motivi storici e culturali hanno obnubilato, pure all’ombra di religioni diverse da quella prima cristiana e poi cattolica. E il lettore mi perdonerà se in un ulteriore sussulto di egoistico compiacimento darò un connotato privato alla mia riflessione, riferendo quel detto a mia moglie. Le cose nella vita nascono per caso, come questo post che sicuramente non avrei scritto se non avessi letto su questo sito (e su quale altro sennò?)  il recente, bellissimo Fische, fiscareddhe, sporte e spurteddhe di Tommaso Coletta, in cui il ricordo della madre Chicchina e della sua bravura nell’arte del giunco è pudicamente dissimulato in una narrazione di vita paesana di altri tempi. Io non sono altrettanto bravo nel farlo con Annarita, se non riesco a rinunziare, addirittura alla famigerata premessa, dicendo che mia moglie non conosce il greco, il latino forse nemmeno l’italiano (ma io, li conosco veramente?), è ragioniera ma non ostenta sicurezza nemmeno nel calcolare il 10% di 100 (eppure è lei che da sempre ha portato avanti, con esiti brillanti, il bilancio familiare…), non ha la battuta fulminante che anche i miei detrattori mi riconoscono (eppure, ad un comune vecchio amico che non aveva da tempo mie notizie disse che mi trovavo agli arresti domiciliari, riferendosi al fatto che io non mi muovo da casa se non per necessità, mentre lei, se potesse, intraprenderebbe un nuovo viaggio prima ancora di aver concluso il precedente…), lei è in grado di improvvisare un pranzo o una cena più che dignitosi per venti persone in meno di un’ora (io so solo “preparare” in due minuti, anche perché altrimenti diventa sodo, un uovo alla coque, sicché se fossi stato costretto dalla vita a cucinarmi da solo a quest’ora molto probabilmente sarei morto da un bel pezzo di colesterolemia…), lei, etc. etc. (io, etc. etc.)…

Fra i tanti suoi etc. etc., per tornare in argomento, va annoverata una eccezionale abilità manuale grazie alla quale è in grado di dar vita a straordinari ricami non solo col filo (però, io nel mio piccolo so fare il punto erba…) ma anche, e ci siamo, con la rafia. Lascio parlare le foto che ritraggono solo parte della sua “produzione”,  permettendomi di mettere in risalto, toccare per credere,  la straordinaria rigidità dei suoi lavori per i quali utilizza, ripeto, solo la paglia, senza altra anima che non sia la sua…

È per me motivo di orgoglio (ormai ho perso ogni pudore…) che sia sta lei a confezionare recentemente le bomboniere, una diversa dall’altra… (nella foto solo due esemplari), per le nozze di nostra figlia Elisabetta.

Voglio sperare che chi l’ha ricevuta abbia compreso il suo valore immenso rispetto ad un anonimo, freddo, per me ridicolo, per quanto trendy (come dicono quelli che sanno parlare…), thun ; lo scrivo volutamente con l’iniziale minuscola perché, per antonomasia, è diventato ormai un nome comune; come, per intenderci, mutatis mutandis (che, per chi non conosce il latino, non significa cambiate le mutande ma fatto il dovuto confronto), è successo tanti secoli fa, per esempio, a Cicerone e a Mecenate.

I complimenti mi fanno piacere ma mi procurano disagio perché li interpreto come uno stimolo a fare di più e meglio e sono pure poco avvezzo a farli, soprattutto con i miei familiari, sicché non deve suscitare meraviglia il fatto che, pur avendo avuto, credo, con i miei allievi una pazienza enorme e di fronte ai loro errori, perché imparassi io stesso, mi sono costantemente chiesto da dove quegli errori potevano essere nati, le rare volte (e ti credo…) in cui le mie figlie mi chiedevano il parere sulla loro traduzione, per altri forse perfetta, per me passabile, di un brano di latino o di greco, l’espressione più gentile e confortante era: “Neppure un deficiente avrebbe tradotto come hai fatto tu”.

Una volta tanto, nella vita, forse ho fatto violenza a me stesso, ma, per terminare, così come avevo iniziato, con una citazione evangelica, chi è senza peccato scagli la prima pietra

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1 È questa la traduzione corrente, che considera nemo come attributo di propheta; ma nemo in latino può essere, oltre che aggettivo, anche pronome e potrebbe, secondo me,  fungere qui da soggetto, questa volta isolato, mentre propheta potrebbe assumere un valore di suo complemento predicativo  e la frase, nella nuova traduzione nessuno è accettato come profeta nella sua patria, avrebbe addirittura, a mio avviso,  una maggiore pregnanza di significato. Non guasterebbe, poi, pensare pure al valore etimologico, per così dire laico, della parola. Se, infatti profeta è colui che parla per ispirazione di una divinità preannunziando spesso in suo nome il futuro, la voce è dal latino tardo prophèta, a sua volta dal greco profètes=indovino, interprete, annunciatore, composto da pro=avanti e femì=dire; perciò è legittimo vedere proprio in quel pro la funzione di battistrada e precursore che il talento, nell’arte come in ogni altra umana espressione, ha da sempre avuto con la sua dote primaria: l’originalità.

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Un commento a Quando l’artista (o quasi…) ce l’hai in casa e non te ne accorgi…

  1. Spero ci sia qualche giovane ragazza che voglia imparare questo tipo di arte. Sono veramente belli ed ecocompatibili.

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