Libri/ Viaggio a Finibusterrae

 

“bisogna avere radici profonde come quelle degli ulivi per raccontare questa terra”

 

ANTONIO ERRICO, LA SCRITTURA E LA VITA

 

di Paolo Vincenti

 

Viaggio a Finibusterrae è l’ultimo attraversamento poetico della penisola letteraria salentina offerto da uno dei suoi corrispondenti culturali più conosciuti ed apprezzati: Antonio Errico da Sannicola. Un viaggio fra le bellezze più suggestive di questo estremo lembo di terra con la mediazione culturale dei suoi maggiori letterati, da Vittorio Bodini ad Ercole Ugo D’Andrea, da Vittorio Pagano a Luigi Corvaglia, da Antonio Verri a Fernando Manno, da Carmelo Bene a Vittore Fiore, da Giovanni Bernardini ad Aldo Bello, ecc. 

Viaggio a Finibusterrae. Il Salento fra passioni e confini, edito da Manni (2007), raccoglie una serie di saggi pubblicati dal noto critico letterario negli ultimi tempi, su “Salento d’autore”, Aa.Vv., (Manni Editore 2004), su “Piazze del Salento” (Edizioni del Grifo 2005), in  “Poeti a Finibusterrae Un Novecento”, dello stesso Errico (edito dalla Provincia di Lecce 2006),  e, soprattutto, su “Apulia”, il periodico trimestrale della Banca Popolare Pugliese, diretto da Aldo Bello.

Finibusterrae è un luogo reale ma anche immaginario ed il viaggio  del titolo esprime l’idea del movimento, del tendere verso qualche cosa, forse verso una diversa dimensione del reale che, nel momento in cui si dovesse raggiungere non sarebbe più tale, smetterebbe di essere propria, smetterebbe di essere diversa.

Non si può non amare Antonio Errico, dopo averlo conosciuto: per la sua disponibilità e cortesia; per l’incanto, l’affabulazione, la magia, l’altissimo valore letterario dei suoi scritti; per la sua semplicità disarmante. Non è un uomo di molte parole, Antonio Errico- il che può sembrare un paradosso, per lui che è fra gli scrittori e critici letterari più conosciuti ed affermati del Salento – ma è proprio così, quasi che volesse compensare nel privato, con il suo eloquio misurato, il profluvio di parole, concetti ed emozioni che riversa nei suoi testi e nelle sue conferenze e che dispensa a piene mani a riviste e giornali. “Ci sono narratori che hanno saputo raccontare il Salento con tutta la verità e con tutta la fantasia di cui solo la letteratura può essere capace. Per esempio: Fernando Manno, Giovanni Bernardini, Vittorio Bodini, Luigi Corvaglia, Maria Corti, Rina Durante, Aldo De Jaco, Antonio Verri, Salvatore Bruno.” Infatti, “bisogna avere radici profonde come quelle degli ulivi per raccontare questa terra”, come fa Antonio Errico, che di  queste solide radici ha fatto il suo punto di forza, e come hanno fatto i suoi amati salentini:  Girolamo Comi, Vittorio Pagano, Salvatore Toma, Nicola De Donno, Vittore Fiore, le cui opere, dice Errico, “sono l’attraversamento di un paese al baluginare dell’alba, o nella calura del pomeriggio, o al chiarore della luna. Sono un vivere le storie, un passaggio nella Storia, la scoperta che la vita pulsa nelle parole. Sono l’esperienza di una poesia che rivela l’anima di una geografia, che delinea i tratti di un paesaggio mentale, che descrive una condizione esistenziale vissuta al confine tra una terra e due mari”.  Poteva fare il professore, Antonio Errico, classe 1959, ed entrare in quel mondo accademico così detestato da Antonio Verri, uno fra i suoi più importanti compagni di viaggio (“Due buoni compagni di viaggio, non dovrebbero lasciarsi mai”, canta Francesco De Gregori, ma purtroppo Antonio Verri non è il solo “compagno” che Errico ha perso per strada). Poteva intraprendere la carriera universitaria Antonio Errico, da brillante ricercatore qual era, se avesse avuto la costanza di seguire una strada in salita, fatta di noiosissime anticamere ed inevitabili compromessi. Ma Errico non aveva questa costanza e così ha scelto la libertà, la libertà assoluta di fare e scrivere quello che gli piaceva, quello che più lo emozionava, e scrivere di libri e di scrittori,  di altri scrittori suoi amici e sognatori persi come lui. Uscito dall’Università, Antonio Errico, che vive a Sannicola ( chissà se in fondo gli costa , a lui che ha fatto delle lettere la propria professione, dovere il nome del proprio  paese alla ignoranza di un impiegato comunale che, a metà Ottocento, lo scrisse tutto attaccato sui pubblici registri), fece il concorso per maestro elementare e lo vinse con il massimo dei voti. Insegnò per sette anni fra Ortelle, Poggiardo, Castro, Casarano e Ruffano; poi, fece il concorso per direttore didattico e da molti anni è dirigente scolastico, prima nell’Istituto Comprensivo di Aradeo ed attualmente presso l’Istituto Magistrale di Maglie.

L’esperienza di dirigente ad Aradeo è durata a lungo ed ha prodotto risultati veramente notevoli, con pubblicazioni quali: Le nuvole e la pietra -Poeti salentini del Novecento (1999), La terra e le rose- L’Europa dei poeti (2000), La luna e gli specchi (2001), Le foglie e la radice –Narratori salentini del Novecento (2002), Le storie e le stagioni (2003), Rindineddhe te parole-Poesia in dialetto del Novecento salentino (2004), I volti e l’orizzonte (2005), tutti editi dalla direzione Didattica di Aradeo.

I suoi scritti si caratterizzano per la poeticità della sua prosa che, anche negli scritti tecnici, non rinuncia mai alla musicalità delle parole, alla ricerca dell’armonia (anche Errico  “fabbricante di armonie” come il Galateo verriano), ad un lavoro di cesello, svolto per sottrazione, che dà quella organicità e quella eleganza formale proprie di tutti i suoi testi. Alcuni dei suoi scritti  si caratterizzano per una sintesi davvero prodigiosa, folgorante. Anche le  parole dell’ “amanuense” Errico sono pietre, come quelle di Carlo Levi, bagnate dal sale del nostro mare e levigate dal sole del nostro Salento che le rende baluginanti come conchiglia sulla spiaggia  mattutina. Nella concentrazione c’è anche il messaggio che il narratore vuole trasmettere. 

Racconta storie, Antonio Errico, storie di oggi, di ieri, di sempre: “Le ricerche di uno psicologo come Bruner, di un filosofo come Paul Ricouer, servono, fra l’altro, a sostanziare scientificamente le posizioni di chi considera la narrazione una delle più potenti e diffuse forme di comunicazione umana a cui neanche l’uomo della scienza e della tecnica più sofisticata può rinunciare, se non a costo di snaturare tanto le forme significative di comunicazione interpersonale quanto alcune forme di documentazione, trasmissione e scambio culturale che per molti aspetti sono affidate alla narrazione”, dice il “trovatore” Errico.

“Accade a volte che un racconto rassomigli straordinariamente ad una terra. Che nelle sue parole si senta l’odore del basilico, si vedano i colori di gerani, si accendano riflessi d’orizzonte, si increspino superfici di mare. Accade che i segni di inchiostro diventino voci di uomini e donne, preghiere di vecchi e filastrocche di bambini (filastrocche di vecchi e preghiere di bambini), che i miti si materializzino in figure di ricordo, o che una frase stringa dentro un sibilo di vento, distese di grano e sapore di melagrane”. 

Nel 1985, Errico pubblica Tra il meraviglioso e il quotidiano(Pensionante dei Saraceni), ma moltissimi suoi contributi sono apparsi su riviste locali, come Apulia, L’Immaginazione, Qui Salento e Almanacco Salentino,  in prefazioni o presentazioni di libri e poi su Quotidiano, con il quale collabora da tempo immemorabile.

Nel 1996, pubblica Favolerie (Manni editore); nel 1998, Il racconto infinito, in Conversazione con Luigi Malerba (Omikron); nel 1999, Fabbricanti di sapere. Metodi e miti dell’arte di insegnare (Manni editore).

Da abile ed appassionato operatore culturale, il “favoliere” Errico si è sempre speso per la promozione culturale di questa nostra terra salentina, terra di poeti, di scrittori, di scienziati,  e il suo sforzo, ci dice, è quello, costante, quotidiano, di far venire fuori le potenzialità inespresse di questa terra, i suoi talenti ancora nascosti che egli, novello Diogene, ricerca con il lanternino della sua sensibilità poetica.

Errico concepisce il suo ruolo di intellettuale militante proprio come una missione, una missione che lo ha portato a contatto con tutti i più importanti esponenti della cultura accademica ed extra accademica salentina degli ultimi anni, soprattutto con quei giovani fermenti nei quali lo scrittore crede molto. Come crede moltissimo pure nella forza dell’aggregazione, in quel  “fare gruppo” che  ha prodotto, in passato, esperienze meravigliose come Pensionante dei Saraceni, oppure riviste che sono in vita ancora oggi, come L’Immaginazione e Apulia la quale ultima, come dice Errico, è un caso singolarissimo di rivista economica che dà spazio alla cultura.  “Probabilmente non è più possibile pensare una Puglia e un Salento, senza associare questo pensiero a quella mappa dell’esperienza di esistere che è Finibusterre di Luigi Corvaglia, o a quella metamorfosi della storia in mito che è L’ora di tutti di Maria Corti”, scrive il Nostro, “Non è più possibile, probabilmente, pensare questa penisola di confine senza un riferimento a quella sintesi iperbolica ed essenziale che di essa hanno fatto Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Vittorio Pagano. Sarebbe un po’ come pensare una Puglia senza Federico II, Otranto senza cattedrale, Lecce senza Santa Croce”.

Nel 2002 esce Angeli regolari (Guitar edizioni), nel 2004 L’ultima caccia di Federico Re (Manni), nel 2005 Salento con scritture (Guitar edizioni).

Nei suoi scritti, Errico meglio di chiunque altro, oggi, sa descrivere l’anima di questo Salento. “L’identità autentica di un paesaggio è scritta nella sua parte nascosta, invisibile; è l’essenza, la materia primordiale, il lievito che lo ha generato. E’ la memoria del tempo. E’ quella che il filosofo James Hillman definisce l’anima dei luoghi. Forse l’anima del luogo chiamato Salento è quel sibilo lungo di cui diceva Antonio Verri, quel linguaggio essenziale di una cultura millenaria. Forse può essere l’irrealtà del silenzio che dilaga nelle case sonnolente alla controra, o la corrente confusa dei due mari, la vertigine dei campanili di Grecìa, un saluto d’accoglienza inciso su una stele di Calimera, o la malinconia di un rito di congedo, la fede dei martiri sul colle della Minerva, una superstizione o uno scongiuro, un modo di imprecare o di pregare. Può essere la leggenda di Enea che approda a Badisco. Oppure il mosaico di Pantaleone. O la sapienza dei copisti di San Nicola di Casole. La filosofia di Antonio Galateo. Donne chiuse nel vestito nero. Fantasmi di galere turche che arrivano dal mare. Lunghi volti di santi bizantini. O un menhir svettante e solitario. Un canto che si leva dai campi di tabacco. Il dente che si serba per il giorno del giudizio.

Può celarsi e rivelarsi in un riflesso, in una trasparenza, nei suoi dettagli, nelle sue voci che ritornano per ricordarci che il presente, in fondo, è soltanto un passato rinnovato.”  Sulla dedica di un racconto apparso su Sud Puglia, Il comandante Turno (poi ripreso in Favolerie), ha scritto: “Dedico questo racconto a mio padre e ad Antonio Verri. Da mio padre ho imparato a vivere la vita. Da Antonio Verri a vivere la scrittura. Se poi ho fatto confusione è colpa mia”.

Sarà anche  un umile copista, come gli è piaciuto autodefinirsi, ma la sua opera rende  tutti noi più  ricchi e soprattutto un poco più consapevoli del nostro ruolo, dandoci forza e motivazione per continuare sulla strada intrapresa. Qualche anno fa, in occasione di una visita nel Salento di  Francesco Guccini,  per ritirare il Premio “L’olio della poesia” di cui era stato insignito, Errico, in un suo intervento su “Quotidiano” (“Ti racconto qualcosa di noi”) consigliava al cantautore modenese, da lui molto amato, andando via, di mettere in valigia qualche libro dei grandi autori prima citati, per conoscere un po’ di questo nostro pianeta culturale. Bene, anche noi, “eterni studenti, noi chierici vaganti, banditi di strada, noi non artisti, solo piccoli baccellieri”, per citare il Maestrone di Pàvana, anche noi ci sentiremmo di consigliare ad un visitatore che voglia conoscere un po’ meglio quel “sibilo lungo di millenaria cultura” che è l’anima del Salento, lasciando Terra D’Otranto, di mettere nel bagaglio qualche libro di Antonio Errico.

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