Il cocomero asinino. La pianta che “sputa” per perpetuarsi

La cucùzza pàccia: una pianta spara solo per seminare la vita; pazzi siamo solo noi umani.

di Armando Polito

nomi dialettali neretini: cucùzza paccia, sputa ilenu

nomi italiani: cocomero asinino, elaterio, schizzetti

nome scientifico: Ecballium elaterium A. Rich

Cosa direbbero le piante di noi e quali aggettivi userebbero per definire certi nostri atteggiamenti e comportamenti? Anche il termine più negativo sarebbe sempre e comunque appropriato alla situazione, perché loro giudicherebbero in base alle leggi più alte e più giuste, quelle della Natura, mentre il nostro giudizio è sempre e comunque condizionato in modo pesante e determinante  da ciò di cui andiamo fieri nel ritenerci superiori ai vegetali e alle bestie: la ragione e la sua applicazione pratica, la cultura. Ne consegue che, credendo di formulare un giudizio che è solo frutto di pregiudizio, spesso appiccichiamo etichette a destra e a manca non risparmiando nemmeno quelle forme di vita che, sempre noi, riteniamo diverse dalla nostra e, naturalmente, inferiori.

Successe tanto tempo fa in una campagna di Nardò: un essere umano incontrò per la prima volta una strana pianta che recava in cima agli steli, appena spuntanti dalle larghe foglie, dei frutti ovoidali molto simili ad una minuscola miluncèddha. Si accostò e, per osservarla meglio, le si inginocchiò accanto. Aveva appena iniziato il suo esame quando fu investito da un’emissione plurima di liquido appiccicoso misto a corpuscoli scuri, parte del quale gli imbrattò i pantaloni e la faccia, facendogli fare un sobbalzo. Superato il primo attimo di autentico terrore, si accorse che la pianta non aveva più tutti i suoi cocomerini, anzi non gliene erano rimasti più di tre. Le si avvicinò di nuovo e non appena toccò uno dei frutti residui fu investito di nuovo da uno schizzo. La reazione violenta e incomprensibile (sempre secondo la logica umana…) della pianta segnò anche il suo destino onomastico (non solo quello dialettale); e l’uomo decise di chiamarla cucùzza paccia (zucca pazza)1 o (meno usato) sputa ilènu (sputa veleno).

Non ha bisogno di chiarimenti etimologici il primo e l’ultimo dei nomi italiani (cocomero asinino e schizzetti, a parte quell’asinino che tradisce, pure lui!, il nostro antico vizietto…2), mentre elaterio è chiaramente la trascrizione del secondo componente del nome scientifico, su cui mi soffermerò.

Ecbàllium è modellato sulla radice del verbo greco ekbàllein=lanciare fuori, mentre (come se il riferimento non fosse stato chiaro…); elatèrium è la trascrizione del neutro (elatèrion) dell’aggettivo, sempre  greco, elatèrios/elatèrion  che  significa “che respinge o allontana” e, come termine medico, “purgativo”; proprio il neutro elatèrion, con valore sostantivato, è pure il nome della nostra pianta (citato, fra gli altri, da Ippocrate3 (V°-IV° secolo a. C.), e da Teofrasto4 (IV°-III° secolo a. C.).

Ampio spazio gli dedica pure Plinio (I° secolo d. C.)5: “Abbiamo detto che c’è il cocomero selvatico, molto più minuscolo di quello coltivato. Da esso si ricava un medicamento che si chiama elaterio col succo spremuto dal seme e se non viene colto per tempo il seme schizza con pericolo pure per gli occhi. Colto poi viene messo da parte per una notte, il giorno successivo viene inciso con una canna e il seme viene cosparso di cenere per assorbire l’abbondanza di succo; una volta spremuto viene trattato con acqua piovana e si fa depositare, poi viene essiccato al sole per preparare pastiglie molto usate dagli uomini contro i difetti e le malattie degli occhi, le ulcere delle guance. Dicono che una volta toccate le radici delle viti da questo succo gli uccelli non beccano l’uva. La radice poi cotta in aceto viene applicata sulle manifestazioni gottose e col succo si cura il mal di denti, secca mista a gomma sana l’impetigine e la scabbia e quelle malattie che chiamano rogna e eczemi, la parotite, gli ascessi e restituisce alle cicatrici il colore naturale della pelle e il succo delle foglie con aceto viene instillato negli orecchi sordi. La stagione dell’elaterio è l’autunno e nessum medicamento dura più a lungo. Si comincia ad usare dopo che è invecchiato tre anni. Se uno vuole usarlo più fresco tratti prima le pastiglie con l’aceto a fuoco lento in un vaso di creta nuovo. Tanto è migliore quanto più è vecchio ed è stato già conservato per duecento anni, come scrive Teofrasto e fino a cinquanta spegne la luce delle lucerne. Ne è prova il fatto che se è accostato al lume lo fa sfavillare sopra e sotto prima che lo spenga. Quello pallido e leggero è migliore dell’erbaceo e grossolano e lievemente amaro. Ritengono che il seme legato alla donna aiuti il concepimento a patto che non tocchi terra e che legato in lana di montone alle reni della donna, senza che lei lo sappia, facilita il parto; ma subito dopo il parto dev’essere portato fuori di casa. Coloro che esaltano il cocomero dicono che il migliore nasce in Arabia, poi in Arcadia; altri dicono che a Cirene il cocomero simile all’elitropio cresce tra rami e foglie fino alla grandezza di una noce e che il seme poi è ricurvo come la coda di uno scorpione, ma bianco. Alcuni infatti chiamano il cocomero scorpione essendo efficacissimi il seme e l’elaterio contro il loro morso e per purificare  la matrice l’intestino. La dose in rapporto alle forze vada mezzo obolo ad uno intero; una dose più elevata è letale. Così si beve contro la ftiriasi [infestazione da piattole] e l’idropisia. Applicato con miele o olio vecchio sana le angine e le arterie”.

Altro che pazza la nostra zucca (altra voce che nel mondo degli umani ha assunto un significato negativo e suscitato meraviglia quando qualche anno fa il suo prezzo sul mercato era diventato, addirittura, il simbolo dell’aumento dei prezzi)! Il suo comportamento obbedisce solo all’istinto più profondo che è quello della perpetuazione della specie (mentre noi da tempo abbiamo privilegiato la sua forma più egoistica, quello di conservazione) e ciò che consideramo normale in noi (l’eiaculazione) diventa strano (sempre ai nostri occhi) in un vegetale. E abbiamo pure la spudoratezza, nella nostra profonda ignoranza di ciò che ci circonda, di ritenerci intelligenti…6

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1 Chi avrebbe immaginato che dopo secoli lo stesso sarebbe successo, sia pure in condizioni diverse e contrarie alla natura, sempre per colpa dell’uomo, ad una povera mucca?

2 Analogamente è successo per la pertosse, il cui stadio parossistico ha suggerito altri nomi con cui è designata la malattia (tosse canina, tosse cavallina, tosse asinina).

3 Epidemiae, VI, 5, 15.

4 De historia plantarum, IV, 5, 1. In un altro passo (IX, 9, 4) della stessa opera Teofrasto chiama elatèrion il farmaco estratto dalla pianta.

5 Naturalis historia, XX. 3-10: “Cucumin silvestrem esse diximus, multo infra magnitudinem sativi. Ex eo fit medicamentum, quod vocatur elaterium, suco expresso semi, cuius causa nisi maturius incidatur, semen exilit oculorum etiam periculo. Servatur autem decerptus una nocte, postero die inciditur harundine, semenque cinere conditur ad coercendam suci abundantiam, qui expressus suscipitur aqua caelesti atque subsidit, deinde sole cogitur in pastillos ad magnos mortalium usus, obscuritates et vitia oculorum, genarum ulcera. Tradunt hoc suco tactis radicibus vitium non attingi uvas ab avibus. Radix autem ex aceto cocta podagris inlinitur sucoque dentium dolori medetur, arida cum resina inpetiginem et scabiem quaeque psoram et lichenas vocant, parotidas, panos sanat et cicatricibus colorem reddit, et foliorum sucus auribus surdis cum aceto instillatur. Elaterio tempestivus est autumno, nec ullum ex medicamentis longiore aevo durat. Incipit a trimatu. Si quis recentiore uti velit, pastillos in novo fictili igni lento in aceto domet. Melius quo vetustius, fuitque iam CC annis servatum, ut auctor est Theophrastus, et usque ad quinquagesimum lucernarum lumina extinguit. Hoc enim veri experimentum est, si admotum, priusquam extinguat, scintillare sursum ac deorsum cogat. Pallidum ac leve herbaceo ac scabro melius ac leniter amarum. Putant conceptus adiuvari adalligato semine, si terram non adtigerit, partus vero, si in arietis lana alligatum inscientis lumbis fuerit, ita ut protinus ab enixu rapiatur extra domum. Ipsum cucumin qui magnificant, nasci praecipuum in Arabia, mox in Arcadia; Cyrenis alii tradunt similem heliotropio cucumin inter folia et ramos provenire magnitudine nucis iuglandis, semen autem esse ad speciem scorpionum caudae reflexum, sed candidum. Aliqui etiam ab scorpione cucumim vocant, efficacissimo contra scorpionum ictus et semine et elaterio et ad purgandam uterum alvosque. Modus pro portione virIum ab dimidio obolo ad solidum; copiosius necat. Sic et contra phthiriasim bibitur et hydropises. Inlitum anginas et arterias cum melle aut oleo vetere sanat”.

6 Questa autocritica, tuttavia, non mi impedisce di spendere una voce a favore del mondo contadino che, nonostante tutto, ha umanizzato con cucùzza pàccia e sputa ilènu la stessa caratteristica espressa così asetticamente in parte dai nomi italiani, in toto da quelli scientifici.

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