Note a margine di una tragedia

di Gianni Ferraris

Sto incollato ai vari TG che mi raccontano Genova. Austera, stupenda città. Conosco Brignole, ci sono stato un sacco di volte. Conosco la via dello shopping e dello struscio, Via XX Settembre devastata nella sua parte bassa. Ci sono stato un sacco di volte. E conosco le vie distrutte. Lì vicino c’è lo stadio di Marassi, bello, roba da mondiali novanta, poi c’è il carcere di Marassi, lì vicino c’è il cimitero monumentale. Il torrentello, tranquillo e quasi sempre asciutto, arriva, viene inglobato dal cemento, diventa strada, lui scorre là sotto, intanto è spesso a secco, chi se ne frega. Il 4 novembre non era più secco, si è semplicemente ripreso ciò che gli appartiene.  Quanti sono i torrentelli asciutti che vengono “intombati” (come dicono i TG) a Genova?  Troppi per non parlare di colpevolezza dei cementificatori che si sono susseguiti nei decenni ultimi. Troppi per non parlare di responsabilità della politica e di complicità fra i due. Complicità in omicidio plurimo premeditato? E che ne so, roba da giuristi, mica da uno che ama Genova e basta. Ora si diranno le parole di rito, si prometteranno promesse di rito, “ricostruzione subito”, per carità, “aiuteremo tutti”, per carità… il decrepito presidente del consiglio non andrà con il casco sui suoi belli capelli di plastica a fare una passeggiata nella merda e nel fango. Non ne ha il tempo, deve rincorrere transfughi del suo partito di plastica. Ma non importa, non fa nulla, “i genovesi sapranno risorgere”. La sindachessa dice che lei ha fatto bene a tenere aperte le scuole. Con il senno del poi possiamo tranquillamente dirlo che è stata una cazzata immane. L’alluvione è stata quando i ragazzi e i bambini erano in strada, stavano tornando a casa. Buona parte dei morti è da ricercare fra mamme e bimbi che da scuola volevano tornare. Se si fosse avuto il coraggio di chiudere la città e blindarla, visto che in TV e sui giornali si leggeva da giorni dell’onda di piena possibile… “Tutti a casa e non uscite, andate ai piani alti” roba simile insomma, “i genovesi sanno reagire” è vero. E sanno capire. Forse un falso allarme sarebbe stato meno devastante di un vero dramma. Tutto accade mentre qualcuno, laggiù a Roma, parla sommessamente dell’importanza del ponte sullo stretto. E se quei quattrini li spendessimo per il territorio? E se invece di foraggiare cosche di costruttori e cementificatori…. e se… e se…. e se…. Troppi se.

In tutto questo brilla di luce riflessa lei, la giovane arrembante giornalista del TG2 che definire “birichina” è poco, preferirei dire “cretina”.

Sono le 13, la “giornalista” con tanto di microfono sta a Genova, riesce ad acchiappare il marito di una donna morta nell’alluvione e il suo figliolo. Probabilmente è eccitata, roba da scoop, la storia è tristissima, la moglie dell’intervistato accompagnava a casa il figlio da scuola, arriva l’onda di piena, si tengono per mano, la mamma viene travolta, il bimbo viene fortunosamente salvato da un vicino di casa. Di fronte a questa tragedia il minimo che si chiede ad un giornalista che non sia un cretino è di accarezzare il bimbo e tacere. Invece lei gli ficca il microfono in bocca e gli chiede “hai avuto paura di morire? E la mamma cosa ha fatto?” A che punto arriva l’incapacità di informare? Pensavo che questi servizi fossero la bassa cucina delle macellerie di alcune TV private che spalano fango e gossip sulle persone spacciandole per informazione. Pensavo che i plastici fossero da terza serata, roba da Bruno Vespa insomma. Invece no, un bambino alle 13 deve essere travolto dal cattivo gusto, dall’improvvisazione di una sedicente giornalista che non esita di fronte a nulla. Però lei è giovane (anche se non è un alibi per l’ignoranza), quel TG avrà pure un direttore che sceglie…. Quando si parla di complicità…

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9 Commenti a Note a margine di una tragedia

  1. Mi piace riportare qui di seguito il testo di una canzone di Paolo Conte “Genova per noi”, che f a parte del mio repertorio. Non so perché, ma, grazie a questa canzone, ho sempre amato Genova. Per non dire dei cantautori “genovesi” come Luigi Tenco, Gino Paoli e Bruno Lauzi.

    GENOVA PER NOI [http://www.youtube.com/watch?v=2g4NJA-3dHs]

    I. Con quella faccia un po’ così
    quell’espressione un po’ così
    che abbiamo noi prima andare a Genova
    che ben sicuri mai non siamo
    che quel posto dove andiamo
    che ben sicuri mai non siamo
    non c’inghiotte e non torniamo più.

    II. Eppur parenti siamo in po’
    di quella gente che c’è lì
    che in fondo in fondo è come noi selvatica
    ma che paura che ci fa quel mare scuro
    che si muove anche di notte e non sta fermo mai.

    Genova per noi
    che stiamo in fondo alla campagna
    e abbiamo il sole in piazza rare volte
    e il resto è pioggia che ci bagna.
    Genova, dicevo, è un’idea come un’altra
    Ah… la la la la

    III. Ma quella faccia un po’ così
    quell’espressione un po’ così
    che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
    ed ogni volta l’annusiamo
    e circospetti ci muoviamo
    un po’randagi ci sentiamo noi.

    Macaia[1], scimmia di luce e di follia,
    foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia.
    E intanto nell’ombra dei loro armadi
    tengono lini e vecchie lavande
    lasciaci tornare ai nostri temporali
    Genova ha i giorni tutti uguali.
    In un’immobile campagna
    con la pioggia che ci bagna
    e i gamberoni rossi sono un sogno
    e il sole è un lampo giallo al parabrise.

    Con quella faccia un po’ così
    quell’espressione un po’ così
    che abbiamo noi che abbiamo visto Genova…

    [1] Bonaccia di scirocco (dialetto genovese).

  2. Genova per noi è Genova per i piemontesi…. Ne parlai da qualche parte. Odore di mare e di marcio, rumori e voci del porto e dell’angiporto. Macaja…. Genova era la meta… puttane e sigarette di contrabbando, De Andrè e Via del Campo con la sua chitarra nel negozio di dischi….

  3. Ho riflettuto un po su questa tragedia e mi sento infastidito da giudizi sommari del tipo “l’uomo e la natura”, il “degrado del territorio”, “lo scempio edilizio” e cose così. A Genova non è successo nulla di tutto questo, però si continua a parlarne con la solita ignoranza dei fatti che poi porta davanti a un problema vasto ed enorme, che pure esiste, la cui risoluzione però non è economicamente sostenibile e per questo non si fa mai nulla. A Genova è successo solo un guaio “tecnico” in un ambito urbano fortemente infrastrutturato. A un certo punto della storia della città, consapevoli dei rischi, si è deciso di coprire la sede del rio Fereggiano e farci sopra una strada. Come a Milano si fece per i Navigli e al mio paese per un piccolo canale. E le cose sono sempre andate bene per la portata di questo torrente di acqua piovana non è mai cresciuta più di tanto nel tempo non essendosi allargata troppo la città nella sua direzione con tanta nuova superficie impermeabilizzata da strade, case e piazzali. Invece il più importante torrente Bisagno in cui il rio Fereggiano sversa ha il tragitto complicato dal sottopassagio artificiale che comincia con la stazione Brignole. In pratica il Bisagno ingrossa perchè ha la strada semisbarrata e il Fereggiano si trova a sua volta lo sbocco nel Bisarto già pieno d’acqua. La conseguenza è stata che il percorso sotterraneo del rio Ferragiono all’interno della città va in pressione fino a far uscire l’acqua dai tombini. I tombini che dovrebbero drenare l’acqua delle strade invece la rigurgitano. La storia del Bisagno è stranota, vecchia e ha già fatto 24 morti negli anni ’70. Questa lunga premessa per dire che la natura vi entra poco in questa storia: l’uomo le ha lanciato, consciamente una sfida e l’ha persa. Persa poi non per incapacità tecnica ma per la mancanza di economie pari alla sfidai. L’uomo è un animale urbanizzante per istinto. Costruisce, trasforma, organizza e questa è la sua caratteristica che lo distingue dal regno animale. Detta questa premessa che porta alla conclusione che l’uomo ha sempre sfidato la natura, sia quando edificava capanne a piano terra o sofisticati grattacieli di 30 piani, quello che manca è proprio la cultura del rischio. Il modello giapponese era famoso perchè prevedeva che fosse possibile trasformare e costruire di tutto ma poi ogni cittadino o autorità deve essere conscia del rischio e dei piani di emergenza. Non so quanti abitanti di via Fereggiano ricordassero o sapessero del torrente solo i loro piedi. Forse si è persa pure la memoria, forse nessuno lo ha mai saputo. Nel caso di Genova piuttosto che lanciare un generico allarme a tutta la città bisognava solo allertare le aree già riconosciute a rischio cioè la stazione Brignole e il percorso tombato del rio Fereggiano.
    Per non lasciare dubbi sul mio discorso io credo che una città possa organizzarsi accettando dei rischi (esclusivamente materiali) in caso di eventi non frequenti ma tutelando in ogni caso la vita di ogni singolo cittadino. Vale a dire che si può accettare che le piogge eccezionali danneggino un negozio (il titolare però ne deve riconoscere il rischio e accettarne i danni) ma che mai e poi mai vadano ad allagare un piano interrato in cui dorme una coppia di anziani non autosufficienti o una mama con due bambini. Vale a dire esporre al rischio solo quello che può essere perso senza grossi riflessi. Questo però significa mappare e rendere noti i rischi, sia all’interno che all’esterno delle citttà perchè in ambito urbano le “colpe dell’abbandono del territorio” prorpio non ci stanno. Cosa c’entra tirare fuori le “case abusive” nel caso di Genova? A Genova c’era gente seduta sopra una bomba idraulica senza saperlo. E un comune che ha permesso di abitare le cantine.

  4. Dimenticavo di dire che il fatto che il rio Ferregiano fosse tombato è ininfluente alla tragedia. Tombare significa solo mettere al di sopra dell’alveo una copertura: nella condizione che il livello dell’acqua comincia a salire, il torrente a cielo aperto esonda, mentre il canale tombato rigurgita dalle aperture ( se ci sono) oppure se ermetico va in pressione (rompendosi :( o resistendo :) ). La conseguenza in caso di esondazione o rigurgito sono sempre quelle di un fiume in piena che corre per tutta l’area che l’acqua in sovrappiù decide di prendersi. Dalle immagini in tv, non molto diverse da tante altre tragedie, io ho visto gente mettersi nei guai per essere in piani interrati o per cercare di salvare l’auto, la moto o correre in macchina per mettere al sicuro un parente. Finchè non viene risolto il problema del tappo del Bisagno un chilometro più a valle (una cosa che ad oggi costerebbe duecentonovanta milioni di euro e che non si farà mai!) bisogna spiegare a questa gente il rischio che corre ogni giorno che piove e come comportarsi (non lasciare auto per strada, non percorrere quelle strade mentre piove specie con allarme metereologico, ecc..). Meccanismi difficili pure da attuarsi perchè Genova è particolare e poi perchè pare che appena parte un’alluvione la gente pensa solo a infilarsi in macchina. Ma forse proprio perchè si sentono al sicuro non conoscendo il tipo di rischio (mortale) che corrono arrivano a fare quel gesto fatidico in quei pochi minuti in cui tutto si incasina che gli costerà carissimo. Finora il massimo che è stato fatto in Italia è stato quello di mappare alla buona ( a volte solo con lo studio cartografico) alcune zone a rischio allagamento vietandone la trasformazione (o di costruire nuove costruzioni). Ma sono carte rimaste nei cassetti di tanti Uffci tecnici.

  5. in sostanza “dio lo vuole?” Mi pare un pò bizzarro evocare la sfida alla natura come naturale ed insita nell’uomo. E mi pare altrettanto bizzarro sostenere che la cura dei territori e dei corsi d’acqua non sia un problema, così come chi ha un negozio si arrangi. Non sono case abusive, non mi pare di averl odetto. Sono case e palazzi costruiti, ora lo sappiamo ,ma temo lo sapessero anche quando le costruirono, criminalmente costruite in alveo e da abbattere. Dire che chi abita in quei luoghi si assuma tutti i rischi è poco interessante come ipotesi, anche perchè è sacrosanto e giusto che i rischi di tragedie sociali le assuma la società nel suo complesso. Le colpe delleamministrazioni sono state quelel di far dormire persone negli scantinati, ma sopratutto quelle di non aver abbattuto i palazzi ingombranti. Ovivio e scontato che l’allarme andava lanciato in alcune zone e non nelal città, a Di Negro non ci azzeccava nulla un allarme per il luogo. C’entrava però per gli abitanti che evitassero magari di andarsi a comprare la focaccia a Brignole. E le scuole andavano chiuse tout court, invitando le persone a starsene a casa nelle zone sicure. E’ stato fatto a Torino, perchè a Genova no? Il territorio è stato abbandonato e dilaniato da incuria e quant’altro. Non è una tesi mia personale ,lo stano dicendo gli ambientalisi, gli ecologisti e gli esperti di ogni parte d’Italia dove succedono tragedie di queste dimensioni.
    Di qualcuno di loro, mi si consenta, mi fido.

  6. La cura del territorio è il simulacro invocato ogni volta che una frana decide di seguire la legge di gravità. Col crollo di monti e colline si è formata la pianura padana e oggi pretendiamo che si conservi immobile quando immobile non lo è mai stata. Abbiamo messo le città in fondo alle fertili valli, magari sulla foce di un fiume che dissata e irriga sapendo quali erano i rischi ed accettandoli. Oggi manca proprio la cultura del rischio perchè come la vogliamo girare l’attività unama è sempre stato un mix tra bisogni, economie disponibili, rischio e pericolo. Se queste componenti non sono bilanciate e tenute in giusta considerazione finisce sempre in tragedia. Qual’è il rischio accetabile? Se un fiume invade una via di venditori di scarpe avrò dei danni di un certo costo. Se l’evento succede ogni anno i costi diventano insopportabili per la gestione ( e anche per la società che può decidere o meno di coprirli perchè i benefici sono maggiori dei danni). Se però ci metto l’archivio storico della città il rapporto delle componenti cambia. Se ci metto dei poveracci (perchè in questi posti sfigati ci vanno solo gli sfigati) la loro morte è inaccettabile. Cosa rende accettabile il pericolo? la conoscenza del rischio che si corre!. A Genova negli anni settanta hanno imparato cos’è il rischio Bisgano oggi hanno imparato (o rimparato) il rischio Fereggiano. Qualcuno poteva spiegarlo prima il pericolo perchè finchè non si sistema il Bisagno il pericolo resta immutato. Lungo il percorso del Bisagno sopra il viale sovrastante si è evitato di mettere cose di valore memori della prima tragedia, qualcosa si farà anche per il Fereggiano perchè risolvere tutto il problema costa 290 milioni di euro e i lavori ormai fermi.
    Le tragedie poi hanno il vizio di verificarsi proprio dove c’è l’uomo, in ambienti comunque abitati e trasformati, perchè è dell’uomo trasformare e modificare tutto quello che si vede davanti. Nel deserto infatti le tragedie sono eventi rari. Il solo fatto di scegliere un luogo per risiedervi è un mix di bisogni economie e rischi. Se fondo una città in alto sto al sicuro dai nemici, ma col tempo la città potrà crollare e ho problemi di alimentazione idrica. Se la fondo alla valle avrò il beneficio delle acque facili ma rischio gli attacchi e le inondazioni. Genova, pur di stare e crescere davanti a quel mare di sacrifici e di rischi ne ha accettati tanti. Bisogna ogni tanto ricordarsi quali furono le ragioni di quella scelta e ricordarsi soprattutto i rischi che ne derivarono.
    E rendersi conto che i rischi nel tempo possono pure cambiare: se in campagna crolla un muretto a secco bisogna ricordarsi che sono andati via i vecchi contadini che lo rincalzavano tutti i santi giorni e che non nascono più nememno bambini. Marcello Gaballo sta facendo una strenua difesa degli alberi di ulivo argomento su cui tra qualche giorno scriverò un commento che dispiacerà molti. Ma non ci saranno bizzarrie dentro, ma solo tristi realtà ormai ineluttabili.
    Circa fidarsi degli esperti, specie quelli che dopo un collina che frana interrompendo una strada di montagna vengono fuori per rilanciare i propri interessi professionali o di ufficio, posso solo dirti che non c’è opera giusta (o infame) che non abbia una relazione onesta (o disonesta) di un esperto. Di vergini oneste nella mia carriera professionale ne ho visti pochi. Molti vanno a gettone, dimmi per cosa mi paghi e ti darò il parere che vuoi. Ho visto geologi firmare per lo stesso lotto di terreno carte che assicuravano la sicurezza delle nuove costrizioni e il giorno dopo firmare carte per conto del sindaco che chiedeva soldi pubblici per i pericoli immineti. Ho visto progetti importantissimi fermasi in uffici potenti per serie problematiche idrogeologiche sbloccarsi appena la consulenza veniva offerta all’amico.
    In questo caso l’esperto di cui potremmo fidarci tutti ha già parlato dopo appena un giorno di indagini e ha già scritto al procuratore di Genova che il problema è solo e sempre quello: il tappo del sottopassaggio della stazione Brignole. Una cosa risaputa, ma da molti colpevolmente dimenticata. Perchè abbiamo l’abitudine di nascondere insieme al problema anche la conoscenza dei rischi di quel problema. I rischi è meglio conoscerli che ti salvano la vita e il portafoglio. In questa storia, l’omino che taglia i rami secchi e zappa la terra sulle colline liguri è solo poesia e roba buona per la polemica di due giorni.

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