Libri/ I miei giochi scomposti

I miei giochi scomposti di Lara Savoia, Manni editori

 

di Paolo Rausa

I miei giochi s/composti di Lara Savoia sono un inno, per così dire, all’amore, attraversato secondo le innumerevoli modalità che una giovane poetessa può concepire. L’amore si traveste e assume via via le sembianze ora di una visione, ora di un sentimento profondo, ora di un desiderio sfrenato, e si tras/colora in immagini, della natura soprattutto. E su tutto incombe il tempo, come sedimentare di passioni, di delusioni, di aspirazioni ad un tutto che l’autrice vorrebbe abbracciare  e farlo proprio per l’eternità. Ecco che il sentimento diventa incalzante, si fa giorno, notte, stagioni, pianta, albero, scoglio, elemento marino, onda, risacca, impronta, velo che copre e che si squarcia ogni qualvolta il desiderio trova appagamento in rapporti amorosi carnali che giungono all’estasi del corpo e fanno toccare il vertice del piacere.

Lara Savoia attraversa con le sue poesie erotiche in un duplice gioco di erastés (amante) eratòs (amato), tanto caro alla lirica monodica greca e poi a quella simpodiale, una miriade di stati d’animo, ci conduce in quel regno incontrastato di Eros facendoci assaporare il dolce/amaro di un sentimento universale, che qui si tinge della sua dolce e appassionata sensibilità.

Sempre molto belle e suggestive le immagini che si susseguono e che ci invitano ad entrare in contatto con quel suo sentire illusionistico eppure reale, di tormento, di estasi, di passione, di desiderio puro, di amplessi di piacere così vivi che ci sentiamo attratti dalla figura dell’amante, vivissimamente descritto al punto che ci sembra di essere lì e desideriamo prenderne il posto per giacere e assaporare la voluttà che esprime un fiero desiderio di vita, a volte soffuso da un languore intriso di dolore, di pena di vivere, di incertezza, di desiderio di morte.

Il conflitto fra Eros e Thanatos, fra vita e morte, si fa sempre più esplicito e allora non resta che far valere le ragioni impalpabili della dolcezza e del sereno fluire delle immagini di una natura che non accetta di soccombere, anche se la sua velleità si confronta con il nulla. La nostra è una continua lotta, sembra dire la poetessa, fra Eros e Thanatos dove prevale, almeno così sembra ad una prima impressione, Eros ma questo è sia movimento vitale che trìbos, consumo, sfregamento, attrito, che prelude alla fine.

Questa parabola è presentita in alcuni componimenti, ma mai secondo uno schema lineare. Più volte espressa in coppie di concetti in opposizione, per es. nodo/sviluppo, grano biondo come l’oro/imbrunire, muore/immortale e piccolo vagito (la vita) opposto a ultimo respiro (la morte). Oppure bellissima l’immagine di un amore che si nutre di silenzio (che tace), lasciando intuire che il sentimento scava nel profondo del suo essere, così come suggestivo è il sentimento come aspettativa di un “oltre”, oltre le convenzioni e le apparenze, mentre il paesaggio e gli elementi sono muti testimoni di un amore incontenibile. Mentre in “Non rispondere amore” si afferma la sua presenza impalpabile che trova amorosa corrispondenza nella immaginazione e nell’arte, forme supreme di fuga e di oggettivazione di grandezza. Il silenzio ritorna come estremo omaggio a qualcosa che è grande e quindi inesprimibile insieme al concetto del tempo, un amore sepolto dal tempo, e dello spazio, la lontananza. Il sentimento penetra attraverso gli occhi, che diventano specchio dell’anima in pena dell’innamorata che soffre e disfa la tela dell’ordito, come novella Penelope, in attesa del nòstos (il ritorno) dello sposo.

Si affacciano i ricordi di un tempo e prevale a volte l’assenza e la solitudine, segno che l’amore ha continuamente bisogno di sollecitazioni, di attenzioni altrimenti i sogni si riducono in polvere. “Che colpe se sono scomparsi baci, abbracci?” si chiede mesta l’innamorata delusa, rievocando i suoi sospiri di un tempo che “si asciugavano sui miei vestiti”. Nella sezione “Un cerchio (estate)” le immagini si colorano espressamente di desiderio, un desiderio carnale che si inebria e si esalta nel totalizzante atto d’amore. Qui la vitalità si fa contagio e invoglia alla partecipazione il lettore, lo fa sentire  protagonista nella rievocazione delle battaglie amorose che raggiungono l’apice nella descrizione del gioco delle fragole tra le labbra, con quelle potenti e suggestive immagini della penetrazione calda, dei “calici di gerani addormentati sulle mie natiche”, sullo spasimare amoroso, ricco di particolari erotici ed espressi da letizia, gemiti, fino al vorticare dei sensi nell’appagamento finale. Il sesso assume il significato recondito della lotta per la vita e si rappresenta nelle immagini del petalo che viene succhiato e consumato oppure dal lieve incedere “su strade di muschio verde”, vellutate e incuranti delle civettuose veglie. L’odore dei corpi penetra fin dentro l’anima e confonde, si fa voluttà, licenziosità, “amplesso cieco” che brucia e appaga. Insieme ai sensi si accendono le figure dell’immaginario tratte dalla osservazione degli elementi vegetali con tutto il loro carico fantasmagorico: la pienezza del campo di grano in giugno, la succosità di un noce di cocco, il desiderio di stendersi come foglia e di essere riempita come otre, fino alla suggestiva immagine di una stilla di rugiada collocata all’apice di una cima che sporge e che rappresenta il degno compimento di un repertorio, dolce e sfrenato.

Altre immagini esprimono i sentimenti di languore doloroso e amaro, che richiama invece la stanchezza di una vita della madre, che soffre per il figlio, ridotta a “candela che abbandona il suo corpo”. Il ricordo dell’estate, intesa qui come stagione della vita, è espresso potentemente nelle  immagini delle “onde (che) tallonano uno scoglio tagliente di corallo”. Altrove si susseguono le immagini degli arbusti e degli alberi che si caricano di significati (la levità della ginestra, la seduzione del salice, ecc.) o di fiori e figure di animali che rimandano al dolore e alla solitudine. Su tutto si fa forte di desiderio di librare il volo più in alto, come il gabbiano, per fuggire le sciagure umane, oppure si sente la necessità di ripercorrere le strade dei ricordi per alimentare la vita con le illusioni d’incenso. Ma anche se turbata dalle vicende naturali e umane l’immagine poetica sa spingere alla com/partecipazione verso quegli “sguardi di donna (che) fissano il presente fermando il volto in un ritratto vuoto”. E allora di fronte alle ingiurie del tempo e della insipienza umana non resta che ritrovare la strada dell’antica sapienza e “accettare di vivere secondo natura”, per poter sperare e saper accettare con dignità, superandoli nel silenzio, i colpi della s/fortuna.

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