Come ti sistemo il bimbo!

 

Capitarru e spuèrtu

 

di Armando Polito

Il capitàrru nel dialetto neretino era un contenitore di legno o di creta, con una stabile base, munito di poggiatesta, opportunamente imbottito, nel quale le mamme ponevano il bambino in fasce per potersi dedicare tranquillamente alle faccende. La voce, per la quale il Rohlfs, limitandosi a registrare solo la forma capicàrru di Cutrofiano, Galatina e Soleto,  non fa nessuna proposta etimologica, secondo me potrebbe derivare da un  latino *capitàriu(m) forma deverbale dal tardo latino capitàre=prendere, dal classico càpere. Per indicare lo stesso oggetto a Bagnolo, Castrignano dei Greci, Cursi, Lecce, Martano e Squinzano si usava testa, femminile di tièstu1 (vaso di terracotta), con riferimento, credo, al materiale con cui l’oggetto veniva realizzato prima dell’uso del legno.

A Specchia era in uso il sinonimo stompu, che in altre zone del Salento (a Nardò nella forma stuèmpu) indicava un grande mortaio per sbucciare o pigiare il grano (da stumpàre=pigiare, per il quale il Rohlfs invita ad un confronto con il greco moderno stumpòno=pestare e che, aggiungo io, potrebbe essere collegato al classico stufo=contrarre, dal momento che qualsiasi materiale frantumato occupa uno spazio minore rispetto a quello che occupava da integro2. Non posso fare a meno di far notare che, se le etimologie proposte sono quelle esatte, mentre la prima voce (capitàrru/capicàrru) privilegerebbe l’idea del prendere, contenere e proteggere, la seconda (stuèmpu) evocherebbe l’immagine del bambino che appare come il pestello del mortaio. Poi vennero prima il seggiolone3 e poi iI box superaccessoriato di oggi, con ruote in lega leggera, dal fondo regolabile e plurivano, dotato di impianto di tv satellitare, che nella versione pieghevole (vedi foto) occupa, quando non è utilizzato, lo spazio del vecchio capitàrru; non ho difficoltà a dire che seggioloni e box non mi ispirano, pur con la fantasia straripante che gli altri mi attribuiscono, considerazioni analoghe a quelle che, a proposito di capitàrru e stompu, ho fatto sul rapporto stretto che un tempo c’era tra l’uomo, la natura, gli oggetti da lui creati e i nomi usati, direi con consapevole empito affettivo e, forse inconsapevole, vena poetica, per indicarli.

Un destino simile ha subito lo spuèrtu4 (il girello), nel quale i cambiamenti estetici, che in più di un dettaglio sembrano mediati dagli studi aerodinamici della Formula 1, hanno trasfigurato la struttura originaria. Anche qui per le opportune valutazioni, a partire proprio da quelle estetiche, lascio al lettore la possibilità di esprimere il suo giudizio con l’ausilio delle immagini.

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1 Dal latino testu(m); dalla forma femminile testa (con lo stesso significato di vaso di terracotta, credo per analogia di forma e non per intento ironico…) è derivata la corrispondente voce italiana.

2 Solo per dovere di completezza riporto l’opinione del Garrisi, che, come al solito, facendo concorrenza all’omonimo salto mortale, mette in campo l’incrocio, questa volta addirittura triplo, tra greco stumpiz, italiano tombare e leccesse zumpare. Di questo (greco!) stumpiz ma pure di analogo vocabolo di altre lingue non sono riuscito a trovare, nonostante i ripetuti tentativi, nemmeno l’ombra.

3 L’eliminazione della fasciatura tipo mummia, che in passato conferiva al neonato una notevole rigidità, non gli avrebbe consentito di restare ritto nel capitàrru.

4 L’uso della stessa voce a Felline col significato di cesto cilindrico di paglia e della variante sportu ad Alessano col significato di sporta in forma di grossa tasca ed a Corigliano in quello di canestro a sponde basse dove si mettono a seccare i fichi suggerirebbe la derivazione dal latino sporta(m)=cesta; non mi sentirei di escludere, tuttavia, un’origine deverbale dal latino exportàre=portar fuori, trasportare, parente, con lo stesso significato, di deportàre (alla lettera portare fuori porta), da cui il francese déporter=divertirsi, che ha dato vita, a déport=divertimento, dal quale, attraverso la variante antica desport, è derivato l’inglese sport; se così fosse spuèrtu (con la sua idea di base di divertimento e di attività fisica per il bambino) avrebbe bruciato sul tempo, essendo presumibilmente più antico, se non la voce francese, almeno quella inglese nata nel 1829.     

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