Maglie e Federico Garcìa Lorca (1898-1936)

MAGLIE E FEDERICO GARCIA LORCA. DALLA “LUNA GITANA” ALLA  “LUNA DEI BORBONI”

di Paolo Vincenti

“Federico Garcìa Lorca fu una creatura straordinaria. Creatura questa volta significa più che uomo. Federico infatti ci metteva in contatto con la creazione, con questo tutto primordiale dove risiedono le fertili forze. Quell’uomo era prima di tutto sorgente, freschissimo zampillo di sorgente, trasparenza originaria alle radici dell’universo”: così ricorda Federico Garcìa Lorca il suo amico Jorge Guillèn, nel suo Prologo alle Obras completas di Lorca, riportato da Claudio Rendina in “ Libro de Poemas. Edizione intergrale” (Newton Compton 1995).

Al grande poeta spagnolo è stata dedicata, mercoledì 6 dicembre, una serata, “ Omaggio a Federico Garcìa Lorca (1898-1936)”,  dal Liceo “Francesca Capece” di Maglie. Aggiungere il qualificativo “bellissima” al termine “serata può sembrare una formula di rito, così come siamo abituati a sentir definire “glorioso” lo storico Liceo Capece di Maglie. Però, mai come in questo caso, gli usati aggettivi sono appropriati: perché una serata che ha regalato fortissime emozioni agli astanti dall’inizio alla fine ed è riuscita a mettere tutti d’accordo sulla sua ottima riuscita non è se non un piccolo miracolo ( abituati come siamo alla  superficialità e all’improvvisazione delle serate culturali a cui mediamente assistiamo,) e un Istituto Scolastico che riesce ad organizzare tutto ciò conferma che la ottima fama di cui gode è più che meritata.

Nel 70° Anniversario della morte di Lorca, si è tenuta, nell’Aula Magna del Liceo magliese, una Tavola Rotonda e un Recital di musica e poesia nel segno del grande poeta del Romancero gitano. Tutte queste arti infatti si intrecciano nella sua poesia, la cui vasta teatralità è stata messa in evidenza da tutti i critici,  secondo quanto lo stesso Lorca aveva affermato, cioè che “il teatro è la poesia che si eleva dal libro e si fa umana” (dall’intervista di Felipe Morales in Obras completas).

L’amore per il teatro da parte di Lorca trova ampie conferme nella sua carriera, a partire da El maleficio de la mariposa, la sua prima, fallimentare, rappresentazione teatrale con marionette disegnate dal pittore uruguaiano Rafael Barradas, fino a La Barraca, teatro popolare da lui progettato, nel 1931, gratuito e ambulante.

Dopo l’Introduzione del Prof. Vito Papa, Preside del  Liceo Capece, hanno preso la parola la Prof.ssa Valentina Sgueglia, vice presidente dell’Adi Sd, Le-Br-Ta, il Prof. Diego Simini, docente di Lingua e Letteratura Spagnola dell’Università di Lecce, e il Prof. Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università leccese. Gli interventi dei relatori sono stati intervallati dalle esibizioni di danza curate dalla Prof.ssa Maria Josè Cueto Martìnez e dalla lettura di poesie lorchiane, nella doppia versione spagnola e italiana, ad opera degli studenti delle V Classi internazionali di Spagnolo del Liceo Capece e da canti, ad opera degli stessi studenti, di alcuni famosi brani di Lorca, con la Direzione artistica e musicale a cura dei Professori Angelo Pulgarìn Linero, Soledad Negrelos Castro e Josè Manuel Alonso Feito. Gli studenti della sezione spagnola del Liceo Capece  sono coordinati dalla Prof.ssa Isabel  Alonso Devila, che è stata anche relatrice della serata.  La musica era stato il primo amore del poeta spagnolo, che aveva studiato piano e composizione con il maestro Antonio Segura, scrivendo numerose canzoni, ed aveva avuto una speciale amicizia col grande maestro spagnolo Manuel De Falla.

Il nome di Garcìa Lorca, poeta molto amato e conosciuto in Italia, è legato anche al  Salento, grazie alla magistrale traduzione che hanno fatto dei suoi versi due grandi intellettuali ed ispanisti della nostra terra, vale a dire il magliese- fiorentino Oreste  Macrì (soprattutto con Canti gitani e prime poesie, pubblicato con Guanda nel 1949, poi ampliato e pubblicato col nuovo titolo Canti gitani e andalusi e con nuova sua Introduzione nel 1951 e ancora nel 1961 ) e il leccese Vittorio Bodini ( in particolare, Tutto il teatro 1952).

Macrì e Bodini costituiscono, insieme a Carlo Bo (cui spetta forse il primato degli studi lorchiani in Italia, a partire da Poesie, pubblicato nel 1940 con Guanda, che ha avuto numerosissime riedizioni, passando per Poesie sparse, Guanda 1976), la triade dei maggiori studiosi del poeta spagnolo (cui aggiungeremmo, anche per quantità di contributi offerti, Claudio Rendina). Nel suo intervento alla serata del 6 dicembre, A.L.Giannone si è occupato del rapporto fra Garcìa Lorca e Vittorio Bodini, scrittore leccese a Giannone da sempre molto caro.

Il docente, che ha dedicato a questo argomento molti suoi studi , soprattutto Corriere Spagnolo (Manni 1987), che raccoglie reportage dalla Spagna e prose di Bodini,  ha tracciato un profilo delle influenze che direttamente o indirettamente il Bodini poeta ha tratto dal Bodini ispanista, o, per meglio dire, le influenze che Bodini ha ricevuto, nella sua produzione poetica,  dalla poesia di Lorca, di cui è stato fine traduttore.

Bodini ha avuto nella sua carriera una lunghissima frequentazione con la letteratura spagnola, avendo tradotto, oltre a Lorca, il Don Chisciotte di Cervantes (Einaudi 1957), Visione celeste di J.Larrea e le Poesie di Salinas (Lerici 1958), il Picasso di V. Aleixandre (Scheiwiller 1962), l’antologia I poeti surrealisti spagnoli ( Einaudi 1963;  ed è stato proprio Bodini, come ha sottolineato Giannone, a definire tale questa scuola poetica spagnola, mutuando la definizione dal surrealismo francese), I Sonetti amorosi e morali di Quevedo (Einaudi 1965), Degli Angeli di Rafael Alberti (Einaudi 1966) e Il poeta nella strada dello stesso autore (Mondatori 1969), infine il Lazarillo de Tormes (Einaudi 1972).

L’amore di Bodini per Lorca era iniziato già nel 1945 con la prima traduzione europea della farsa di Lorca,  Il Teatrino di don Cristobal, del 1931, come ricorda Ennio Bonea in “Comi Bodini Pagano. Proposte di lettura” (Manni 1998). Anche Giannone, così come Macrì, ricordato da Bonea nel saggio testé citato, ritiene che l’influenza del grande Lorca su Bodini  inizi già prima del suo viaggio in Spagna del 1946.

La permanenza nella penisola iberica , comunque, dal 1946 al 1949,  fu fondamentale per l’ispanismo di Bodini e rafforzò ancora di più la sua ricerca, perché, come scrive Giannone nella sua Introduzione a “Barocco del Sud. Racconti e prose” (Besa 2005), “gli permette di scoprire un altro Sud, che gli serve per capire meglio anche il suo. Nei reportage e nelle prose che egli continuò a pubblicare dopo essere tornato in Italia, è possibile notare il tentativo di penetrare nella realtà profonda della Spagna, alla scoperta della sua dimensione invisibile e sconosciuta, del suo ‘spirito nascosto’ per usare un’espressione di Lorca. Proprio Lorca, che diventa la guida ideale di Bodini in questo viaggio, gli insegna a scavare nell’inconscio collettivo del suo popolo partendo dalle manifestazioni più tipiche del folclore iberico: il flamenco, la corrida, i serenos, i combattimenti dei galli, i riti della Settimana Santa e così via. Lo scrittore leccese si va gradualmente accorgendo delle numerose affinità tra il popolo spagnolo e quello salentino, legati anche nell’intimo da un sentimento tragico della vita, e trova in quel paese il ‘suo’ Sud, come egli stesso scrive in una poesia di Dopo la luna, Omaggio a Gongora[…]”.

“L’interesse per Lorca”, ha spiegato Giannone durante il suo intervento, “è culminato con la pubblicazione, presso Einaudi, nel 1952,  del Teatro”, ed ha citato alcune parole di Bodini, tratte dalla sua Prefazione dell’opera, da cui si evince che Bodini, da acuto interprete e autentico poeta, aveva colto perfettamente il messaggio della poesia di Lorca: “ La sua [di Lorca] presenza aderiva alla vita in modo così pienamente meraviglioso che egli era la vita stessa nel suo infinito presente. Tutta la sua poesia era una dichiarazione obbiettiva dell’essere, che la mancanza di sforzo rendeva estremamente gioconda: bastava che dicesse luna e la luna esisteva, che dicesse coltello e un coltello brillava, che dicesse stella, cavallo, fiore …”.

Il 1952 è lo stesso anno in cui Bodini pubblica la sua prima opera poetica La luna dei Borboni (di cui, recentemente, è stata pubblicata una nuova versione, a cura di Antonio Mangione, da Besa, 2005) ) e Giannone ha rilevato quanto forte fu l’influenza che le traduzioni di Lorca ebbero su questa sua poesia. “Tipicamente lorchiana”, ha detto Giannone, “è, ad esempio, l’apparizione improvvisa, straniante, di figure e animali, che a prima vista risulta inspiegabile, come ‘il cavallo sorcino’ che ‘cammina a ritroso sulla pianura’, il ‘gatto’ che ‘trotta magro e sicuro nel Sud nero’, definizione, quest’ultima, ripresa proprio da Lorca che aveva definito la sua ‘Spagna nera’.

E a Lorca, da lui definito ‘il poeta più cromatico che il mondo conosca’, risale la ricchezza dei colori nella poesia bodiniana, come, ad  esempio, il ‘nero’ dei gatti e dei capelli delle donne, del catrame, delle monache, il ‘bianco’ della calce, il  ‘rosso’ del sangue, dei peperoni e dei pomodori, il ‘verde’ dei portoncini, il ‘giallo’ dei limoni e delle zucche, ecc.  Nella raccolta I poeti surrealisti spagnoli, poi, è presente la traduzione integrale della raccolta Poeta en Nueva York, composta da Lorca negli Stati Uniti e che è considerata da Bodini, come scrive nella sua Introduzione, ‘un grido di appassionata protesta contro l’americanismo e la civiltà meccanica raffigurate come un ossessionante trionfo della morte’.

Questo libro ebbe un innegabile influsso sulle raccolte bodiniane Metamor, Zeta e La civiltà industriale, dove il surrealismo che contraddistingue queste raccolte si carica di valenze polemiche nei confronti della società tecnologicamente avanzata”.

Gino Pisanò individua un ideale asse Salento-Spagna, similate “in un’unica spazialità categoriale il cui baricentro era costituito dall’ecumene mediterranea”, nel suo saggio “La leucadia salentina nell’archivio letterario del Novecento” (in “Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento”, Pubbligraf 2004). In quello che definisce “l’animismo folklorico-surreale di Vittorio Bodini”, i cui connotati indica nella triade “luna-gufo-gatto”, “segni persefonici di un universo infero e invisibile”, Pisanò traccia dei parallelismi fra la Spagna nera di Lorca e il Salento luttuoso e misterioso di Bodini, iconizzato dalla dominanza del buio dei suoi paesaggi e dal vocalismo chiuso e fonosimbolico di molte sue poesie.

Anche secondo Pisanò, la “pena vivente” dei gitani di Lorca è la medesima dei contadini del sud, degli ppoppiti bodiniani, e l’autore della Luna dei Borboni, fatalmente attratto dall’archetipo lorchiano, “trasfigura il Salento in emblema del Sud, di ogni Sud trascorso da presenze-assenze, introiettando e restituendo omologati il duende di Lorca, los angeles di Alberti, i lemuri salentini”.  Giannone, a conclusione del suo intervento, si è anche soffermato sulla morte del poeta di Canciones, i cui veri motivi, a distanza di tanti anni, rimangono ancora poco chiari. “Yo tengo el fuego en mis manos”, dice Lorca a Gerardo Diego, in “Poesia espanola contemporanea” (Madrid 1962) per  definire l’origine della sua poesia. Da Poema del cante jondo a Oda a Walt Whitman, da Romancero gitano a Divàn del Tamarit, la sua poesia continua a scorrerci dentro, bruciando come fuoco nelle vene.

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