20 agosto 1647. L’olocausto di Nardò (seconda parte)

di Marcello Gaballo

Filippo II re di Spagna

Agosto 1647
Il 2 agosto 1647 il duca giunse inferocito e assetato di vendetta, portando con sé le truppe dei suoi amici, il duca di San Donato, il principe di Presicce, il marchese di Cavallino, il barone di Lizzanello e quello di Seclì, con cui era imparentato.
Con un esercito di 4000 uomini incendiò e razziò i dintorni, torturò tutti i cittadini che trovò per strada. Nella stessa giornata fu ucciso a Lecce il neritino don Ottavio Sambiasi, di nobile stirpe, da sempre antigovernativa.
Pur con diversi danni, la popolazione resistette per due giorni e due notti.

10-13 agosto
Nei giorni seguenti il popolo tornò a sollevarsi e offrì al duca l’occasione per intervenire ferocemente, arrestare i capi e seminare ovunque strage e morte.

Riporto, per chi già non lo conoscesse, quanto descritto dal neritino Francesco Castrignanò (Nardò 1857 – 1938) a proposito della strage, ordinata dal conte, dell’intero Capitolo della cattedrale di Nardò:

O coru, o scanni antichi gnuricati,
di do sieculi e cchiù! – Li sagirdoti,
santi cristiani, stianu quà ssittati,
urazziuni dicendu; li dioti
qua nnanzi eranu puru nginucchiati
e cchiù dha mmienzu ntra gindarmi moti,
stia lu Conte, cu l’uecchi spalangati
sobbra a femmine e masculi rriccoti.
Dhi canonaci tanta cumpassione
sintianu di lu populu ffamatu,
ca dissira allu a lu Conte: “no so bone
li tasse ci sta minti … ghè piccatu”
sapiti cce rispose lu birbone?
“Lu capitulu tuttu mprigiunatu!”
Papa Giuanni Culucci e Binidittu
Tronu. Nucciu Filippu e Roccamora,
do’ Gabilluni e do’ Pumpuni ancora
a ncastieddhu, di notte, cittu cittu

fora purtati. Quale mai dilittu
abbianu fattu ccu li dissunora?
Disse lu Conte “fuggillatu mora
ci a lu re, contru me, ricorsi ha scrittu!”

E di espra sunata, inti di agostu,
dretu Rranfa (lu cielu nci chiangia)
fece dhi santi nunni fuggillare.

Mone, ci ncora, passu di dhu postu,
pinsandu a ddhi nnucenti e a queddha dia,
mi sentu ncapu li capiddhi azzare!.

 

Testimone credibile dei fatti fu il neritino Giovan Battista Biscozzi, che scrisse una dettagliata cronaca degli eventi, preziosa per le notizie trasmesse, riportata da Nicola Vacca in “Rinascenza Salentina”.

Il 14 agosto da Conversano, ove si trovava il duca, giunse l’ ordine di arrestare i neritini Paduano Olivieri, Giuseppe Spada, Giovan Domenico Scopetta e Giovan Francesco Calignano.
Subito dopo lo furono anche Pietro Spinelli, i baroni Pietro Antonio e Guglielmo Sambiasi ed altri.

16-17 agosto
il 17 agosto 1647  Cesare Di Paolo venne prelevato a forza dal copertinese convento francescano di Casole,  in cui aveva trovato asilo,  e fu decapitato vicino all’attuale chiesa dei SS. Medici,  mentre Giuseppe Olivieri fu preso a Leverano e decapitato nelli  patuli e tutte due teste furono portate nel castello, per essere esposte sul Sedile della città.

Eliminato il Sindaco riempì le carceri di inermi cittadini che non erano dalla sua parte e che avevano la sola colpa di amare la propria città.

Forse pago della vendetta, il duca si ritirò e chiese la tregua, che però fu rifiutata.

Probabilmente qualche notizia dei misfatti neritini era trapelata fuori dal regno e ignoti governatori lo spinsero a miti consigli, per evitare condanne certe dalla corte di Spagna. Tentò di rabbonire gli animi dei suoi sudditi chiedendo la mediazione del vescovo di Lecce Pappacoda, suo parente.
Dopo una predica in Cattedrale il vescovo, ben noto per la sua lungimiranza e alquanto stimato in  provincia, riuscì a trovare un accordo tra le parti, garantendo che fossero tolte le gabelle più esose, tra cui la tassa sul macinato. I Neritini, ingenui, credettero di aver vinto. Invece l’ inganno era riuscito in pieno. In segno di pace sventolarono bandiera bianca. Si aprirono le porte e dai sindaci e deputati si portarono le chiavi della città in mano al conte su un bacile d’ argento, coperte da un candido vessillo di seta.

Il Guercio si fece consegnare le armi, col pretesto che dovessero servire alla difesa del Regno minacciato dai Francesi, poi sguinzagliò i suoi soldati a provocare i sudditi per le strade e nelle botteghe, insultando e approfittando delle donne, rincarando le odiate gabelle che aveva promesso di eliminare.

“…Addì 18 agosto, il Conte fece esaminare tutti coloro che tenevano in arresto, e confessarono che s’erano mossi per zelo e per reprimere l’audacia del viceduca; dopo l’esame furono portati nel detto casino delle Stanzie, dove furono ben guardati…”
(cfr. De Simone, in “appunti da servire per la storia di Nardò; appunto II”, in vol.20 sez. Manoscritti Bibl. Prov. Lecce).

Il 19 agosto furono arrestati gli ecclesiastici abate Giovan Carlo Colucci di anni 54, abate Benedetto Trono di anni 70, arciprete Giovan Filippo de Nuccio di anni 42, abate Donato Antonio Roccamora di anni 53, don Francesco Maria Gaballone di anni 40, chierico Domenico Gaballone di anni 34, oltre ai chierici Giovanni e Stefano Gaballone.
I primi sei l’ indomani andavano di fronte al plotone di esecuzione impassibili e straordinariamente calmi. Fino all’ ultimo istante recitavano i Salmi e pregavano.
 

20 agosto
Furono archibugiati il 20 agosto 1647 alle odierne ore 15 (anticamente ore 19) in località “Ranfa”, in un canneto dietro la chiesa dei Paolotti, ove oggi vi è Via Umberto Maddalena. Dopo archibugiati gli furono tagliate le teste. “…detti preti non mancarono, da che uscirono dal Castello, dove stavano carcerati, in sino all’ ora della morte salmeggiare e dire diverse divozioni, dandosi animo uno con l’ altro, e dicendo di continuo Pater ignosce illis quia nesciunt quid faciunt, nec statuas illis hoc peccatum, tra li quali D. Francesco Maria Gaballone, non cessò mai di dire Conceptio Tua Dei Genitrix Virgo gaudium annuntiavit Universo Mundo, ed essendo quasi morti si sentivano flebilmente dire delle parole. Questo fatto fu ad ora circa nove… Nell’ istessa notte fu ammazzato il barone Pietro Antonio Sambiasi a pugnalate, essendo questo di anni novantasette; morto che fu l’ appesero per piedi alle furche in mezzo alla piazza e le teste delli preti le misero sopra il Seggio e gli corpi distesi a terra nella Piazza, attorno allle furche…”

(cfr. De Simone, in “appunti da servire per la storia di Nardò; appunto I”, in vol.20 sez. Manoscritti Bibl. Prov. Lecce. I fatti sono tratti da un manoscritto di G.B. Biscozzi che, secondo quanto sostiene il De Simone, si conserva in casa degli eredi del Not. Francesco Bona).

“…circa le ore 20 de’ venti agosto fece appiccare ad un palo per piede sotto dell’ orologio il detto Baroncello Sambiasi, e circa le ore 23 del detto giorno fece archibugiare nella strada detta Ranfa l’ abbate Donantonio Roccamora, l’ abbate Giancarlo Colucci, l’ abbate Gianfilippo de Nuccio, don Francesco Maria e chierico Giandomenico Gaballone, alli cadaveri de’ quali erano rimasti insepolti, fu data sepoltura a ventidue del detto mese. Assisteva all’ infelici da Confalone l’ abbate Benedetto Trono; il quale quando vidde che stava per essere archibugiato l’ ultimo de’ suddetti preti, che fu l’ abbate Roccamora, alzò le voci al cielo, e piangenndo disse: Signore lava da questa terra tanto sangue innocente e sacro, e ciò dicendo, stando il cielo sereno, subito cominciò a piovere, e piovve solamente per detta sola strada di Ranfa. Avuta la notizia il Conte della morte de’ detti preti, e del Baroncello, e fatto certo del miracolo occorso con detta pioggia, fece arrestare l’ abbate Benedetto Trono, e col medesimo fu carcerato D. Filippo de Nuccio, che d’ ordine del Conte fu legato nudo ad un palo dentro il giardino del detto Casino, esposto alli cocentissimi raggi del sole, unto di mele alle morsicature delle mosche e vespe, e da un soldato gli venivano tirati ad uno ad uno i peli della barba che portava lunga, per essere un Prete di Santa Vita, e perciò detto volgarmente il Prete peloso. All’ abbate Benedetto Trono vari e molti furono li tormenti che li si dettero sotto de’ quali a 28 agosto se ne morì.
L’ anzidetto abbate Gian Filippo de Nuccio che fu archibuggiato era fratello cugino al mentovato D. Filippo che morì esposto al sole, e questo era stato lo scrittore del detto memoriale.
L’ abbate Trono non aveva altro delitto che d’essersi concertato e scritto in casa sua lo detto memoriale. Corsero la medesima fortuna due fratelli Sacerdoti di famiglia Pomponio per aver pigliato le difese dell’ abate Trono. Il solo bombardiere fiammingo fuggì la morte, giacchè nel suo esame disse che con arte avea fatto fallire il colpo, e ne fece le pruove; poichè posto nel medesimo luogo ove stava il Conte quando il tirò la bombarda ad un uomo di paglia con in capo la berretta del Conte, il fiammingo tirò dove avea tirato la prima, e gli fe’ volare da testa la barretta; indi li tirò nel petto, li riuscì felicemente e tirata la terza volta, con la prevenzione, che dovea colpirlo in fronte, li riuscì con molta ammirazione de’ circostanti. Allora il Conte li donò la vita, lo regalò, e lo tenne sempre presso di sè, e lo casò in Nardò…”

(cfr. De Simone, in “appunti da servire per la storia di Nardò; appunto II”, in vol.20 sez. Manoscritti Bibl. Prov. Lecce).

Il 21 agosto rientrò in città il Guercio con i suoi figli Cosimo, Giulio e Tommaso ed oltre 500 hombres, per godere delle tristi azioni che egli aveva ordinato da Conversano.
Ancora Zacchino: “Nei giorni seguenti proseguirono gli arresti di notabili  e preti, vennero compilate liste di proscritti, scovati patrioti fuggiti a Gallipoli e riportati a Nardò, eseguite altre uccisioni, con l’approvazione dell’ex comandante Boccapianola che ha dovuto porre il suo quartiere generale a Nardò fino alla fine di settembre, essendo Lecce sempre in mano a Spinola e Paladini. Sul  piano internazionale, fallita la congiura francofila, il marchese di Acaia  viene aiutato a imbarcarsi a Gallipoli e ripara in Francia. Mentre la Corona spagnola si appresta a concedere il perdono, il Guercio è invitato ad andarsene a Conversano, ma ci va in compagnia di un fitto gruppo di patrioti nostri concittadini”.

Nei giorni seguenti difatti seguirono altri arresti, fra cui il barone Baldassarre Carignano, il dottor Filippo Bonami e Giovan Lorenzo Colucci.
I prigionieri furono condotti a Conversano e qui impiccati nella Strettola delle Forche il 4 marzo 1648.
Le loro teste furono rimandate a Nardò per essere piazzate sul Sedile il 7 marzo e qui rimanervi sino al 15 maggio. Fra queste anche quella di Stefano Gaballone, per il quale il Guercio aveva richiesto ed ottenuto 1000 ducati dalla madre con la promessa di renderlo libero.

Concludo dunque questo rapido ricordo che non può svanire dalla nostra memoria collettiva.
Avrò forse turbato il dolce relax estivo di ognuno di voi, ma sentivo l’obbligo di aiutare i neritini in particolare a fare memoria dei tanti martiri.
Ad alcuni di essi è dedicata una via della città, per tutti gli altri feci intestare una “Via Martiri Neritini del 1647”. Poca roba, lo so, ma altro non era nelle mie capacità e possibilità
[1].

 

Per la prima parte vedi qui:

L’olocausto di Nardò. Un tributo doveroso ai suoi Martiri, a 364 anni dalla loro tragica fine (I parte)


[1] Tutta la documentazione dei processi, per uno dei quali si ottenne finalmente la carcerazione del duca di Nardò, sono conservati nell’archivio della Corona nel castello di Simancas, in provincia di Valladolid. Sono andato fin là a scartabellarli, a rendermi conto delle reali condizioni della città in quegli anni. Quante false testimonianze, quante mistificazioni, quanto dolore per  la popolazione inerme di Nardò, costretta a subire, sola, contro tutto e tutti, l’ira funesta del truce despota, carnefice e matricida.

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6 Commenti a 20 agosto 1647. L’olocausto di Nardò (seconda parte)

  1. Grazie, Marcello, per quest’altro pezzo di Storia. Quante cose che non sanno i giovani, quante cose!…

  2. Caro Marcello, complimenti per la dotta e qualificata descrizione dei moti di Nardò del 1647. Se mi permetti vorrei fare una piccola osservazione: Da alcuni testi mi risulterebbe che il Cesare Di Paolo non sarebbe stato prelevato dal convento di Casole di Copertino, ma fu arrestato presso la masseria dello Stellato ” LU STIDDATU” a metà strada tra Nardò e Copertino, mentre cercava di fuggire presso il convento di Casole per trovarvi rifugio. Quasi certamente la tua versione sarà quella giusta, ma per dovere di cronaca ho aggiunto anche un’ altra versione riportata da altri storici. Con stima Salvatore Calabrese

  3. Grazie Marcello x questo pezzo di storia della nostra città,sto seguendo anche sul gruppo…mi sto interessando sempre più al nostro passato e dei nostri avi,seguo….

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