Dal gomitolo alla poesia passando per la cucina, senza trascurare il parrucchiere; in una parola: lu gnummarièddhu, ovvero il Salento chiama, Napoli risponde

di Armando Polito

immagine tratta da http://www.flickr.com/photos/50356683@N07/5239692866/

Chiedo preliminarmente scusa per il titolo kilometrico che fa il verso a quelli in voga nei secoli scorsi, ma non avevo altro strumento per sottolineare una sorta di gemellaggio tra due culture dal comune denominatore storico e tra il primo sito (http://www.vesuvioweb.com/new) che mi ha ospitato  (il primo amore non si scorda mai…) e quello che attualmente è la mia seconda casa e famiglia (secondo mia moglie, casa-famiglia…); è questo il motivo per cui queste poche righe, grazie alla benevolenza dei loro rispettivi creatori, compaiono in contemporanea sull’uno e sull’altro.

Lascio come al solito ad altri più attrezzati di me ogni altro pensiero sulla prelibatezza di oggi e mi soffermo solo sulla parola cercando di delinearne l’albero genealogico.

Tutto ebbe origine da una voce latina, glomus/glòmeris=gomitolo, voce di genere neutro che, dopo un cambiamento in maschile (metaplasmo), dall’accusativo glòmerem diede vita all’italiano glòmere, voce tecnica che indica l’ aggruppamento formato durante i mesi invernali dalle api operaie di uno stesso sciame che si riuniscono insieme allo scopo di mantenere all’interno dell’ammassamento stesso un’elevata temperatura. L’originario nominativo glomus (peraltro affine a globus=globo) ha dato vita all’obsoleto ghiomo, sempre con il significato di gomitolo.

E lo stesso gomitolo è forma diminutiva di ghiomo con probabile incrocio con gomito.

Molti secoli prima dell’italiano glòmere (che risale a quello appena trascorso) si sviluppò, sempre dal latino glòmerem (probabilmente per ulteriore metaplasmo da un *glomeru(m) più che per regolarizzazione della desinenza) il gliòmmero o gliuòmmero, genere poetico di origine popolare diffusosi negli ambienti letterari napoletani verso la metà del XV secolo (ma la parola era già in uso nel nel suo significato di base nel secolo precedente) e continuato nel successivo. Il significato metaforico di gomitolo è legato alle caratteristiche di queste composizioni che in endecasillabi con rimalmezzo trattano in modo affastellato di argomenti del giorno, ricordi di storie datate, allusioni, proverbi e simili. Altri slittamenti metaforici, e la voce indica “Dieci carlini della vecchia moneta, ducato; quantità di monete avvolte in una striscia di carta, rotolo; intrigo, raggiro” (Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Paravia, Torino, 1887, pag. 310);  poi nel 1955 eccola con un ulteriore significato metaforico nel testo della canzone ‘O nfìnfero il cui autore è Luigi Cioffi (la musica è del padre Giuseppe, così tutto rimane in famiglia):  Venitelo a vedé,/mo passa ‘o nfinfero/cu ‘o cuollo ‘mpusumato1/e ‘a capa a gliommero (Venitelo a vedere, sta passando il fanfarone2/col colletto inamidato e la pettinatura a gomitolo).

Diminutivo del napoletano gliòmmero (per me un indizio è proprio la geminazione di –m3) è il nostro4 gnummarièddhu in cui il gruppo gn– è figlio dello stesso processo che ha portato a gnuttìre (inghiottire) partendo dal latino tardo ingluttìre.

E ora, ricordando tutt’al più, accanto al gomitolo della nonna, la poesia ma non il raggiro e tantomeno  i capelli…, buon appetito!

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1 Quasi tal quale il neretino ‘mpusimàtu, da pòsima=amido, come l’italiano bozzima (con errata discrezione dell’articolo) dal latino tardo apòzema(m)=decotto, a sua volta dal greco apòzema (da apozèo=far bollire, da apò=di nuovo e zeo=bollire).

2 La mia traduzione tradisce il rapporto tra ‘nfìnfero e fanfara, cosa di cui sono tutt’altro che sicuro e per la quale chiedo aiuto, ed eventualmente scusa, agli amici napoletani.

3 Anche se è attestata la forma senza geminazione, solo nel significato originario di gomitolo,  gnuòmere (nel Tarantino a Palagiano), mentre le forme gnèmburu (a Brindisi) e gnòmburu (ad Otranto) sono chiaramente frutto di dissimilazione di un originario –mm-.

4 Le varianti attestate dal Rohlfs oltre a gnummarièddhu (a Maglie nel Leccese, e a Brindisi) sono: gnemmarièddhu (a Lecce e a Squinzano), gnemmarièddhe (a Ostuni, nel Brindisino), gnimmarièddhu (ad Oria nel Brinsidino), gnumarìdde (a Taranto), gnemarèdde (ancora a Brindisi). Va ricordato che a Nardò questa squisitezza (lo ammetto, sarà tale, ma debbo gettare la maschera: non la mangerei neppure sotto tortura…) è chiamata ‘mbotu, che ha la stessa etimologia dell’italiano involto: dal latino involùtu(m) con semplice sincope di –u– nella voce italiana, aferesi di i-, normalissimo passaggio –v->-b– e altrettanto normale scomparsa di –l– come in ccotu=colto, motu=molto, etc. etc.; se nel primo gruppo di voci esaminate si partiva dall’idea del gomitolo che sempre avvolgimento è, quest’ultima idea continua nella voce neretina appena ricordata, mentre le voci nel Leccese dI Merine  (turcinièddi) e nel Tarantino di Massafra (turcenìdde) introducono l’idea del torcere, che, ancora una volta, avvolgimento è.

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3 Commenti a Dal gomitolo alla poesia passando per la cucina, senza trascurare il parrucchiere; in una parola: lu gnummarièddhu, ovvero il Salento chiama, Napoli risponde

  1. Grazie, caro Armando,
    per aver ricordato con la consueta competenza li “gnemmarieddhi”, tradizionali del periodo non solo natalizio o pasquale della terra di Puglia.
    Ma il gomitolo per essere tale andava avvolto, donde, come tu ben scrivi, “mbotu”, non solo a Nardò, ma anche a Gallipoli, dove peraltro attorcigliare si dice notoriamente “nturtiijare”
    Infatti questa delizia gustativa, che io mi permetto di non disdegnare quanto torno in terra salentina, è però nota nel Salento brindisino e non solo, anche col termine “nturtigghiatu”, ma “nturtijatu” nei miei ricordi di dialetto gallipolino. Mi permetto anche io quindi di citare il Rohfs il quale alla pag 427 del suo meritorio “Vocabolario”, nell’edizione di Congedo del 1976, chiarisce le origini del termine riferendolo al delizioso aretto citando il manoscritto degli anni 1929-32 di Fernando Manno e il “Vocabolario domestico” di Antonio Bernardini Marzolla (1889).
    Buona domenica a tutti gli amici di “spigolature…” salentini e non.
    Ieu ‘tocca ‘bau fusciendu alla fatìa!

  2. Bravo, bello, buono, Armando.
    Da Lo Gliòmmero’ del Sannazzaro a ‘o ‘mbruglietiello.
    Dalla poesia colta in lingua napoletana ala versione culinaria campagnola del gomitolo-matassa.
    Eh ce ne sarebbe da raccontare

  3. Specialità deliziosa se preparata in casa con tutte le accortezze igieniche e la capacità di ‘nturtijare” e di arrostire. Dovrò accontentarmi del ricordo de li gnemmarieddhri che preparava mia madre. Grazie Armando per queste sempre interessanti notizie e curiosità etimologiche sulla nostra storia culinaria. Buon Natale a tutti.

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