All Hallows eve, ovvero Halloween!

di Paolo Vincenti

Tra zucche, mostri e scheletri, puntuale, anche quest’anno, arriva Halloween, tradizione anglosassone importata in Italia alcuni anni fa, con un successo sempre crescente. Quale è il significato di Halloween e quali sono le sue origini? La parola Halloween, di origine anglosassone, deriva da “All Hallows Eve”, che significa “Notte di Ognissanti”, festeggiata il 31 ottobre, data che era molto significativa nell’antichità. Le origini di Halloween ci riportano ad un’epoca antichissima, cioè all’età dei Celti, che dominavano l’Europa prima dell’avvento dei Romani. L’anno nuovo, per gli antichi Celti, iniziava il 1 Novembre, quando i lavori nei campi erano ormai conclusi ed il raccolto era stato messo al sicuro; in quella data, erano ricordate tutte le divinità pagane ed erano ringraziate per la riuscita del lavoro nei campi, anche come auspicio per la nuova stagione. Questa ricorrenza era chiamata Samhain, ed i suoi colori

Libri/ I miei giochi scomposti

I miei giochi scomposti di Lara Savoia, Manni editori

 

di Paolo Rausa

I miei giochi s/composti di Lara Savoia sono un inno, per così dire, all’amore, attraversato secondo le innumerevoli modalità che una giovane poetessa può concepire. L’amore si traveste e assume via via le sembianze ora di una visione, ora di un sentimento profondo, ora di un desiderio sfrenato, e si tras/colora in immagini, della natura soprattutto. E su tutto incombe il tempo, come sedimentare di passioni, di delusioni, di aspirazioni ad un tutto che l’autrice vorrebbe abbracciare  e farlo proprio per l’eternità. Ecco che il sentimento diventa incalzante, si fa giorno, notte, stagioni, pianta, albero, scoglio, elemento marino, onda, risacca, impronta, velo che copre e che si squarcia ogni qualvolta il desiderio trova appagamento in rapporti amorosi carnali che giungono all’estasi del corpo e fanno toccare il vertice del piacere.

Lara Savoia attraversa con le sue poesie erotiche in un duplice gioco di erastés (amante) eratòs (amato), tanto caro alla lirica monodica greca e poi a quella simpodiale, una miriade di stati d’animo, ci conduce in quel regno incontrastato di Eros facendoci assaporare il dolce/amaro di un sentimento universale, che qui si tinge della sua dolce e appassionata sensibilità.

Sempre molto belle e suggestive le immagini che si susseguono e che ci invitano ad entrare in contatto con quel suo sentire illusionistico eppure reale,

Il ruolo dei Domenicani nella città di Gallipoli

di Gino Schirosi

Finora non era stato mai abbastanza riconosciuto quanto importante fosse stato il ruolo dei Padri Predicatori Domenicani in più di tre secoli e mezzo di presenza a Gallipoli. E quale fosse stato il contributo del loro impegno di predicazione e insegnamento nell’influire positivamente, forse ancor più dei Francescani, nel tessuto civile della nostra comunità, nell’evoluzione culturale della società, nella formazione dei giovani anche fuori dalle fasce elitarie, nella preparazione delle professioni e del clero, nel cammino dottrinario della Chiesa locale e persino nel radicamento istituzionale così come nella stima e nel favore popolare.

La storia dei P.P. Domenicani ebbe inizio nella primavera del 1517, allorché, grazie ai buoni uffici del governo spagnolo presso le autorità locali, raggiunsero Gallipoli invitati a fondare una loro comunità sulle estreme mura di ponente.  A reggere l’esigua diocesi gallipolitana (l’isola abitata ed il contado) era il cardinale Francesco Romelino, chiamato a ricongiungersi con l’Eterno Padre proprio l’anno successivo.

Erano trascorsi quattro anni dopo l’ultimo ufficio liturgico in lingua greca celebrato in cattedrale, da quando, chiusa la lunga parentesi bizantina, si avviava anche qui il rito latino, già in uso a Nardò e consolidato dai Normanni con feudatari e vassalli locali.

I Domenicani sostituirono l’ultimo abate di S. Mauro, appartenente ai monaci orientali di rito greco seguaci di S. Basilio, ormai in via d’estinzione nell’occidente cristiano. I frati si avvicendarono nel prendere possesso dell’antico cenobio greco-orientale, il “Magnum Monasterium Sanctae Mariae Servinarum Sancti Basilii”, citato in una bolla di papa Gregorio IX (m. 1241). Era stato distrutto, pare, durante l’assedio rovinoso di Carlo II d’Angiò (1284). Passarono ai frati di S. Domenico tutti i beni, già dei monaci Bizantini del monastero basiliano, presenti a Gallipoli dal sec. VIII dopo le persecuzioni iconoclastiche. Il patrimonio, con l’avallo delle autorità ecclesiastiche, fu trasferito alla diretta amministrazione dei nuovi arrivati.

La scienza teologica con lo studio e la disciplina caratterizzava l’Ordine domenicano che ha avuto il più rilevante influsso nella storia della Chiesa, nella cultura e nella società, se nell’era moderna è stato sempre protagonista nel bene e nel male. Neppure si dimentichi la feroce critica dantesca messa in bocca al grande domenicano S. Tommaso, celebratore di entrambi gli archimandriti fondatori dei due Ordini paralleli, ma inflessibile denigratore dei

Maurizio, Nocera e Maurizio (e altri Arsapi volanti)

di Paolo Vincenti

Maurizio Nocera continua a scrivere e ad “agire” cultura, non solo in Salento, ma in tutta Italia, e le sue pubblicazioni sono sempre preziose per tutti quelli che, come me, hanno a cuore la cultura salentina che, nel caso di Maurizio, diventa cultura universale. La bibliografia da me compilata nel precedente libro (di cui scrivo sopra) si fermava a settembre-ottobre 2007. Altri tre anni di produzione sono stati intensi e prolifici per Nocera. Questo mi ha spinto a ritornare sulla materia, ossia su quel lavoro che, essendo scritto su un personaggio vivente e in attività, non può essere conchiuso, ma anzi è un “work in progress”.  Così ho pensato bene di aggiornare la bibliografia, con tutte le uscite che ci sono state  nel 2008-2009-2010.

Un  triennio importante,  per l’autore, oggetto e protagonista di questa trattazione. So benissimo, come lo sapevo per il primo libro, che il rischio dell’agiografia, dell’adulazione, è dietro l’angolo. Io corro questo rischio, pubblicando questa plaquette sul Nostro, come l’ho corso quando ho fatto altrettanto con Aldo de Bernart, in occasione del suo 82° compleanno, e quando ho tracciato le bibliografie degli amici  Ortensio Seclì e Mario Cala, due importanti studiosi parabitani, nel libro Di Parabita e di Parabitani ( Il Laboratorio Editore, Parabita 2008) e più  recentemente, dell’amico Ermanno Inguscio.

Dirò, a mia discolpa, che io non ho nessun interesse a captare la benevolenza del Nocera o degli altri e niente mi aspetto da loro in cambio. E,’ il mio, un atto d’amore nei confronti della cultura salentina, e vuole essere anche un servizio, sincero e disinteressato, che spero di poter rendere alla comunità  tutta dei cultori di studi salentini, seguendo in ciò l’esempio  del grande Ennio Bonea, il quale si occupava di tutto quello che veniva pubblicato in Salento e sul Salento ed anche di autori minori, se non minimi, ai quali non faceva mai mancare un suo piccolo scritto, una recensione, una semplice segnalazione, un incoraggiamento. Non sono d’accordo con coloro che, dopo l’uscita di A volo d’arsapo, hanno osservato che  un saggio come il mio dovrebbe essere necessariamente pubblicato post mortem, cioè una volta che il personaggio trattato sia passato a miglior vita.

Quella di Maurizio Nocera è una figura che io amo molto e che mi riporta alla lezione dell’Umanesimo, quel movimento culturale che, fra il Quattrocento e il Cinquecento, rivoluzionò il nostro Paese, riportando l’uomo al centro dell’Universo; quell’uomo che riprende in mano il proprio destino e si sente libero di autodeterminarsi, quell’uomo che, secondo la definizione di Leonardo Bruni, “è epilogo, sintesi perfetta di corpo e mente”, di “spirito e natura”,  e riflette in sé la perfezione della creazione divina. E le lettere diventano il terreno ideale sul quale confrontarsi e nel quale esplicare la propria libertà.

Questa idea dell’uomo come libero creatore di sé stesso, che partecipa alla bellezza divina, è un tema fondamentale della filosofia neoplatonica che si sviluppa grazie ad autori come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, ecc.. La filosofia neoplatonica, come dice il suo stesso nome, voleva riportare in auge il pensiero del grande Platone. E la stessa filosofia platonica ispira l’opera e gli studi di un importante pensatore cileno contemporaneo: Sergio Vuskovic Rojo, grande amico di Nocera. Le humanae litterae,dunque,costituivano, in quell’epoca storica, attraversata da una renovatio culturale, un dialogo perenne fra gli uomini e un mezzo di comunicazione spirituale. Senza questa nuova concezione di humanitas, che si deve proprio all’Umanesimo e al Rinascimento, non ci sarebbero stati il pensiero e le opere dei grandi autori venuti dopo, dal Seicento fino ai giorni nostri. Nel Quattrocento vengono superati tutti gli steccati fra le varie discipline, che fino ad allora erano stati dei compartimenti stagni, e il sapere diventa partecipato, condiviso. Le varie arti e competenze entrano in contatto e dialogano fra di loro, in un reciproco e proficuo scambio.

Maurizio Nocera mi ricorda proprio questa figura di homo novus, di intellettuale, libero artefice del proprio destino, che abbatte tutti gli steccati fra le varie materie del sapere e si occupa di tutto, dalla  prosa alla poesia, dall’esegesi critica dei testi alla produzione di testi propri, dalla promozione culturale all’editoria, dal magistero del suo insegnamento all’impegno politico, dal giornalismo alla fotografia, ecc., ecc.. Egli mi sembra il tipo dell’uomo universale, alla Leonardo Da Vinci. L’intellettuale come Nocera, attraverso questo esercizio quotidiano di libertà, acquisisce più piena consapevolezza della propria dignità e del proprio ruolo sulla terra, della propria funzione nella società odierna, e questa consapevolezza lo rende forte e al tempo stesso impaziente verso tutte le forme di repressione, lo rende intollerante verso la prevaricazione e i pregiudizi e verso tutte le vecchie oppressioni.

Nella carriera di Maurizio Nocera, in questi tre anni, si può notare un grande impegno nella promozione del libro, inteso come oggetto, spesso opera d’arte, e nella promozione e valorizzazione dell’antica arte tipografica, che lo ha portato a intrecciare rapporti con alcuni fra i maestri stampatori più importanti d’Europa, come, ad esempio, i Tallone di Alpignano. Ma potrei citare anche la sua fruttuosa collaborazione con l’editore milanese Mario Scognamiglio, che lo ha portato a pubblicare suoi scritti di varia bibliofilia sulla prestigiosa rivista “L’Esopo”.

Un altro polo attrattivo per Maurizio è stata la poesia. E sempre più spesso la poesia per Nocera si lega indissolubilmente ad un nome: quello di Pablo Neruda. L’amore per Neruda lega Maurizio ad un altro grosso personaggio, il già citato filosofo cileno Sergio Vuskovic Rojo, e questo ci porta a quella vocazione multinazionale o “transfrontaliera”, come  ho  già avuto modo di definirla,  dell’intellettuale Nocera.  Da sempre egli pubblica opere proprie e degli altri, organizza presentazioni, promuove incontri, sinergie, progettualità. Come dicevano gli umanisti, “excelsum et divinum quiddam cum colloquimur inter nos”: quando gli studiosi dialogano tra loro, fanno qualcosa di eccelso, quasi divino, perché attraverso questi incontri, possiamo davvero fare cultura e possiamo ritrovare noi stessi e gli altri diversi da noi e a noi uguali. In particolare, in questi ultimi tempi, metà privilegiata dei viaggi di Maurizio e delle sue divagazioni letterarie è il Cile, patria di Neruda e Rojo, soprattutto Valparaiso, “porto mondiale della pace e della poesia”.

In Cile, il nome di Maurizio è molto conosciuto e  apprezzato. L’altro centro di interessi, non trascurato in questi anni, è la promozione culturale in Salento, il che lo porta a patrocinare tante e tante pubblicazioni che vedono la luce nei nostri paesi salentini e a partecipare a tantissime manifestazioni culturali che si svolgono da un capo all’altro di questo tacco d’Italia. Come non parlare della politica, primo e mai rinnegato amore di Nocera, e quindi della passione civile che muove e ha mosso tante sue iniziative; c’è tanta solidarietà sociale nel cuore, che batte sempre a sinistra,  di Maurizio Nocera, e tanto amore per gli umili, gli emarginati, tanto rispetto per le minoranze e le diversità, tanto libero e laico cercare corrispondenze nel suo quotidiano apostolato culturale. C’è ancora, in lui, l’amore per l’insegnamento, che lo porta a ricoprire due cattedre: oltre a quella di Filosofia presso l’istituto Magistrale “Siciliani” di Lecce, anche quella di Antropologia Culturale presso l’Università degli Studi del Salento.

Molto fitta e intensa è stata la collaborazione con le pagine culturali del quotidiano leccese “Il Paese Nuovo”, ma anche puntuale è stata la presenza della sua firma sulle ormai storiche riviste salentine “Anxa News”, “Il Bardo”, “Il filo di Aracne” e “Presenza Tuarisanese”. Nocera continua a coltivare le sue relazioni, si pensi ai Tallone, oppure a Oliviero Diliberto, al già citato Mario Scognamiglio, a Gianfranco Dioguardi, a Gianni Cervetti, a Ignazio Delogu, ad Antonio Massari; e in questo è sempre appoggiato dalla consorte Ada Donno, donna intelligente e intellettuale coltissima e raffinata, al pari dell’irrequieto consorte, ma sicuramente più schiva. Ma non voglio annoiare i pazienti lettori e lascio spazio al resto dell’eterogeneo materiale che compone questo libro, nonché, last but not least, alla bibliografia noceriana.

Tratto dal libro di Paolo Vincenti  Nocerancora  (Postille Bio-Bibliografiche Su Maurizio Nocera), di imminente pubblicazione.

Puglia, porta d'Oriente (terza parte)

Ambienti, paesaggi e natura di Puglia

Terza parte

Continuiamo il nostro rapido excursus tra gli ambienti naturali pugliesi con un accenno ai boschi mesofili xerofili.

Faggeta
Faggeta
L’ambiente mesofilo è un ambiente che garantisce la sopravvivenza di organismi viventi che hanno un fabbisogno idrico medio e che si colloca a metà strada fra l’ambiente igrofilo (caratterizzato da grande necessità di acqua, come ad esempio le piante che vivono in prossimità dei corsi dei fiumi) e quello xerofilo, dove invece domina la siccità.
Boschi mesofili sono localizzati in Puglia soprattutto in aree collinari, o di media montagna, come il Sub Appenino Dauno e il Gargano, le cui condizioni climatiche, fresche ed umide, consentono lo sviluppo di specie quali: il faggio (Fagus sylvatica L.), il cerro (Quercus cerris L.), la roverella (Quercus pubescens Willd.), l’acero campestre (Acer campestre L.), il frassino (Fraxinus ornus L.), il carpino orientale (Carpinus orientalis Mill.) e quello nero (Ostrya carpinifolia Scop.), per citarne alcune. Particolari condizioni microclimatiche hanno consentito lo sviluppo di boschi mesofili anche in aree della Murgia (come ad es. nel Bosco delle Pianelle in provincia di Taranto) e del Salento.
Agrifoglio (Ilex aquifolium L.), biancospino(Crataegus monogyna Jacq.), alaterno (Rhamnus alaternus L.), fillirea (Phillyrea latifolia L.), insieme ad altre essenze, caratterizzano il sottobosco, arricchito dalla preziosa fioritura di numerose orchidee spontanee. Il raro capriolo garganico (Capreolus capreolus italicus Festa) e l’elusivo gatto selvatico (Felis silvestris Schreber) impreziosiscono il già ricco patrimonio faunistico del Parco Nazionale del Gargano, mentre sono soprattutto i piccoli passeriformi canori, balieluìcince, oltre che a tordi,merlighiandaie, ad allietare la foresta con il loro canto melodioso.
Murge Sud-Orientali, boschi xerofili

Per boschi xerofili si intendono associazioni vegetali che si sviluppano in zone caratterizzate da condizioni climatiche critiche, quali precipitazioni scarse e temperature estive anche elevate.
Le specie vegetali presenti in questi boschi mostrano così adattamenti atti a ridurre l’evapotraspirazione per resistere ai lunghi periodi di siccità, come la persistenza più o meno prolungata delle foglie sui rami. Ad altitudini minori troviamo il leccio (Quercus ilex L.), sempreverde, cui segue il fragno (Quercus trojana Webb), semideciduo, associato con l’aumentare di quota, alla roverella (Quercus pubescens Willd.)

Libri/ Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento

Sabato 29 ottobre 2011 – Ore 18.00

Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

Associazione
“Settimana dei Briganti – l’altra storia”
Villa Castelli (Brindisi)

in collaborazione con
Associazione Euclidea
Villa Castelli

nell’ambito de
I SABATI BRIGANTESCHI

organizza
la presentazione del volume
“Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento”
del Gruppo Umanesimo della Pietra di Martina Franca

La chiesa matrice di Avetrana

di Raimondo Rodia
Incomplete e sommarie appaiono le ricerche sulla chiesa matrice di Avetrana e pertanto oggetto ancora di studio.
A tutt’oggi non si è ancora riusciti a determinare l’anno di fondazione, anche se da uno studio di D. Vendola (1939) la chiesa di Avetrana (XIII – XIV sec.) appare già iscritta al pagamento o alla riscossione di decime.
Un documento risalente al 1468 ci conferma che è la chiesa di Avetrana a riscuotere decime. Importantissimo è chiarire il passaggio in quanto ancora una volta la storia di questo paese sarebbe da riscrivere. Certo è che l’edificio a cui si riferiscono quelle antiche carte non è quello odierno; infatti, invisibili al pubblico, dietro l’altare maggiore, giacciono le fondazioni di un edificio absidato e non è facile spiegare i differenti livelli tra l’ufficio parrocchiale, la sala ora adibita a piccolo museo e la restante parte dell’edificio come fatto di maggior vetustà di quest’ultimo.
Il nuovo impianto parte con la torre campanaria la cui edificazione è posta nel XVI secolo. Documenti recentemente ritrovati risalenti al 1583 e riferentisi al 1565 ci permettono di affermare che in quell’anno erano in atto i lavori di costruzione del ‘campanaro’. Il completamento della costruzione dell’intero edificio si protrae lungamente né tanto meno apparirebbe completato al tempo che ci indica la data posta all’esterno, in cima al timpano del frontone (1756).
Lo stile, anche se con molti spunti di tradizione locale, richiama le molte chiese dei nostri paesi di Terra d’Otranto.
L’intero edificio si articola su tre navate coperto con la tecnica dell’incannucciata sospesa mediante tiranti che la collegano al tetto vero e proprio a capriata. Partendo dall’ingresso della navata destra osserviamo l’altare di S. Giuseppe, quindi quello dedicato al Cuore di Gesù (cui corrispondono le sepolture dei notabili del paese) e l’altro dedicato alla

La mucca podolica pugliese

Mucche della bella e pregiatissima razza Podalica Pugliese, allevata nei secoli passati, con numerose mandrie nel cuore del Salento. Numerose ossa fossili trovate nel feudo di Maglie testimoniano la presenza dell’Uro nelle aree del Bosco Belvedere già in epoca paleolitica. Un graffito rupestre paleolitico sulle pareti di Grotta Romanelli a Castro, raffigura proprio un Uro

Ritornino in tutta la Terra d’Otranto le vacche sacre della razza autoctona podolica pugliese. Il Toro di razza “Pugliese”!

di Oreste Caroppo

Nel paesaggio d’un tempo del cuore del basso Salento, tra le sue Serre orientali e quelle occidentali, dominato dall’estesissima Foresta del Belvedere, allo stato brado si allevavano le mucche della razza autoctona “Podolica Pugliese”!
Il suo allevamento esteso e brado, che connotava il paesaggio del sud Salento fortemente con note pittoresche uniche collegate anche al bellissimo portamento di questa mucca dalle grandi corna ed ai suoi colori, è però venuto meno con il disboscamento selvaggio, dall’800 ad oggi, tanto che orami solo pochissime masserie nella zona dell’Arneo (Nardò) allevano questa specie nel sud Salento.

Tra ‘800 e ‘900 molto importanti sono stati gli allevamenti nel basso Salento della razza bovina detta “pugliese” appunto, (quella che oggi in terminologia zootecnica si chiama “podolica pugliese” sui testi), del senatore Vincenzo Tamborino di Maglie.

Nella sua masseria Franite in feudo di Maglie, ma non solo, ancora nella prima metà del ‘900, possenti tori di razza pugliese, dal mantello scurissimo, erano impiegati per la monta.
Ancora nei racconti di mia madre, all’epoca bambina, ritorna spesso il ricordo di quella furia della natura che a stento le catene di ferro riuscivano ad imbrigliare, una furia che nel ricordo di una fanciulla non poteva che impressionarne profondamente ed indelebilmente la fantasia, quando per una gita domenicale o per qualche faccenda al seguito dei suoi genitori ebbe modo di visitare quella operosa, all’epoca, masseria!
Alcuni tori del senatore si distinsero per importanti riconoscimenti da primato nelle gare zootecniche nazionali!

Eccezion fatta per l’ Arneo, ed anche lì per pochissime masserie, altrove oggi

Gli eroi pugliesi del Risorgimento Italiano

a cura di Paolo Rausa

 Ass.ne Regionale Pugliesi 

Invito conferenza

GLI EROI PUGLIESI DEL RISORGIMENTO ITALIANO  

Novo Umberto Maerna –Vice Presidente e Assessore alla cultura Provincia di Milano

Dino Abbascià – Presidente Associazione Regionale Pugliesi

Sono lieti di invitarla alla Conferenza

GLI EROI PUGLIESI DEL RISORGIMENTO ITALIANO

Sabato 29 ottobre 2011 ore 17,30

Palazzo Isimbardi – Sala Affreschi

Corso Monforte,35 Milano  (MM1 San Babila)

“La Puglia partecipò all’epopea risorgimentale? E se sì, in quale misura? Sono domande che vengono spontanee quando si sente parlare solo di Cavour,

Breve cronistoria di un progressivo imbarbarimento

di Armando Polito

Aristotele (IV secolo a. C.), Costituzione degli Ateniesi: “…anticamente lo stato decideva la raccolta e chiunque sradicava o abbatteva un olivo sacro era giudicato dal senato dell’Areopago: in caso di condanna la pena era la morte”.

Tavole di Eraclea (IV secolo a. C.): documento prezioso che consente di ricostruire la riforma fondiaria attuata in quel secolo in Lucania. Sintetizzando: viene ristabilita la proprietà delle terre dei templi di Dioniso ed Atena di cui si erano impossessati dei privati, vengono formati dei lotti (vere e proprie aziende) e fissati  gli obblighi per gli affittuari  che dovranno piantare un numero minimo di olivi per ogni lotto e ripristinare immediatamente l’albero eventualmente venuto a mancare per malattia  o per  calamità. L’affittuario che non rispettava le disposizioni doveva rendere conto ai Polienomi, controllori eletti dal popolo con incarico annuale; se questi non vigilavano erano incriminati di incuria. Se dopo quindici anni dalla concessione tutti gli alberi piantati all’inizio non risultavano vivi gli affittuari dovevano pagare una multa di dieci monete d’argento (all’epoca non erano spiccioli…) per ogni olivo mancante.

Plinio (I secolo d. C.), Naturalis historia, XVI, 85: “Si può credere che la vita di certi alberi sia lunghissima se si considerano i luoghi inesplorati del mondo e

Eccoli che arrivano! Rilevazioni geologiche nella marina di Patù (Lecce)

baia di San Gregorio (foto di Marco Cavalera)
 
Una continua emergenza nella nostra Regione. Non facciamo in tempo a lanciare un allarme ed ecco spuntarne, anzi, tornarne, un’altro, la trivellazione nei mari del Salento, preceduta da rilevazioni geologiche che stanno per essere effettuate nell’incantevole tratto di mare prospiciente Patù, in provincia di Lecce. Raccogliamo ancora un appello, questa volta lanciato dall’Assessore all’Ambiente del Comune di Patù, del quale pubblichiamo il testo inviatoci. Anche gli amici di quei posti hanno avviato una petizione online (sembra che ormai sia questo l’unico modo per far sentire la disapprovazione per quanto sta accadendo nel nostro territorio), che si affianca a quella già lanciata da noi qualche mese fa e ormai prossima alle tremila firma, delle quali 2700 inviate alle Autorità competenti. Siamo consapevoli che è troppa la carne a cuocere, ma, a costo di risultare antipatici e di annoiare i fedeli lettori di Spigolature Salentine, non ce la sentiamo di restare indifferenti ai pericoli reali che, oramai giorno per giorno, tentano di distruggere questa meravigliosa terra. Siamo convinti che troveremo consenso e sostegno da parte di Voi tutti.
 
  
 
 
Carissimi,
rivolgo anche a voi l’appello contro il massacro autorizzato dell’ecosistema marino che si sta perpetrando nel mare Adriatico tra le isole Tremiti e Santa Maria di Leuca e tra le acque del mare siciliano.
 
Al largo della costa del nostro comune si trova un banco di Posidonia di tre km. di lunghezza e di circa 270 kmq. di superficie, tutelato dalla CE, come Sito di interesse comunitario che i cittadini di Patù vorrebbero ulteriormente tutelare e valorizzare istituendo un parco Marino Protetto.
 
Naturalmente tutta la costa dell’Italia meridionale conserva delle bellezze uniche che rappresentano insieme alla pesca le uniche vere  fonti di sviluppo dell’economia. Purtroppo nessuno ne sta parlando, e vorremmo lanciare un grido d’allarme per le disastrose conseguenze alle quali stiamo andando incontro. Ancor prima delle trivellazioni c’è lo scempio in atto che si sta registrando a causa delle rilevazioni geologiche effettuate con la tecnica dell’Air-Gun.
 
In allegato troverete  il testo della delibera che il consiglio comunale di Patù ha

Il Comune di Patù dice NO a qualsiasi operazione di ricerca e di estrazione di idrocarburi nel mare Adriatico e lungo le coste salentine e pugliesi

 

baia di San Gregorio (foto Marco Cavalera)

 

Comune di Patù (Lecce)

Ordine del Giorno – SALVAGUARDIA DELL’ADRIATICO E DELLE COSTE SALENTINE E PUGLIESI DALL’ESTRAZIONE IN MARE DI IDROCARBURI

 

IL CONSIGLIO COMUNALE

PREMESSO

–          CHE è di pubblico dominio la proposta avanzata dalla ditta petrolifera ”Northern Petroleum Plc” per l’esplorazione della costa salentina pugliese fra Brindisi e Lecce, alla ricerca di idrocarburi, in particolare secondo i progetti d71 FR-NP e d72 FR-NP;

–          CHE la sede legale della Northern Petroleum Plc e’ nel Regno Unito, in Martin House, 5 Martin Lane, London EC4R 0DP. In Italia la sua sede operativa è a Roma, in Viale di Trastevere 249 e sul suo sito ufficiale www.northpet.com afferma di avere come missione quella di acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d’ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti, non per favorire la bilancia energetica italiana;

–          CHE la Northern Petroleum Plc stessa menziona chiaramente nel suo Studio di Impatto Ambientale che gli studi condotti danno una visione solo parziale delle loro intenzioni e che le due istanze fanno in realtà parte di un ”ampio progetto unitario” che investe una ”vasta area dell’Adriatico Meridionale”, senza però mai discutere le conseguenze dei suoi nove progetti in maniera globale;

–          CHE le zone in cui la Northern Petroleum Plc intende cercare idrocarburi secondo i progetti d71 FR-NP e d72 FR-NP – e gli altri sette su menzionati – sono nelle strette vicinanze di diverse aree protette dedite alla pesca o al ripopolamento ittico, di grotte carsiche marine, di parchi costieri e di ben nove siti di interesse comunitario (SIC), una riserva naturale statale (RNS), una zona di protezione speciale (ZPS), e una area marina protetta (AMP),

La Regione Puglia si oppone alle trivellazioni in Adriatico

baia di San Gregorio (foto di Marco Cavalera)

 a cura di Antonio De Marco

La giunta regionale della Puglia ha recepito con una propria delibera il parere negativo del Comitato di Valutazione di impatto ambientale regionale per diverse campagne di rilevamento sismico finalizzate alla verifica della presenza di idrocarburi che investe una vasta area dell’Adriatico Meridionale al largo delle coste pugliesi. Le proposte sono state presentate da un’unica societá, la Northern Petroleum, nell’ambito di distinti procedimenti di Via nazionale, di competenza del Ministero dell’Ambiente, «rispetto al quale – precisa l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro – la Regione esprime un parere endoprocedimentale».

Tre richieste sono riferite ai permessi di ricerca giá autorizzati dal Ministero dell’Ambiente nel 2010 e dichiarati illegittimi dai Tribunali amministrativi regionali di Bari e Lecce, a seguito dei contenziosi attivati dalla Regione in

Libri/ L’anello inutile

L’anello inutile di Maria Pia Romano, Besa editore

 

di Paolo Rausa

Ero da qualche giorno nel Salento, il 9 di giugno scorso. Già dalla mia partenza avevo annotato quell’incontro a Lecce, fissato in un posto che poi si è rivelato magico, la piazzetta della Chiesa greca. Ma c’era mai stata a Lecce una Chiesa greca? Non me ne ricordavo. Forse il toponimo richiama   il  rito basiliano che vi si svolgeva, come i tanti luoghi disseminati sul territorio salentino – i SS. Stefani a Vaste di Poggiardo per es. – , che aveva fornito rifugio nei secoli passati, posto com’è di fronte alla Grecia, ai religiosi fuoriusciti dall’impero bizantino, vittime della lotta contro il culto delle immagini, mi pare. Ma quello che mi aveva attratto dell’annuncio era l’esile, ma conturbante, figura dell’autrice accovacciata su uno scoglio marino, in attesa, e le modalità della presentazione di quello che si preannunciava come un romanzo immerso nella storia di un Sud e di un Salento, che sanno appassionare – lo sappiamo – con tutta la forza del sentimento.

Si accompagnava un commento musicale serrato e dal ritmo incalzante. Dovevo andarci! La sera del 9 giugno ero lì in un cortile, posto dietro la chiesa,

Ulivi di Puglia, patrimonio dell’umanità. Perché non adottarli?

ulivo detto "serpente" (ph Angelo Puscio)

 di Mimmo Ciccarese*

Il territorio pugliese è la regione italiana con il più rilevante patrimonio olivicolo. Oltre 350.000 ettari di superficie agricola sono coltivati ad ulivo (pari al 25% della superficie agricola utile regionale); di tale estensione, il Salento leccese conserva circa 84.000 ettari di oliveti, pari a circa 10 milioni di piante. Il 30% di queste piante sono piante di età ultrasecolare.

Alberi plurimillenari, quindi, delimitati nella penisola salentina, tra preistorici muretti a secco, dolmen e menhir, “paiare” (tipo di trulli). Queste bellezze uniche si possono ammirare, infatti, in ogni angolo del suo territorio: dalla Grecia salentina, all’otrantino, dal Parco del Negroamaro al Capo Leuca.

I titoli varietali di Cellina di Nardò e Ogliarola leccese la dicono lunga sulla loro origine; ancor di più la caratterizzano gli appellativi popolari che a secondo del modello delle loro produzioni vegetative e fruttifere, denominandoli come :“saracina, morella, cafarella, cascia, nardò, termitara, scisciula, scuranese”. 

il monumentale ulivo denominato "lu barone", nell'Arneo, simbolicamente abbracciato dai soci di Arneotrek (ph Roberto d'Arcangelo)

Tra di essi decine di migliaia di alberi sparsi, tra cui spiccano epiteti d’eccezione per il loro regale portamento, scultura o grandezza:”albero del pastore”, “lu gigante”, “lu barone”, “la baronessa”.

La loro longevità è di totale importanza se si considera la loro resistenta genetica a varcare indenni ere di ostilità (atmosferiche, cambiamenti climatici, interessi dell’uomo).

i soci di Arneotrek posano all'ombra del monumentale ulivo "lu barone", nell'Arneo (ph Roberto d'Arcangelo)

Oggi sono il patrimonio e l’identità connaturata dei pugliesi; essi rappresentano la qualità ambientale più vera, un riferimento turistico, paesaggistico e storica da custodire.

L’Unesco ha riconosciuto che in Puglia l’albero d’ulivo monumentale è il “Patrimonio dell’Umanità”.

La Regione Puglia applica, con l’art. 30 della L.R. n° 14 del31-05-2001, la “Tutela paesaggistica degli alberi”, ed ha previsto la costituzione di un albo di

Dialogo con un albero di Ulivo sulla proposta di espianto in Regione Puglia

di Massimo Negro

Questa mattina dopo aver letto della proposta che si sta esaminando in Regione Puglia per allentare i vincoli sulla tutela del paesaggio e dei nostri bellissimi uliveti, sono stato assalito da mille dubbi.

Mi sono chiesto “vuoi vedere che se queste menti hanno pensato ad una cosa del genere effettivamente i nostri alberi di ulivo sono un freno alla sviluppo della nostra Regione?” e poi “cavolo e se avessero ragione? forse si genererebbe un volume di  affari tale che finalmente riuscirei a trovare lavoro in Puglia!”.

Wow! Sarebbe la svolta!

Però su queste cose la parte pragmatica che è in me mi ha suggerito di chiarire la questione direttamente con una delle parti in causa.

Così presa la macchina mi sono diretto in campagna, ho girovagato per un po’ finché mi è sembrato di vederne uno sufficiente anziano e all’apparenza anche saggio che mi potesse rispondere con franchezza.
Ho parcheggiato la macchina e mi sono incamminato lungo un viottolo di campagna finché sono giunto là proprio davanti a lui. Un bellissimo albero di ulivo.

“Ciao amico albero, mi dispiace disturbarti ma ti vorrei fare una domanda. Non penso che tu lo sappia ma in questi giorni qualcuno nel Consiglio Regionale si sta preoccupando del fatto che voi possiate costituire un freno allo sviluppo della nostra regione. Siete in milioni e non c’è sufficiente spazio per tutti. O noi, meglio i nostri interessi, o voi”

“Caro amico, chiunque tu sia, non conosco molto delle vostre questioni ma non mi meraviglio di quello che mi stai dicendo. D’altronde la nostra vita non è

Nocerancora (postille bio-bibliografiche su Maurizio Nocera)

di Paolo Vincenti

PREMESSA

“L’assassino torna sempre sul luogo del delitto”.  Il libro A volo d’arsapo. Note-bio-bibliografiche su Maurizio Nocera, pubblicato con “Il Raggio Verde” nel 2008, ha segnato una tappa importante della mia breve carriera letteraria. Il primo scritto di quel libro si intitolava “Io e Maurizio Nocera” e il fatto che io parlassi anche di me, ovvero della mia formazione letteraria e politica, oltre che del poeta e scrittore Nocera, oggetto della trattazione, colpì molto coloro che recensirono il libro, per la particolarità di quello scritto. Con il libro A volo d’arsapo, per la prima volta pubblicavo qualcosa di compiuto, con una vera e propria casa editrice; la mia precedente prova letteraria, L’orologio a  cucù (Good times) (I poeti de “L’uomo e il Mare”, Tuglie 2007), sorta di informe massa di appunti sparsi,  raccolti negli anni, era stata autoprodotta con tanto entusiasmo quanta improvvisazione, come gli innumerevoli refusi presenti in quel libro confermano, nonostante la buona volontà del bravo tipografo Giuseppe Miggiano da Tuglie.

Con il libro su Maurizio Nocera, mi presentavo ad un pubblico molto più vasto di quello che era stato il mio fino ad allora. Questa grande platea era composta

Nessuno tocchi gli ulivi di Puglia!

 

ph Francesco Politano

di Marcello Gaballo

Chiedo perdono se ancora una volta dovrò rubarvi qualche minuto per un’altra firma, consapevole di apparire ai vostri occhi come un testardo, magari desideroso di protagonismo. La realtà non è questa, e chi mi conosce lo sa bene, ma scaturisce spontanea dopo la segnalazione degli amici di Forum Ambiente Salute, che nella giornata del 20 ottobre hanno informato il web di un imminente pericolo che potrebbe abbattersi sulla nostra Regione e che riguarda uno tra i beni più importanti della nostra terra, gli ulivi di Puglia. Restare indifferenti o delegare ad altri una necessaria e netta  presa di posizione forse poteva tornare comodo, ma non me la son sentita ed ho subto condiviso le preoccupazioni e le ansie dei tanti amici e conoscenti di Facebook, che hanno disperatamente gridato all’ennesimo scandalo. Eccomi dunque, ancora una volta, quando una petizione ancora non si è conclusa, a ridiscendere in campo per lanciare un altro allarme che, son certo, vi troverà solidali e ancor più combattivi di me.

Ecco il testo che potrete sottoscrivere cliccando nel link in basso: 

Al Presidente della Regione Puglia

La Regione Puglia con la Legge Regionale n. 14 del 04-06-2007 protegge il paesaggio degli Ulivi monumentali della Regione Puglia:

La Regione Puglia tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale…

Una delle più belle leggi che la RegionePugliapossa vantare ecco che viene offesa da una vergognosa proposta del 3 ottobre 2011, già da qualcuno definita “Ammazza olivi secolari”, presentata dal gruppo consiliare Il popolo della Libertà, che così recita: “La tutela degli ulivi monumentali è un obbligo, ma deve essere anche un’opportunità e non un impedimento allo sviluppo economico e infrastrutturale del territorio. Questo è il motivo di questa

Espiantiamo gli ulivi dalla terra o espiantiamo questi signori dalla poltrona?

di Pier Paolo Tarsi

Alcuni nostri politici regionali ci sorprendono con una nuova originalissima proposta di questi giorni, finalizzata a trarre finalmente la Puglia fuori dalla crisi economica che attanaglia la nazione e l’occidente tutto! Dopo attente e scrupolose analisi, questi geni non solo hanno individuato la causa frenante dello sviluppo nella nostra regione – ossia, tenetevi forte, gli ingombranti ULIVI SECOLARI – ma hanno, pensate, addirittura scovato la soluzione al problema: snellire le lungaggini burocratiche necessarie per espiantarli, proponendo il decentramento a livello comunale delle “competenze per il rilascio di autorizzazioni agli espianti e spostamenti di piante secolari”, oggi ancora di pertinenza della Regione. In quanto pugliesi ringraziamo sentitamente i detti signori per l’acume, lo sforzo ed il faticoso lavoro con cui mostrano di ricompensare le laute paghe ed i privilegi loro attribuiti: proposte come questa instillano serenità nei cittadini, accrescendo in loro la fiducia e la sensazione di essere in mani buone e sapienti, capaci di estirpare finalmente quelle radici secolari che ammorbano la nostra economia. Grazie signori, grazie di cuore!

Riportiamo di seguito la proposta di legge ( Fonte: http://www2.consiglio.puglia.it/Giss9/9PubbGiss.nsf/0/6B09FD5B3764D3B9C1257920002DF1DF?OpenDocument) e vi invitiamo, dopo la lettura del testo riportato – ammesso che sopravviviate alle amare risate – a firmare la petizione con cui proveremo a bloccare l’iniziativa e salvare gli Ulivi secolari dalle mire di questi…gentili signori! Sommergiamoli di sdegno!

per firmare la petizione:

http://www.petizionepubblica.it/PeticaoVer.aspx?pi=ulivi

L’ulivo testimone di civiltà

di Sonia Venuti

Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore.

Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio;

non è il momento dei bambini

(John Maynard Keynes)

Una prova tangibile di questo mio esordire la possiamo trovare nell’ultima proposta di legge presentata alla quinta commissione della Regione Puglia per modificare la legge già esistente sulla tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della nostra regione, da parte del Consigliere Regionale Massimo Cassano.

Rammento ancora quando  da ragazza qualcuno mi leggeva i passi della Bibbia relativi al Vecchio Testamento, allorquando dopo lo scatenarsi della furia degli elementi,  dopo il Diluvio Universale, punizione  inferta da Dio all’uomo per la sua stupidità,  avidità e  sete di potere,  giunse in volo sull’arca di Noè  una colomba, con un ramoscello d’ulivo in bocca.

L’ulivo il nostro  patriarca verde, come giustamente qualcuno lo ha definito in qualche commento a caldo sulla proposta di legge, è presente nella vita

Memento, sallentinus: Legge di tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali

2007: Legge di Tutela e Valorizzazione del paesaggio degli Ulivi monumentali della Puglia

Regione Puglia Legge Regionale n. 14 del 04-06-2007
(B.U.R. Puglia n. 83 del 7-6-2007)

 

IL CONSIGLIO REGIONALE HA APPROVATO
IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE PROMULGA
la seguente legge:

TITOLO I
FINALITÀ E DEFINIZIONI

ARTICOLO 1
(Finalità)
1. La Regione Puglia tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale.
2. La tutela degli ulivi non aventi carattere di monumentalità resta disciplinata dalla legge 14 febbraio 1951, n. 144 (Modificazione degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, concernente il divieto di abbattimento di alberi di ulivo), e dalle norme applicative regionali.

ARTICOLO 2
(Definizioni)
1. Il carattere di monumentalità viene attribuito quando la pianta di ulivo possiede età plurisecolare deducibile da:
a) dimensioni del tronco della pianta, con diametro uguale o superiore a centimetri 100, misurato all’altezza di centimetri 130 dal suolo; nel caso di alberi con tronco frammentato il diametro è quello complessivo ottenuto ricostruendo la forma teorica del tronco intero;
b) oppure accertato valore storico-antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche-storiche.
2. Può prescindersi dai caratteri definiti al comma 1 nel caso di alberi con diametro compreso tra i centimetri 70 e 100 misurato ricostruendo, nel caso di tronco frammentato, la forma teorica del tronco intero nei seguenti casi:
a) forma scultorea del tronco (forma spiralata, alveolare, cavata, portamento a bandiera, presenza di formazioni mammellonari);
b) riconosciuto valore simbolico attribuito da una comunità;
c) localizzazioni in adiacenza a beni di interesse storico-artistico, architettonico, archeologico riconosciuti ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
3. Il carattere di monumentalità può attribuirsi agli uliveti che presentano una percentuale minima del 60 per cento di piante monumentali all’interno dell’unità colturale, individuata nella relativa particella catastale.

ph Francesco Politano

 

Senza titolo, per non metterne più di uno…

di Armando Polito

L’occasione offertami da Pier Paolo Tarsi con il suo commento al recente post Cento anni di storia delle Ferrovie nel Capo di Leuca  era troppo ghiotta perché io me la cavassi con la segnalazione di due link in cui, per giunta, il mio intervento (nonostante i complimenti dell’amico Marcello, il quale a breve si vedrà recapitare una diffida dal mio avvocato di fiducia…cioè, scusate la presunzione, da me stesso, a costo di essere incriminato per esercizio abusivo della professione forense) faceva la figura di un nano tra giganti.

L’occasione è ghiotta per due motivi, uno fondamentale e di largo, anzi larghissimo  respiro, l’altro, per così dire, contingente. Comincio da quest’ultimo.

Pier Paolo ha ricordato il copertinese macu, che il Rohlfs registra anche per Melendugno, Tricase e Vernole.  Superfluo attardarsi sul fatto che esso è deformazione di mago, come pure sull’ambiguità di questa voce che, partendo dal concetto di persona dotata di poteri non comuni (dunque, un concetto che suscita meraviglia, ammirazione  e invidia) subisce uno spettacolare slittamento semantico passando, attraverso quello di diverso (con tutti i disorientamenti che la diversità suscita nei cosiddetti normali, concetto che per me è puramente statistico, la cui epidermicità potrà essere superata solo quando si potranno censire anche le coscienze, cosa che, paradossalmente, e qui sembro un cane che si morde la coda, mi auguro non avvenga mai, e non certo per motivi di pura e semplice privacy), al significato totalmente negativo di scemo.  Sintetizzando: dall’ammirazione, dal rispetto e forse anche dalla paura e dalla speranza (vedi il successo dei maghi dei nostri tempi), alla commiserazione, al dileggio, al disprezzo. Macu è in buona compagnia; il nomignolo degli abitanti di Soleto, appioppato dai Galatinesi e dai Leccesi, infatti, è masciàri, forma aggettivale sostantivata da mascìa=magia, anche se qui ci si è fermati, credo, al significato di stregoni, strani.  Il femminile singolare masciàra non si spinge neppure esso all’estremo limite nonostante qualche volta sia usato nel senso dell’italiano megera (donna brutta, discinta, sguaiata; donna di carattere perfido, irascibile e maligno), che con la magia ha a che fare solo indirettamente e non etimologicamente, nel senso che deriva dal latino Megaera(m), a sua volta dal greco Megàira, una delle tre Erinni, dal verbo megàiro=considerare eccessivo, rifiutare, invidiare, incantare (sequenza semantica che ben spiega, nonostante il diverso vocabolo di partenza, il destino che lo accomuna a masciàra), a sua volta da megas=grande.

Per riassumere: masciàra è da mascìa, dal latino tardo magìa(m) e questo dal greco magèia, a sua volta da magèuo=essere mago, da magos=mago, stregone, incantatore, ciarlatano; megera è dalla voce greca prima indicata, che nulla ha a che fare etimologicamente con magia.

Dopo il motivo contingente che ha ispirato questo post, passo a quello di più ampio respiro, ma pur sempre intimamente connesso con il primo. Sarebbe bello se anche noi nel nostro piccolo sfruttassimo, più di quanto fino ad ora non abbiamo, pur lodevolmente, fatto, le enormi potenzialità offerte dalla rete (per gratitudine dovrei scriverlo, come pure qualcuno fa, con l’iniziale maiuscola, ma mi rifiuto perché sono allergico all’uso, figurarsi all’abuso!, di questa convenzione grafica, anche perché fra poco i vocabolari, dovendo sistemare i vari significati in base alla frequenza d’uso e non alla cronologia, saranno costretti a collocare al primo posto il significato informatico del nostro vocabolo e la rete del nostro letto, quella del pescatore e persino quella televisiva dovranno rassegnarsi a competere al massimo per il secondo posto…) e stimolassimo in chi, anche occasionalmente, ci segue il piacere di dare il suo contributo, magari segnalando una semplice voce, purché ispirato dalla buona fede e dal rispetto della verità, contrariamente a quanto succede in alcuni saggi (pubblicati a stampa!) in cui non è raro trovare il riferimento a documenti inesistenti. E vedo già il Rohlfs arriderci, sorriderci e, dirà il solito maligno, deriderci…

Un anno fa l’ultimo viaggio di Ucciu Aloisi, il cantore antico del Salento

di Paolo Rausa

Un anno fa, il 21 ottobre 2010, si spegneva nella sua casa di Cutrofiano, un paesino del Salento, a sud di Lecce, il grande aedo Ucciu Aloisi. La sua storia è  narrata dai mille concerti tenuti in tutte le piazze del sud, in ogni sagra o festa paesana, quando si presentava l’occasione di cantare le gesta non dei grandi eroi, ma delle fatiche inenarrabili dei contadini, della povera gente che si sforzava di riuscire a vivere e che trovava solo nel ritmo irrefrenabile, cadenzato delle canzoni, la vaghezza di perdersi, quel sollievo necessario a sopportare le sofferenze, la rudezza tipica della vita popolare. Ma non di meno colpivano anche, nelle espressioni e nelle immagini dei suoi testi, il calore e la passione di uno sguardo, di un amore fugace, così come l’invito a danzare ritmi forsennati, il piroettamento senza fine delle tarantate, portate alla cronaca antropologica da Ernesto De Martino nel suo celebre saggio “Sud e magia” del 1952. Nel suo nome Ucciu, diminutivo di Antonio o Raffaele, divenuto esso

Insubordinazione, litigi e botte tra militari nella Gallipoli del 700

L’Ordine: elemento fondamentale del sistema militare

di Antonio Faita

Sulla rivista “Finanzieri e cittadini” del mese di Gennaio 2011  è stato pubblicato, nella sezione “Nuovi ordinamenti”, un articolo tratto dallo studio “IL CITTADINO MILITARE Principi costituzionale e Ordinamento Militare” di Cleto Iafrate e Bruno Forte, dal titolo “L’ORDINE: Elemento fondamentale del sistema militare”.

Dall’articolo emerge che l’attività, svolta dalle Forze Armate e dalle Forze di polizia militarmente organizzate, si realizza attraverso uno strumento i cui requisiti formali sono ridotti all’osso: L’ORDINE MILITARE; che, però, è anche il motore primo della potentissima macchina militare. L’ordine militare può definirsi un atto autoritativo discrezionale, che si configura come atto amministrativo a tutti gli effetti, completo dei suoi elementi essenziali. L’elemento soggettivo è costituito dalla legittimazione dell’emittente e, quello oggettivo, dalla manifestazione della sua volontà, cui consegue lo stato di soggezione del ricevente ed, in caso di violazione, la comminazione di sanzioni disciplinari o penali[1].

L’art. 173 del Codice Penale Militare di Pace punisce “il militare che rifiuta, omette o ritarda di obbedire ad un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore”. L’art. 51 del Codice Penale sancisce che “Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”[2]. Tutto viene lasciato all’alea della valutazione del militare, il quale si trova come in una morsa, le cui ganasce sono raffigurate dall’art. 51 CP e l’art. 173 CPMP e sulla cui forza di serraggio pesa il disposto di un regolamento (atto emanato dal solo potere esecutivo).

Il tutto è inserito in uno scenario in cui anche il decorrere del tempo ha rilevanza penale. Dunque, la mera inosservanza di un ordine, solo perchè provenga da militare più alto in grado, non per ciò costituisce reato. La giurisprudenza militare di merito, più attenta alle esigenze di tutela effettiva del servizio militare, piuttosto che del grado, ha recentemente confermato (marzo 2010) che la disobbedienza di cui all’art. 173 c.p.m.p. è necessariamente attinente ad un atteggiamento di ribellione del reo rispetto ad un ordine che oggettivamente sia funzionale alle esigenze della disciplina e /o del servizio.

Una conferma in tal senso si ebbe anche in tempi passati, in un episodio di due secoli fa, grazie al ritrovamento di due documenti presso l’Archivio di Stato di Lecce.

L’episodio si svolge presso il Regio Castello di Gallipoli, nel 1711.

In quel periodo, e precisamente tra il 1707 e il 1714, il Regno di Napoli fu

La produttività degli onorevoli

di Rocco Boccadamo

Nell’articolo di Sergio Rizzo pubblicato a pagina 1 del “Corriere” di martedì
18 ottobre 2011, si evidenzia che le leggi d’iniziativa parlamentare approvate
da gennaio 2011 ad oggi sono niente poco di meno che quattordici. Pensare,
annota il giornalista, che l’attività del Parlamento, già nel 2010, aveva
toccato i minimi storici con cinquantotto provvedimenti varati nell’arco dei
primi dieci mesi.
Non c’è che dire, da siffatti numeri emerge nitida e palese la dimostrazione
della grande mole di lavoro prodotta dai rappresentanti del popolo italiano.
Ciò, nonostante i lauti emolumenti e i molteplici privilegi di cui
beneficiano.
E, del resto, come potrebbe essere altrimenti?
Ciò si chiede e chiede, l’osservatore di strada scrivente, non perché colto da
un improvviso impazzimento o per mera provocazione, bensì in quanto diretto
spettatore, giustappunto nella mattinata del 18 ottobre, di una scena, una
circostanza particolare, che sembra essersi presentata proprio come il cacio
sui maccheroni rispetto ai risultati dell’inchiesta-analisi di Rizzo.

Sul volo AZ1624 Brindisi – Roma delle ore 11,20 è presente mezzo Parlamento,
ossia un foltissimo numero di eletti/nominati salentini, 14 o 15 fra deputati e
senatori di vari schieramenti, in atto di far rientro nella Capitale, dopo il
fine settimana trascorso in famiglia.

Ma, quanti giorni lavoreranno, gli onorevoli, nei Palazzi in cui si legifera?
Dal martedì pomeriggio al mezzo venerdì, il calcolo darebbe tre, tre su sette.
Davvero, fiumi di sudore sulla fronte dei poveretti!
Intanto, al parco buoi dei comuni cittadini tocca solo di assistere senza
poter fare nulla.

Fra lo sconforto per il poco edificante esempio dell’orario di lavoro dei
parlamentari, un barlume di consolazione: all’aeroporto di Roma, almeno lì, in
un anonimo martedì ottobrino, si registra un movimento da periodi di punta, il
che dovrebbe indicare che, sul fronte del turismo, le cose non vanno male.
Sebbene, sempre al “Leonardo da Vinci”, una bottiglietta di comune acqua
minerale da cinquanta centilitri ha dato luogo all’emissione di uno scontrino
di 2,50 euro.
Esclamare “scorno della faccia!” è poco.

Libri/ Il Sesto di Stefano Delacroix

di Paolo Vincenti

 

Stefano Delacroix, nato nel 1966 a Taranto, dove vive ed opera,  ma di origini ruffanesi per parte dei genitori, come il vero cognome, Cazzato, inconfondibilmente rivela. Dopo la militanza tra le band giovanili, scoperto da Maurizio Montanari, approda alla corte di Mimmo Locasciulli, pubblicando tra il ‘94 e il ‘97 i primi due album da solista, Ribelli, e  La legge non vale (entrambi per Ed. Hobo e distribuzione Sony Music). Delacroix ha già esordito nella letteratura nel 2007, con due romanzi, La memoria del mare (ed. La Riflessione) e Peristalsi (ed. Il Foglio), ma con la raccolta di racconti  Il Sesto, lo scrittore tarantino esordisce nel genere del noir psicologico o “psicotropo” (la definizione è di Michelangelo Zizzi).

La pubblicazione apre ufficialmente la collana “Incipio” di Lupo Editore. Gli otto racconti che compongono Il Sesto, infatti, si fondano tutti su un dubbio

Le vignette di Paolo Piccione al Salon International du Dessin

Il vignettista salentino Paolo Piccione per la 4^ volta ospite del prestigioso Salon International du Dessin

Anche quest’anno nella prima metà di ottobre si è rinnovato l’appuntamento del Salon International de la Caricature du Dessin de Presse et d’Humour a Saint Just le Martel in Francia, rendez-vous planetario delle migliori matite satiriche provenienti da ogni parte del mondo.

La famosa kermesse, stavolta, si è impreziosita di due eventi nell’evento: il primo, il 30° anniversario della manifestazione, prestigioso traguardo per gli organizzatori di questo straordinario evento; il secondo, l’inaugurazione del Centre International Permanent de la Caricature et du Dessin de Presse, struttura che ospita in forma permanente moltissimi splendidi lavori provenienti da ogni parte del mondo.

Tra gli artisti italiani presenti alla manifestazione, oltre a Sajni, Claudio Puglia e Carlo Sterpone,  era presente anche il vignettista salentino Paolo Piccione, il quale insieme a tutti gli altri vignettisti si è esibito realizzando vignette e caricature in estemporanea.

Dal 2008, quattro sono le presenze consecutive del vignettista pugliese (è originario di Manduria) alla manifestazione, come quattro le sue vignette-illustrazioni esposte nel Centro Permanente.

Tra queste, una sui 150 anni dell’unità d’Italia rappresentata da una zattera (con una vela lacera battente il tricolore italiano) in balia di un terribile fortunale; un’altra costituente un fantasioso ‘ritocco’ fotografico del famigerato baciamano di Berlusconi a Gheddafi; un’altra, sullo stile delle storiche illustrazioni della bell’epoque francese, commemorativa del 30° anniversario del Salon; infine, l’ultima, già vincitrice (a settembre 2011) del Marengo d’Oro messo in palio dall’Associazione delle Arti Artigiane di Verbania, raffigurante un attonito Garibaldi al capezzale di un’Italia morente.

Il Centro Permanente, inoltre, ospita altri schizzi satirici realizzati negli anni da Piccione su delle sagome bianche a grandezza naturale di vacche e su blocchetti di legno incastrati a formare un murales insieme a quelli disegnati da tantissimi altri artisti.

La manifestazione, come sempre, ha riscosso uno straordinario successo in termini di presenze di artisti e di pubblico, confermandosi uno dei massimi eventi mondiali del settore.

2699 NO alle trivellazioni nei mari del Salento

ph Stefano Crety

di Marcello Gaballo

 

Come preannunciato, ieri ho inviato con Raccomandata RR (13126652015-0 e 12264844380-7) ai due Ministeri le sottoscrizioni raccolte online su Petizione Pubblica in questi mesi. Le adesioni continuano ancora e, fino a ieri,  il numero era salito a 2766.  

Per l’ennesima volta ringrazio di cuore quanti hanno aderito e con tutti i 2699 firmatari confido che il nostro appello venga tenuto nella debita considerazione.

Di seguito il testo inviato e i domicili dei firmatari, il cui lunghissimo elenco può leggersi in

 http://petizionepubblica.it/PeticaoVer.aspx?pi=P2011N13045

 

Donne gravide nella tradizione popolare salentina

di Marcello Gaballo

Per il nostro popolo la gravidanza era un evento voluto sì dalla coppia, ma sempre “con la mano di Dio”, senza il cui intervento nulla sarebbe potuto accadere. Si poteva richiedere l’intercessione di Sant’Anna, la mamma di Maria, protettrice delle partorienti, alla quale si sarebbero accese lampade e rivolte preci, fino all’ottenimento della grazia. In verità la santa poteva riuscire nella determinazione del sesso del nascituro, meno nella gravidanza, atto più sublime e perciò di competenza di chi “stava più in alto di lei”.

Una volta scoperto lo stato interessante le gravide primipare, senza esperienza, raccoglievano avvertimenti e precauzioni, che avrebbero osservato nei nove mesi. Principali informatrici erano le madri, poi le suocere, quindi le amiche intime e per ultime le vicine, come al solito invidiose, anche se apparentemente gentili.

Ecco allora una serie di norme che esse dovevano rispettare, con dei pregiudizi e credenze che ai giorni nostri fanno certamente ridere, ma che allora venivano presi come sacrosante verità, tanto da sentirsi in obbligo di trasmetterle oralmente alle proprie figlie.

Se una donna durante la gravidanza avesse bevuto in un otre il parto sarebbe stato certamente difficoltoso; non poteva neppure tenere al collo catenine o collane, che avrebbero causato un attorcigliamento del funicolo ombelicale sul collo del bambino, con conseguente morte per asfissia durante il parto.

Secondo un’altra credenza se la madre e il figlio sono nati entrambi in un anno bisestile, quest’ultimo sarà sfortunato in vita, così come lo sarà anche quello concepito in un anno bisestile.

In passato le donne salentine per pudore non ostentavano mai la gravidanza, se non quando si fosse al V-VI mese, in quanto indice di inevitabile attività sessuale col coniuge e quindi di facili costumi o comunque di scarsa serietà. Dell’evento, almeno per i primi tre mesi, venivano informati solo il marito, la madre e la suocera.

Se mai la gravidanza fosse capitata a una nubile si può facilmente immaginare lo scandalo: la sfortunata doveva fasciarsi il ventre per celare l’evento, fino ad arrivare al parto senza che nessuno avesse mai saputo nulla dello stato interessante, che nel frattempo aveva portato a termine nella segregazione domestica, adducendo malattie gravi della poveretta, pur di non rendere manifesta la sua imperdonabile “scappatella”.

Chi seguiva la donna nel corso della gravidanza era sempre l’ostetrica, riservando il consulto medico solo per i casi difficili. Quando ci si sarebbe dovuti rivolgere al ginecologo, lo si sarebbe fatto di nascosto dalle solite curiose vicine e dai parenti, che venuti a conoscenza, sarebbero stati portati a pensare a “malattia fiacca”.

Di analisi cliniche o visite di controllo neanche a parlarne, perché, sempre per il popolo, solo le donne sane e forti avrebbero potuto condurre a termine una gravidanza.

Esistevano anche dei pronostici, gettonatissimi, riguardo al sesso del nascituro; l’elemento principale era costituito dal profilo della pancia materna: se la pancia risulta pizzuta, come si dice essere la lingua delle donne, nascerà certamente una femmina, mentre se la pancia avrà la forma schiacciata nascerà un maschio. Per questo si recitava una quartina, assai nota:
Entra pizzuta
porta la scupa;
entre cazzata
porta la spata
.
A tal proposito, scrive Emilio Rubino nel III numero di Spicilegia Sallentina, spada e scopa, come la forbice e il coltello, sono i simboli più veri che sin dall’antichità sono stati presi a significare le attività casalinghe per la donna e quelle virili e marziali proprie dell’uomo.

16 ottobre 1911-16 ottobre 2011. Cento anni di storia delle Ferrovie nel Capo di Leuca

Ferrovie nel Salento di Dario Carbone

di Marco Cavalera

Il 16 ottobre 1911 fu inaugurata, con una solenne cerimonia, la stazione di Gagliano del Capo, da dove partì, esattamente alle ore 05:07 del mattino, il primo treno in direzione Maglie, tra l’euforia della popolazione locale che da anni attendeva con ansia la realizzazione di tale opera.

La linea Maglie – Leuca fu fortemente voluta dalle personalità politiche di spicco del Basso Salento dei primi anni del Novecento, tra cui il barone Filippo Bacile, gli onorevoli Ruggieri, Codacci Pisanelli, Giuseppe Romano (fratello di Liborio Romano) e Domenico Daniele. Lungo la tratta Maglie – Leuca erano dislocate le seguenti stazioni ferroviarie: Tiggiano, Alessano, Tricase, Miggiano, Castiglione, Spongano, Poggiardo, Sanarica e Muro Leccese. Le stazioni furono intonacate di color rosso pompeiano, realizzate su due piani e dotate di servizio igienico, cisterna, piano caricatore e rimessa, ponte e binari di stazionamento[1].

Al momento della progettazione della linea ferroviaria si sono registrati diversi episodi di accentuato “campanilismo” tra i paesi, desiderosi chi più chi meno di vedere il proprio territorio servito dalla ferrovia. Emblematico è quanto ci riporta Santo Marzano, a proposito della vicende storiche che hanno preceduto la costruzione della stazione di Miggiano, Specchia, Montesano, la cui ubicazione poneva il primo centro in una posizione strategica, mentre isolava fortemente Specchia e Montesano. Il comune di Specchia aveva

Villaggio Tramonti, Salento. Cose duci per buongiorno: le pittèddhe

di Tommaso Esposito

Il giro lo faccio di mattina presto, ma oggi è domenica e le botteghe di Nardò son chiuse.
Sarà la domenica del villaggio.
Passo al market per i panini da preparare.
Qui son freschi anche oggi e non mi mancano i pomodori comprati ieri l’altro con i sanàpi.
Che son queste sul banco appena giunte?
Pittèddhe e mustazzuèli. Cose duci.”
Naturaliter, leggere -ddhe come –gge.
Uhm e chi le fa?
“Mia nonna. Cioè ce le porta il nostro fornaio, ma la ricetta è di mia nonna.”
E me la dai questa ricetta?
“Sine”

Libri/ Fino all fine del giorno

 

 

FINO ALLA FINE DEL GIORNO  DI OSVALDO PILIEGO

(LUPO EDITORE)

 

Lunedì 17 ottobre  2011 ore 19,30

 

CIBUS MAZZINI via Lamarmora 4 a Lecce

 

Interverranno Stefano Donno, Luciano Pagano, e Pierpaolo Lala

Lunedì 17 ottobre 2011 ore 19.30 Cibus Mazzini di Lecce in via Lamarmora 4 ospita la presentazione, per la rassegna “30 minuti con l’autore” organizzata da Arcadia Lecce e Cultura Oltre, del libro “Fino alla fine del giorno (Lupo Editore), romanzo d’esordio del giornalista e scrittore Osvaldo Piliego, direttore di Coolclub.it e collaboratore del Nuovo Quotidiano di Puglia e di Rockerilla. Interverranno Stefano Donno, Luciano Pagano, Pierpaolo Lala

 Il pub di Settimio è l’approdo di generazioni perdute, il punto d’incontro di storie confinanti, di solitudini che annaspano nell’illusione di risolversi in

Salento terra di santità. I Servi di Dio di Guagnano, Laterza, Latiano e Lecce

di fra Angelo de Padova

Giuseppe Maria del SS.mo Sacramento da Guagnano. Morto il 9 gennaio del 1819. Si distinse per il silenzio e l’umiltà. Frate minore.

Fra Angelo da Laterza, il 21 aprile del 1606. Cappuccino.

Fra Benedetto da Laterza, il 23 ottobre del 1575. Dopo circa cinque anni dalla sua morte il suo corpo fu trovato incorrotto. Cappuccino.

Fra Luca da Laterza, morto ad Avignone (Francia) il 24 novembre 1598. Notevole in lui lo spirito di mortificazione per cui fu elevato all’estasi della preghiera e insignito del dono della profezia e delle scrutazione dei cuori. Visitatore Generale a Parigi e a Marsiglia. Cappuccino.

Suor Orsula Bastante da Laterza, monastero di Castellaneta; morta il 21 ottobre 1666. Morta con l’odore soave della santità.

Fra Andrea Mansi da Latiano, Arcivescovo. Resse l’Arcidiocesi di Otranto per 15 anni con amore e rara bontà. Morto il 1 marzo 1832. Frate minore.

Fra Bonaventura del SS.mo Sacramento da Lecce, chiaro per santità di vita e miracoli. Morto a Lecce il 10 gennaio 1765. Frate minore.

Fra Roberto Caracciolo da Lecce, dottissimo teologo, scrittore, oratore sacro fra i più eccellenti del suo secolo, proveniente dagli Osservanti. Vescovo

A Galatina… la vita materia di scrittura

di Paolo Vincenti

In un tardo pomeriggio infrasettimanale, è bello staccare prima dal lavoro e andare per paesi salentini, inseguendo il bisogno intimo di evadere dalle solite e asfittiche stanze di un ufficio per troppo tempo frequentato e respirare un po’ di aria pura, fresca, come pura e fresca è la cultura che sempre si rinnova e dona ampi e piacevoli squarci di sereno, come appunto un soleggiato meriggio, in un orizzonte in cui si addensano nubi minacciose.

Sono a Galatina, nella bellissima piazza centrale, sulla quale domina la chiesa di San Pietro e San Paolo, che a me evoca tante passeggiate fra le bancarelle e le luminarie, fatte negli anni dell’infanzia insieme alla mia famiglia o ad alcuni parenti, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo ( che, nella vulgata diventano uno solo, “San Pietro e Paolo”, tanto forte, forse, è l’osmosi nella devozione popolare fra le due figure), santi per me onomastici, il 29 giugno.

 Erano quelle, ricordo, le occasioni per assistere anche allo spettacolo, per noi surreale e incomprensibile all’epoca, delle ultime tarantate – si era sul finire degli anni Settanta – e delle loro contorsioni, nel centro della piazza e davanti o dentro la cappelletta di San Paolo. Incontro Gianluca Virgilio, insegnante e scrittore. Seduti al tavolino di un bar della piazza, accanto al noto bistrot “Il covo della taranta” (che mi ricorda piacevoli serate estive trascorse in deliziosa compagnia), ci scambiamo i nostri ultimi lavori editoriali. Gianluca

Cave Ipogee nelle campagne di Cutrofiano

di Massimo Negro

Lasciata la distesa pietrosa di “Mater Gratie” a Gallipoli, con lo sguardo che si perde sino ad abbracciare il Mar Jonio, il viaggio continua nel cuore del Salento, tra distese di alberi di ulivo ove si celano nel sottosuolo inaspettati segreti che solo l’occhio attento sa cogliere in qualche loro accenno in superfice.
Il mio viaggio mi porta a calpestare la terra rossa di Cutrofiano, muovendomi  tra le campagne ricche di uliveti, punteggiate da case, aggirandomi tra le strade che portano verso Supersano e verso Collepasso. A guardare dal finestrino si vedono sfilare un paio di cave a cielo aperto ancora attive, una cava dismessa interamente piantumata e ora trasformata in un bosco. E poi una distesa piana di terra rossa, alberi e ordinate fila di canne che corrono lungo i canali che raccolgono l’acqua piovana dalle campagne.

Ma a ben guardare, questa zona del nostro Salento cela in sè ben più di quello che può apparire dal finestrino di una macchina in corsa. Due estati fa ci fu la mia personale scoperta degli affascinanti specchi d’acqua che punteggiano la zona chiamata “Signureddha”.
Circa un anno fa furono  le numerose e strane forme di pozzo con la bocca tappata dal cemento a farmi sorgere una serie di domande. Bocche di pozzo enormi, non come i pozzi d’acqua o le bocche di cisterne interrate di cui sono piene le nostre campagne.

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E in effetti non di normali pozzi si tratta. Sono le dismesse vie di accesso ad un mondo ormai scomparso. Conducono nel sottosuolo, in dedali di gallerie da cui sono state estratte quantità enormi di calcarenite, o per dirlo in modo comune, i tanti “cuccetti te tufo” con i quali sono state costruite le nostre case.

Chi percorre quelle strade forse ignora che sotto i propri piedi o le ruote delle macchine, ampie gallerie ora immerse nella più totale oscurità si allungano come un labirinto, perdendosi nel sottosuolo.
A Cutrofiano l’estrazione della calcarenite aveva assunto i connotati  tipici delle miniere.  Il vasto banco di calcarenite si trova ad una profondità che può andare ben i oltre i 30 metri (in alcune zone si arriva a 50 metri di profondità) ed è sovrastato da un profondo strato di sabbia e argilla. Procedere con l’estrazione a cielo aperto avrebbe comportato un lavoro immane, l’argilla e la sabbia di riporto avrebbe occupato zone vastissime e,soprattutto, si sarebbe sventrata e resa inutilizzabile una zona agricola molto ricca. Si procedette quindi in altro modo, creando dei pozzi di scavo che andavano ad intercettare il banco di roccia e solo allora si procedeva nel sottosuolo all’estrazione dei mattoni muovendosi nel sottosuolo.
Una delle cave a cielo aperto ancora attive ha intercettato un’antica cava ipogea e dalla foto che segue si può ben vedere a quali profondità si lavorava. In effetti fa una certa impressione.

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Ma torniamo al lavoro dei nostri “minatori”.  La predisposizione del pozzo richiedeva accorgimenti particolari per evitare che l’argilla desse luogo a dei crolli. Normalmente si procedeva con le zappe. Anche nei tempi più recenti il

Luna piena sul mare di San Cataldo

da: http://annidaridere.splinder.com/

di Gianni Ferraris

Luna piena sul mare di San Cataldo. Onde neppure troppo rabbiose e sabbia nera, forse catrame, chissà. Il cagnolino bianco cammina sul lungomare seguito da uno color champagne, già lo champagne, festa festa festa… Che diavolo ci sarà mai da festeggiare? Mistero, forse l’economia che non gira, forse i ragazzi italiani in giro per il mondo. 70.000 se ne sono andati in un anno, contro i 20.000 immigrati che arrivano su barche, camion, pullman per cercare di sopravvivere. Qualcuno si lamenta per questi ultimi e dice che sono loro il vero problema. “Che mondo di merda” mi dice una signora tralasciando il bon ton e parlando, alla buon’ora, come si parla fra amici.

La luna ammicca, guarda, osserva, illumina il mare e il vento che soffia quasi benefico. “Tramontana?” “Libeccio” rispondo io senza sapere assolutamente nulla di venti, però mi piace il nome. Tramontana e scirocco sono abusati. Le previsioni dicono di poche nuvolette che nascondono solo un po’ il sole giallo, perché il sole è giallo per antonomasia, anche se io lo vedo sempre bianco, a volte arancio, una palla che si tuffa in mare, forse l’ha persa un bimbo, chissà.  Intanto i pescatori con la lampada sulla testa come minatori e canne con la lucina in cima pescano, almeno, ci provano. Poi vado a casa e guardo il TG così mi informo delle cose del mondo, poi, solo poi. Sono mesi che le cose del mondo vanno come dice la signora che ha perso il bon ton. Un peana tristanzuolo di dolori, miserie, escort ed eserciti che combattono e perdono una guerra che dura da 10 anni, voluta dai peggiori della terra. Qualcuno dopo pochi mesi si spinse a dire “missione compiuta, abbiamo sconfitto i talebani” l’ha detto 10 anni fa e ancora stanno li a crepare i ragazzi di belle speranze e di grandi armamenti. Ah il Vietnam e la storia che non insegna nulla ai signori della guerra. A volte i politici si somigliano in modo impressionante, qualcuno qui da noi dice “noi l’abbiamo duro”, qualcuno negli USA disse “abbiamo vinto”, stessa filosofia, stessa potenza verbale, stesse parole gettate lì come al bar sport si fa fra ubriaconi. E prima di mandare ragazzi a crepare in Afghanistan disse “Vinceremo”, o parbleu, qualcuno già lo disse e sappiamo com’è finita.  Solo che a pagare sono i ragazzi in divisa.

Ah la luna di San Cataldo, così uguale a quella di Alessandria dove “fa freddo, è arrivato l’inverno” mi dicono per telefono. Lei se ne strafrega se fa freddo o caldo, lei sta lassù e guarda qui sotto. Camminavo per il centro storico di Lecce, si avvicina la zingara col bicchierino di plastica per le elemosine, sempre lei, sempre la stessa, ormai è come andare al bar alla stessa ora. Poi l’altra si avvicina “ho già visto tua cugina” le dico. Mi guarda e sa che non avrà

Cinghiale, cibo da ricchi

di Pino de Luca
Della “Dieta Mediterranea” patrimonio dell’umanità dicemmo, dei Gusti Mediterranei ne abbiamo fatto scelta di vita per amore, diletto e razionale contributo alla promozione del territorio.
Adesso in tanti ne discettano, spesso con competenza e buon diritto, a volte con marchiane sviste e intenzioni para-salutiste. Il desco non è una farmacia, mangiare è attività necessaria alla vita, è possesso per distruzione, lo si può fare distrattamente o con cognizione di causa. Quando ha un senso e investe il polisenso allora è arte.
Se posso mi nutro d’aromi e sapori, di immagini e suoni, di sensazioni tattili alla mano e alla papilla cercando  nella necessità il piacere. E qualche volta anche di provvedere, perché possa godere con me anche chi m’è commensale, vicino o lontano che sia.
M’ha scritto dal Salento una salentina che ha del … cinghiale. C’è un modo salentino per preparare il cinghiale? No. C’è un modo meridionale di farlo, che fu meridionale prima d’essere assunto da latitudini più elevate.
Il cinghiale è cibo da ricchi o da cacciatori di lunga pezza. Suino e selvatico, va trattato come tale. Va “buglionato”, recuperando oggi dai toschi qualcosa che, molto probabilmente, i toschi presero dallo scalco di Federico II.
Il cinghiale arrosto allo spiedo va bene per le scene di film con accampamenti di forzuti guerrieri ma provate a mangiarlo o, se siete capaci, a sentirne l’odore ….
Tre passaggi deve fare la carne del suino selvatico: la frolla, la concia e la cottura.
La carne deve frollare almeno due/tre settimane, ancora meglio la

Quei ruderi invincibili della chiesa Madonna di Monticchio

di Stefano Cortese

 

A circa un km dall’abitato di Gemini, in prossimità della superstrada statale 274 Gallipoli-Leuca, sono visibili ancora oggi i ruderi di una antichissima chiesa, denominata Madonna di Monticchio o dei Turchi.

Della storia di questo ex edificio sacro, pochissimo ci è edito, tramandatoci dalle monografie di Ugento (Corvaglia 1987) e Gemini (De Dominicis 1994), ma si argomenta solo circa una probabile datazione, peraltro discordante

Vecchia foto frontale (da De Dominicis 1994)

 

tra i due in quanto secondo il primo risalirebbe al 1300/1400, mentre secondo il De Dominicis al 1200/1300, in base alla fattura romanica del portale .

Una volta individuato il sito, non proprio facile da scovare, ho notato subito l’orientamento est-ovest e che l’elemento datante, cioè l’ingresso lunettato probabilmente dentellato, era scomparso.

ruderi da Est

 

L’unico muro rimasto in piedi è quello nord (fig. 1), il quale presenta come ornamento, a metà altezza, dei blocchi posizionati di testa e sbozzati in forma sub-triangolare, mentre nel punto mediano della lunghezza del muro è ancora visibile una graziosa porticina, anch’essa lunettata (fig. 3): facile immaginarvi all’interno della lunetta una Vergine con Bambino in qualche modo collegato alla intitolazione della chiesa. Nel lato ovest, nella residua parte superstite, si intuisce una piccola monofora, mentre dal lato sud si ha una visione completa del complesso interno (fig. 4), ma difficilmente decifrabile da lontano, vista anche la presenza copiosa di vegetazione mediterranea. Una situazione verosimile porterebbe a prospettare la presenza in passato di qualche oblato che abbia abitato probabilmente nel piano superiore, mentre l’altare maggiore doveva essere sito sul fondo del muro ovest. Appena fuori da quello che doveva essere il muro a sud, c’è comunque una larga fossa rettangolare scavata ed intonacata, forse una cisterna, ma ora riempita di materiale di diverso tipo (fig. 5).

Fig. 3 – Porta laterale muro Nord

 

Delle pochissime informazioni che ho potuto scovare nell’archivio vescovile di Ugento, ho rinvenuto solo la presenza della contrada “croce di Monticchio” e quella riportata dalla visita pastorale del 1878 del mons. Masella, il quale la interdice al culto perché pericolante senza alcun altro accenno alla chiesa.

fig. 4 – vista dal lato Sud

 

Probabilmente è da allora che l’incuria e l’insensibilità umana cerca di mietere un’altra vittima, ma quei ruderi, forse invincibili, stanno lì a ricordarci uno spaccato di storia che aspetta di essere riscoperta, tutelata e poi valorizzata.

fig. 5 – la presunta cisterna

BIBLIOGRAFIA

-F. Corvaglia, Ugento e il suo territorio, Marra, 1987

-F. De Dominicis, Gemini di Ugento: l’esperienza di una classe a tempo prolungato, fra storia documenti, masserie e tradizioni, Centro Studi Giuseppe De Dominicis, 1994

Le foto sono di Stefano Cortese

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