Ammortizzazione sociale e lavoro nero nel Salento. Alcune osservazioni

di Gigi Apollonio

L’argomento è uno di quelli considerati un tabù al pari dell’educazione sessuale e della riduzione degli stipendi parlamentari. Stiamo parlando degli ammortizzatori sociali, tema affrontato qualche settimana fa dalla Cgil di Lecce insieme all’economista e docente universitario Gugliemo Forges Davanzati.
Durante l’incontro Forges ha proposto la sua teoria che tende a mettere in relazione la lotta al lavoro nero con l’utilizzo degli strumenti di sussidio per i disoccupati. In sostanza l’idea di fondo è che per combattere la piaga del sommerso bisogna garantire un reddito a chi ha perso il lavoro in modo da aumentare il suo potere contrattuale ed avere la possibilità di rifiutare lavori irregolari.
Senza alcuna intenzione di contraddire l’esperto Forges, se la sua idea è sacrosanta in generale, volgendo lo sguardo su un territorio economicamente periferico come il Salento un approfondimento è necessario.

Il dubbio che ci si pone riguarda la reale efficacia degli ammortizzatori nei confronti non tanto dei beneficiari, ma nei confronti del tessuto produttivo e dei giovani in cerca di prima occupazione. Rifiutare offerte di lavoro irregolare non equivale obbligatoriamente a far emergere dal sommerso le aziende coinvolte, anzi il rischio è che queste stesse chiudano definitivamente. Questo è già avvenuto alla fine degli anni ’90 quando si stipularono contratti di riallineamento per permettere alle aziende “irregolari” di mettersi a norma in cambio di una specie di condono. A distanza di qualche anno il territorio sprofondò in una crisi economica provocata principalmente proprio dalla difficoltà delle imprese emerse a confrontarsi realmente sul mercato. In seconda istanza, assegnare dei sussidi ai lavoratori disoccupati non risolve il problema della disoccupazione giovanile, in particolare quella che coinvolge i soggetti in cerca di prima occupazione. In questo caso infatti si innescano due meccanismi complementari: come sostiene il sociolavorista Emilio Reyneri, i datori di lavoro sono portati ad assumere più facilmente lavoratori adulti ed in particolare padri di famiglia. Così facendo per i giovani in cerca di prima occupazione sarà più difficile inserirsi nel mercato del lavoro e non potendo usufruire dei sussidi saranno costretti o a lavorare in nero o a rimanere senza un reddito con drammatiche conseguenze economiche e sociali in entrambi i casi.

In sostanza la formula (sacrosanta ed irrinunciabile) degli ammortizzatori sociali per funzionare ha bisogno di un tessuto produttivo solido, che sappia affrontare i momenti di crisi economica, ma che sia però capace di uscire efficientemente dal guado e garantire lavoro e sostegno a tutti nei periodi di produttività. Il rischio da non sottovalutare in un territorio come quello salentino è che in queste condizioni l’ammortizzazione assuma la forma del mero assistenzialismo in un contesto economico incapace di creare occupazione e produttività.

 

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Un commento a Ammortizzazione sociale e lavoro nero nel Salento. Alcune osservazioni

  1. Concordo totalmente con la tua analisi. L’emersione del nero è inscindibile da interventi di tipo strutturale sull’economia. Come ben ricordavi i “contratti di riallineamento” hanno il difetto di produrre dei benefici sul breve, senza quindi garantire stabilità e competitività alle imprese. Allo stesso tempo, dei sussidi staccati da politiche di assunzione o, genericamente, del lavoro, comporterebbero la solita “crescita senza sviluppo”, teorizzata dal sociologo Carlo Trigilia, ovvero un arricchimento monetario scisso da un reale sviluppo economico

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