Ed oggi conosciamo le verdure di campagna, tanto care ai salentini

Li fògghie mbiscàte in concerto

di Armando Polito

 

Come in un complesso musicale il risultato dipende dall’abilità del singolo musicista e dall’affiatamento con gli altri, così per preparare una minestra di fògghiembiscàte1 (verdure miste) la scelta dei componenti è fondamentale, perché la dolcezza dell’uno deve mitigare l’asprezza dell’altro e il sapore particolare di ciascuno deve essere in grado di armonizzarsi con l’insieme senza rinunciare alla sua individualità. Le combinazioni possibili sarebbero teoricamente infinite, ma la formazione più collaudata che conosco è il quintetto che presento: lo zangòne, lo sprùscinu, la cicora cresta (alias cicora ti campàgna o cicurèddha), la nghièta e la carruzzìtula.

ZANGÒNE

nome italiano: sonco, cicerbita

nome scientifico: Sonchus oleraceus L.

famiglia: Compositae o Asteraceae

Etimologia dei nomi italiani:

sonco: dal latino sonchu(m), a sua volta dal greco soncos o sonchos.

cicerbita: secondo alcuni dal latino cicer=cece, con riferimento alla forma dei suoi piccoli semi; secondo altri dal latino Cicharba, nome di una pianta, ricorrente isolato nel capitolo IV° del De medicamentis di Marcello Empirico (IV°-V° secolo d. C.), senza altra indicazione che consenta l’identificazione certa con la nostra.

Etimologia del nome scientifico: Sonchus dal latino sonchu(m), a sua volta dal greco soncos o sonchos; oleràceus significa erboso.

Etimologia del nome della famiglia: Compositae è il participio passato femminile plurale di compònere=comporre, formato da cum=insieme e pònere=porre; Asteraceae è forma aggettivale modellata sul classico aster=stella, con riferimento ai fiori a capolino.

Etimologia del nome dialettale: la stessa dell’italiano sonco, con aggiunta di un suffisso accrescitivo.

Testimonianze di due autori classici, il primo latino, il secondo greco2:

Plinio (I° secolo d. C.):  “Viene mangiato anche il sonco – sicché presso Callimaco Ecale3 lo mette sulla mensa per Teseo – , l’uno e l’altro, il bianco e il nero. Sarebbero entrambi simili alla lattuga se non fossero spinosi, col gambo lungo un braccio, pieno di angoli, all’interno vuoto, ma che emette se spezzato copioso latte. Il bianco, per il quale la bianchezza proviene dal latte, è utile a chi soffre di ortopnea messo come condimento nei cibi, al modo delle lattughe. Erasistrato afferma che con esso vengono eliminati i calcoli attraverso l’orina e che una volta mangiato elimina l’alito cattivo. Il succo nella misura di tre bicchieri riscaldato nel vino bianco e nell’olio facilita i parti così che subito dopo aver partorito la donna può camminare. Viene somministrato pure da bere. Lo stesso gambo cotto facilita nelle nutrici la produzione di latte e conferisce ai neonati un colorito migliore, è utilissimo alle donne che si sentono raddensare il latte. Il succo viene istillato nelle orecchie, caldo viene bevuto contro la stranguria nella misura di un bicchiere e in caso di ulcera allo stomaco insieme col seme del cocomero e con pinoli. Viene applicato pure negli ammassi [di grasso?]  del sedere [cellulite?]. Viene bevuto contro il morso di serpenti e scorpioni, la radice viene applicata ad empiastro. La stessa cotta in olio e scorza di melagrana è presidio contro le malattie degli orecchi. Tutto questo vale per il sonco bianco. Cleemporo sconsiglia di mangiare il nero poiché fa male, non così per il bianco. Agatocle sostiene che il suo succo è efficace anche contro il sangue del toro [contro le ferite provocate dal toro?], tuttavia riconosce che il nero ha potere rinfrescante e che perciò va applicato con la polenta. Zenone consiglia la radice di quello bianco nella stranguria)”. “Riempie le mammelle di latte Il crescione col vin cotto, il brodo di sonco cotto nel farro” 4.

Dioscoride (I° secolo d. C.): De materia medica, II, 158 : “Il sonco: due sono le sue specie, una più selvatica e alquanto spinosa, l’altra più tenera e commestibile. Il gambo è angoloso,  un po’ vuoto e subito dopo rosseggiante: le foglie sono tutte attorno ad intervalli regolari, frastagliate. Hanno proprietà rinfrescanti e moderatamente astringenti, per cui giovano applicate alle  gastriti e alle infiammazioni. Il succo bevuto giova al bruciore di stomaco e stimola la produzione di latte. Posto poi in una pelle di pecora giova alle infiammazioni del sedere e della matrice. Tanto l’erba quanto la radice applicate in cataplasmo a turno sono un rimedio contro il morso degli scorpioni. L’altro sonco, pure lui tenero, diventa quasi un albero, con foglie larghe che abbracciano il gambo che non ha rami: pure questo ha gli stessi effetti”.

SPRÚSCINU


nome italiano: aspraggine

nome scientifico: Picris echioides L.

famiglia: Compositae o Asteraceae

Etimologia del nome italiano: da aspro (per l’aspetto)+il suffisso –aggine come in piantaggine da pianta.

Etimologia del nome scientifico: Picris è trascrizione latina del greco pikrìs (da pikròs=pungente, aspro) usato dagli autori classici per designare differenti specie peraltro di non facile precisa identificazione; echioides è formazione moderna dal greco èchis=vipera+il suffisso (sempre di origine greca) –oide indicante somiglianza, relazione, analogia, affinità (nel nostro caso perché in passato la si riteneva efficace contro il morso delle vipere).

Etimologia del nome della famiglia: come per zangòne.

Etimologia del nome dialettale: da un latino *asperùgine(m)=ruvidezza, dal classico asper=ruvido, attraverso la trafila *asperùgine(m)>*sperùgine(m) (aferesi di a-)>*sprùginem (sincope di –e-)>*sprùscine (passaggio –gi->-sci-; sprùscene è la forma usata nel Brindisino e nel tarantino)>sprùscinu (regolarizzazione della desinenza).


CICÒRA CRESTA

(o CICÒRA TI CAMPÀGNA o CICURÈDDHA)

nome italiano: cicoria selvatica

nome scientifico: Cichorium intybus L.

famiglia: Compositae o Asteraceae

Etimologia del nome italiano: cicoria: dal latino cichòrea, plurale di cichòreum (o cichorium), che è dal greco kichòreion; selvatica è dal latino silvàtica(m), femminile dell’aggettivo silvàticus/a/um , da silva=selva.

Etimologia del nome scientifico: per Cichorium vedi etimologia del nome italiano; ìntybus (o ìntibus o ìntibum o ìntybum o ìntubum)5 in latino indica la cicoria, tanto la selvatica quanto, tra le coltivate, l’indivia6.

Etimologia dei nomi della famiglia: come per zangòne e sprùscinu.

Etimologia del nome dialettale: dal greco kichòre, da cui è derivato il kichòreion citato nell’etimologia del nome italiano rispetto al quale, dunque, il nome dialettale mostra una derivazione diretta dalla parola primitiva; inoltre, la sua terminazione in –a non escluderebbe una origine dorica, anche se non è attestato un kichòra per kichòre, contrariamente a quanto è successo per side/sida=melograno (da cui il nostro seta); quasi da ecludersi, per via dell’accento, che cicòra sia dal greco kìchora attestato da Nicandro (II°sec. a. C.), Alexiphàrmaka, 429. Cresta corrisponde all’italiano agreste, dal latino agrèste(m); la voce dialettale rispetto all’italiana (che ha conservato nei due generi la terminazione latina di aggettivo della seconda classe a  presenta aferesi di a-, passaggio g->c– e regolarizzazione della desinenza (al maschile è crìestu).

Testimonianze degli autori classici: riporto per brevità solo quella di Plinio, anche perché le compendia tutte: “Ed ha un andamento prostrato anche l’intibo che in Egitto chiamano cicoria, su cui dirò di più altrove”. “In Egitto chiamano cicoria la pianta selvatica, seri quella coltivata, che è più piccola e più piena di venature. La cicoria presa col cibo o applicata ad empiastro dà sollievo in caso di ascesso; il succo della cotta libera il ventre, giova al fegato, ai reni e allo stomaco. Allo stesso modo, se viene cotta nell’aceto, risolve la ritenzione d’urina come pure, mescolata con vino e miele, la gotta, se la febbre è assente. Giova alla vescica. Cotta in acqua giova alla purificazione delle donne a tal punto che facilita l’espulsione dei feti abortiti. I maghi aggiungono che coloro che vengono unti col succo di un’intera pianta misto ad olio diventano più fortunati e ottengono più facilmente ciò che chiedono”. “In Egitto una considerazione vicinissima [a quella della colocasia] ha la cicoria, che chiamammo intibo erratico. Nasce dopo le Pleiadi [a primavera inoltrata], fiorisce a poco a poco. La sua radice è pieghevole, perciò la utilizzano anche per legare”. “La cicoria e simili hanno le foglie intorno a terra; germinano dalla radice dopo il sorgere delle Pleiadi” 7.

NGHIÈTA

nome italiano: bietola selvatica

nome scientifico: Beta vulgaris L.

famiglia: Chenopodiaceae

Etimologia del nome italiano: bietola è diminutivo di bieta, dal latino beta(m), con influsso di blitu(m)=spinacio; selvatica è dal latino silvàtica(m), femminile dell’aggettivo silvàticus/a/um , da silva=selva.

Etimologia del nome scientifico: Beta è il nominativo del beta(m) citato nell’etimologia del nome italiano; vulgaris (da vulgus=popolo) significa comune.

Etimologia del nome della famiglia: Chenopodiaceae è il nominativo femminile plurale dell’aggettivo derivato dall’altra voce latina scientifica chenopòdium modellata sull’aggettivo greco chenòpus/chenòpodos che (riferito a una donna) significa dai piedi di papera (composto da chen/chenòs=papera e pus/podòs=piede).

Etimologia del nome dialettale: da un latino *bleta [da un *betula, diminutivo di beta, attraverso i passaggi beta>*bètula>*betla (sincope di -u-)>*bleta (metatesi –etl->-let-), con passaggio ble->nghi (come in nghittàre=pettinare da *flectàre=piegare.

Testimonianze degli autori classici: anche qui riporto la sola testimonianza di Plinio: “Entrambe le bietole sono utili: si dice che la radice della bianca o della nera fresca e bagnata è efficace contro i morsi dei serpenti appesa ad un filo; la bietola bianca cotta e presa con aglio crudo (è efficace) contro le tenie; le radici della nera cotte in acqua eliminano la pitiriasi e si dice che la nera in generale è più efficace. Il suo succo attenua, i vecchi dolori di testa e le vertigini, applicato sugli orecchi ne calma il ronzio. Stimola la diuresi, somministrata cuta la dissenteria e la gotta, anche il dolore di denti. Il succo applicato in cataplasma è efficace pure contro il morso dei serpenti ma per questo solamente quello estratto dalla radice. La stessa cotta offre sollievo contro i geloni. La bianca applicata in cataplasma sulla fronte calma il catarro, pestata senza olio e con l’aggiunta di un pò di allume calma il fuoco di sant’Antonio. Allo stesso modo cura le ustioni. E viene applicata in cataplasma contro le eruzioni cutanee e cotta contro le piaghe che tendono ad estendersi e cruda contro l’alopecia e le piaghe della testa che emettono pus.  Il suo succo con miele instillato nelle narici purifica il capo. Si cuoce anche con le lenticchie con aggiunta di aceto, al fine di favorire la peristalsi intestinale. Cotta ferma più facilmente gli efflussi dello stomaco e dell’intestino” 8.

CARRUZZÌTULA

nome italiano: asperella

nome scientifico: Crepis neglecta L.

famiglia: Compositae o Asteraceae

Etimologia del nome italiano: vezzeggiativo di aspera (con riferimento alle foglie che sono ispide e dentate).

Etimologia del nome scientifico: Crepis è dal greco krepìs=stivaletto9; la stessa voce greca indica pure una pianta10. Neglecta, participio passato femminile di neglìgere, significa trascurata.

Etimologia del nome della famiglia: come per zangòne, sprùscinu e cicòra cresta.

Etimologia del nome dialettale: le varianti del Leccese caruzzìtula (Noha), calazzìna (Corsano, Castrignano dei Greci, Galatina e Leuca), calazzìtu (Aradeo, Alezio, Cursi, Galatone, Gallipoli, Neviano, Parabita e Seclì) fanno pensare ad una derivazione dal greco galactìda, accusativo di galactìs=euforbia, da gala=latte, con passaggio g->c-, –l->-r-, successivo raddoppiamento espressivo –r->-rr– e suffisso diminutivo11.

Testimonianze degli autori classici: vedi nota 10.

________

1 La corrispondenza tra fògghie e l’italiano foglie è solamente formale, non semantica. Per indicare la foglia, infatti, il neretino usa fugghiàzza (al plurale fugghiàzze) in cui il suffisso peggiorativo  (corrispondente all’italiano –àccia) ha la funzione di distinguerlo da fògghie non a caso usato solo al plurale, con valore collettivo a mascherare l’iniziale sineddoche (in questo caso la parte per il tutto, la foglia per l’intera pianta); ‘mbiscàte è participio passato femminile plurale di ‘mbiscàre=mescolare, corrispondente all‘italiano invescare [da in+vesco (variante obsoleta di vischio + –are)]  con cambiamenti che si riassumono nella trafila: invescàre>*’nvescàre (aferesi di i-)> *‘mbescàre (passaggio –v->-b– e, immediatamente successivo, ‘n>’m)>’mbiscàre (passaggio –e->-i-).

2 Degli autori greci riporto la trascrizione italiana quando si tratta di una sola parola e dei brani più estesi la sola traduzione in italiano a causa dell’impossibilità da parte del server di riprodurre correttamente i caratteri greci.

3 Ecale è la protagonista (una vecchia contadina che ospita nella sua capanna Teseo sorpreso da una tempesta mentre si dirigeva a Maratona per uccidere il toro cretese che Eracle aveva riportato in Grecia; dopo aver compiuto l’impresa Teseo, al suo ritorno alla capanna, trovò la donna morta e, per gratitudine dell’ospitalità ricevuta, istituì in suo onore le feste ecalesie) dell’omonima opera di Callimaco (poeta e fIlologo greco del III° secolo a. C.), della quale ci sono pervenuti solo pochi frammenti e, grazie a Plinio, due dettagli; il primo l’ho appena riportato, ecco il secondo (op. cit. XXVI, 50): Eadem vis crethmo ab Hippocrate admodum laudatae. Est autem inter eas quae eduntur silvestrium herbarum. Hanc certe apud Callimacum apponit rustica illa Hecale… (Le stesse proprietà [dell’artemisia, di cui ha parlato subito prima] ha il finocchio marino tanto lodato da Ippocrate. Certamente in Callimaco quella contadina Ecale lo mette in tavola…). E a distanza di millenni, nonostante la penuria di eroi,  lo zangone e l’erba ti mare colpiscono ancora…

4 Naturalis historia, XXII, 88-90: Estur et soncos -ut quem Theseo apud Callimachum adponat Hecale- uterque, albus et niger. Lactucae similes ambo, nisi spinosi essent, caule cubitali, anguloso, intus cavo, sed qui fractus copioso lacte manet. Albus, cui e lacte nitor, utilis orthopnoicis lactucarum modo ex embammate. Erasistratus calculos per urinam pelli eo monstrat et oris graveolentiam commanducato corrigi. Sucus trium cyathorum mensura in vino albo et oleo calefactus adiuvat partus ita ut a partu ambulent gravidae. Datur et in sorbitione. Ipse caulis decoctus facit lactis abundantiam nutricibus coloremque meliorem infantium, utilissimus his, quae lac sibi coire sentiant. Instillatur auribus sucus, calidusque in stranguria bibitur cyathi mensura et in stomachi rosionibus cum semine cucumeris nucleisque pineis. Inlinitur et sedis collectionibus. Bibitur contra serpentes scorpionesque, radix vero inlinitur. Eadem decocta in oleo et punici mali calyce, aurium morbis praesidium est. Haec omnia ex albo. Cleemporus nigro prohibet vesci ut morbos faciente, de albo consentiens. Agathocles etiam contra sanguinem tauri demonstrat sucum eius, refrigeratoriam tamen vim esse convenit nigro et hac causa inponendum cum polenta. Zenon radicem albi in stranguria suadet.

XXVI, 163: Erigeron ex passo mammas uberiores facit, sonci farre cocti ius.

5 Tutti dal greco bizantino entùbi, a sua volta dal tardo entùbion probabilmente di origine semitica.

6 Dall’entùbion della nota precedente.

7 Naturalis historia, XIX, 129: Est et erraticum intubum, quod in Aegypto cichorium vocant, de quo plura alias; XX, 73-74: In Aegypto cichorium vocant quod silvestre est, sativum autem serim, quod est minus et venosius. Cichorium refrigerat in cibo sumptum vel inlitum collectiones; sucus decocti ventrem solvit, iocineri et renibus et stomacho prodest. item, si in aceto decoquatur, urinae tormina discutit, item morbum regium e mulso, si sine febri sit. Vesicam adiuvat. Mulierum quidem purgationibus decoctum in aqua adeo prodest, ut emortuos partus trahat. Adiciunt Magi suco totius cum oleo perunctos favorabiliores fieri et quae velint facilius impetrare; XXI, 52: In Aegypto proxima auctoritas cichorio est, quod diximus intubum erraticum. Nascitur post vergilias, floret particulatim. Radix ei lenta, quare etiam ad vincula utuntur illa; XXI, 61: cichorion et similia circa terram folia habent; germinant ab radice post vergilias”;

8 Naturalis historia, XX, 27: Nec beta sine remediis est utraque: sive candidae sive nigrae radix recens et madefacta suspensa funiculo contra serpentium morsus efficax esse dicitur; candida beta cocta et cum alio crudo sumpta contra taenias; nigrae radices in aqua coctae porriginem tollunt, atque in totum efficacior esse traditur nigra. Sucus eius capitis dolores veteres et vertigines, item sonitum aurium sedat infusus iis. Ciet urinam, medetur dysintericis iniecta et morbo regio, dolores quoque dentium sedat. Inlitus sucus et contra serpentium ictus valet, sed hoc radici dumtaxat expressus. ipsa vero decocta pernionibus occurrit. Alba epiphoras sedat fronti inlita, aluminis parvo admixto ignem sacrum sine oleo trita. Sic et adustis medetur. Et contra eruptiones papularum, coctaque eadem contra ulcera, quae serpunt, inlinitur, et alopeciis cruda et ulceribus, quae in capite manant. sucus eius cum melle naribus inditus caput purgat. Coquitur et cum lenticula addito aceto, ut ventrem molliat. Validius cocta fluctiones stomachi et ventris sistit.

9 In italiano crèpida, dal latino crèpida(m), a sua volta dal greco krepìda, accusativo del citato krepìs; si trattava di un sandalo con suola molto alta, allacciato al collo del piede mediante strisce di cuoio. Il lungo e flessuoso gambo della pianta richiamerebbe, sia pur molto vagamente, il modello di calzatura.

10 La voce in latino vale come sinonimo del crèpida di cui alla nota precedente, ma in Plinio (I° secolo d. C.) è anche il nome di una pianta: Naturalis historia, XXI, 59: Caule foliato est crepis et lotos (il crepi e il loto hanno il gambo provvisto di foglie). Questo, come molti altri brani di Plinio, è ripreso da Teofrasto (IV°-III° secolo a. C.), De historia plantarum, VII, 8, 3: “Annesso al gambo hanno le foglie il crepi…”.

11 La derivazione etimologica è legata solo alla caratteristica della carruzzìtula di emettere latte dalle lesioni, come di regola avviene nelle euforbiacee e, dunque, anche nella galaktìs; per il resto, la nostra erba non è un’euforbiacea e questo non ci autorizza a ipotizzare rapporti di parentela con la galaktìs o, siccome siamo sotto Natale, ancor più suggestivamente, con la stella di Natale. Della carruzzìtula si utilizzano solo le foglie e i giovani germogli.

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27 Commenti a Ed oggi conosciamo le verdure di campagna, tanto care ai salentini

  1. bene Armando, pure stavolta ti sei sfiziato,
    eadesso… tutti a tavola: cecore reste e foje mmische cu le fave janche e l’oju nosciu salentinu, quiddhru verde, appena fattu.

  2. secondo me, post con questi contenuti dovrebbero essere più frequenti, e stimolare al rispolvero di conoscenze contadine che purtroppo stanno andando svanendo nel nulla, haimé.

  3. Caro Giuseppe, mi fa piacere constatare che, tra le persone della nostra età, non solo l’unico a pensarla in un certo modo. Tempo fa avevo scritto a corredo di un bel pezzo di Antonio Bruno (vedi: papaveri-e-paparine/) un commento che, per pigrizia, copio-incollo qui di seguito, col quale volevo lanciare il tuo stesso identico messaggio:

    “Colgo l’occasione offerta da questo ispirato pezzo […] per mettere in luce la invisibile necessità – che forse farà persino sorridere qualcuno – di salvaguardare conoscenze qui evocate che si vanno perdendo insieme alle prassi, espresse nella prassi, conoscenze che si acquisivano e si possono acquisire solo facendo, cioè, per venire allo specifico, partecipando alla raccolta delle verdure selvatiche con qualche anziana. Noi giovani abbiamo da re-imparare da zero a riconoscere le paparine, come le altre verdure tipiche spontanee, tra i campi, distinguendole le une dalle altre, le commestibili da quelle che buone o commestibili non sono. Vi sembrerà un’affermazione esagerata ma non temo di sbagliare dicendo che abbiamo perso in pochissimi decenni, nel giro di una due-generazioni al massimo, questa conoscenza affinata e tramandata nell’esperienza di millenni e secoli. La mia generazione (sottoscritto compreso), sarà pure plurilaureata, ma, non ho dubbi, in un campo in qualunque stagione non saprebbe assolutamente distinguere una paparina da una cicoria selvatica e questa dall’erbaccia indigesta!! Non mi stupirei se qualcuno, da qui a pochi anni, ravvedesse la necessità di corsi e tirocini da pagarsi a caro prezzo come l’unico modo per tramandare queste abilità a chi volesse carpirle. Queste conoscenze non sono ancora perdute, piuttosto le direi smarrite, prendendo a prestito una sottigliezza linguistica machiavellica (sovviene infatti qui il liceale ricordo della lettera di Machiavelli a Francesco Vettori: ” Dico questo perché mi pareva di aver non perduto, ma smarrito la grazia Vostra, essendo stato Voi molto tempo senza scrivermi”). Andare a raccogliere verdure per campi non ha più ovviamente un valore di sussistenza, tutto ciò può e dovrebbe valere piuttosto come un ottimo modo per fare sana attività fisica a contatto con la natura, conservando al contempo saperi e…sapori. Il tutto con un gesto antico, sano, naturale, ecologico, a cui fa da logico compimento il gesto domestico del saper continuare a cucinare ancora certi alimenti. Cultura da salvaguardare in breve.”

    Questo pezzo di Armando – come quelli di Antonio Bruno – mi pare un altro buon passo in avanti per rimediare a queste invisibili ma importanti perdite di conoscenza… Pertanto un ringraziamento per entrambi è d’obbligo! ;)

  4. Carissimo Armando leggo le tue schede sulle varie piante eduli del salento e mi nutro di quella parte della scienza che per vari motivi non fanno parte del mio bagaglio culturale, i miei studi scientifici e tecnici non mi hanno fatto conoscere quella parte della letteratura classica che è così importante tanto quanto la chimica o la botanica e per cui tracanno come una bibita fresca quanto esponi con dovizia di particolari e riferimenti bibliografici. Mi permetto a rigor di scienza e ai fini del riconoscimento che lo spruscianu rappresentato nella foto, non corrisponde al Sonchus asper, il crespigno, ma a Picris echioides, l’aspraggine, sempre della famiglia delle composite. Il sonchus asper è uno zangune che a differenza del S. oleraceus, che al taglio emette un lattice biancastro, ha le foglie più strette e che al tatto da la sensazione di una leggera spinescenza. Roberto Gennaio

  5. Ringrazio della correzione, per me tanto più preziosa perché proveniente da fonte autorevolissima. Prego la redazione, se è possibile, di provvedere alla rettifica della scheda relativa.

    • Manca perché nel nostro territorio ha un uso più officinale che commestibile. Il nome dialettale (suffiòne) come quello italiano comune (soffione) fa riferimento ad uno dei giochi dei bambini (e non solo …) di un tempo, quando si divertivano a disperderne al vento l’infiorescenza con un soffio più o meno energico.

      • SCUSATE, io sono di origini salentine lato nord. Per noi (ai miei tempi) il grespino era lu zzancone, il tarassaco era li cicuredd o spaccapetr

  6. Ottima presentazione molto, molto dettagliata e ben precisa.
    Vorrei sapere altre piante che qui nell’ alto Salento noi raccogliamo.
    Di cui un nome che mi viene adesso e’ il tarassaco altre che non so i nomi.

    • “Zirnia” è deformazione, per dissimilazione -nn->rn-, di “zinnia”, che è dal latino scientifico “Zinnia”, a sua volta da “Zinn” (nome di un medico tedesco del XVIII secolo). La pianta, coltivata per i suoi fiori molto decorativi, non mi risulta commestibile.

      • Probabilmente Biagio si riferiva alla “zavirnia”, il nome deriva dal greco “smurna”o “smyrna” che significa mirra, dovuto al succo della pianta che odora di mirra, secondo Plinio. Mentre il nome specifico “olusatrum” dal latino “olus”= erbaggio, erba buona da mangiare, “atrum” = scuro, sopratutto, forse con riferimento alle radici scure, ai fusti, foglie e semi, i quali sono tutte parti commestibili della pianta.
        Le gemme dei nuovi rami in primavera si possono mangiare (soprattuttofritte in pastella).

        http://amicideifunghiedellanatura.blogspot.it/2011/02/smyrnium-olusatrum-l-corinoli-comune.html

        • La smurnia, cioè il sedano selvatico. In Gallura è detto Lisandru. Dal generale greco Lisandro che andò a ritirarsi e poi morire nell’isola di Smirne.

  7. Le bietole selvatiche a Lecce le chiamiamo “Seuche rieste”. Al singolare “Séuca” dovrebbe derivare dal Greco “Leucos” = Bianco (colore predominante del gambo delle foglie).

    • Il passaggio da lambda (l) ad s mi sembra foneticamente improponibile. Io metterei in campo il greco σεῦτλον (sèutlon)=bietola; in greco moderno è σέκλο (seclo).

      • Dalla Grecia (Corfù)…
        Non SEKLO, ma SESKLO.
        Bravi tutti, complimenti.
        Cordiali saluti,
        Angelo De Stefano

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