Cefalea in camice

di Raffaella Verdesca

Era quasi tutto pronto per il convegno internazionale sulle cefalee.

L’avevano preparato in gruppo per ben quattro mesi, collaborando con i più famosi specialisti del campo: Zimmermann, Devor, Zhang e una copiosa schiera di addetti ai lavori provenienti da ogni parte del mondo.

Squallida storia quella dei ‘cervelli in fuga’ dall’Italia: studiosi, ricercatori, scienziati divenuti famosi in Stati capaci e felici di rendere onore e merito alla loro intelligenza. Lui, Salvatore Bensi, era rimasto stoicamente in Italia ad esercitare la professione di neurologo e neurochirurgo, naturalmente non di ricercatore.

Aveva lavorato duro e ogni giorno era riuscito a guadagnarsi un gradino in più in fama e potere, tanto da essere stato scelto come coordinatore del convegno in assoluto più prestigioso nel campo delle emicranie e delle cefalee.

Oltre questo, dov’era il merito?

Sicuramente quello di aver portato un simile clamore scientifico fino al suo paese piccolo e sconosciuto: Algìa.

Ridete?

Algìa era l’unico luogo degno di fare da spalla a un convegno sul dolore.

Heng Zhang, esimio rappresentante della Repubblica Popolare Cinese, saputa la traduzione del nome del paese, non aveva smesso di ridere per giorni, convinto che gli italiani fossero davvero insuperabili a creare scherzo e buonumore da tutto.

E se quel simpatico luminare cinese avesse scoperto che proprio lui, il dottor Bensi, ideatore e relatore della convention, nonché illustre cittadino di Algìa, proprio quel giorno era portatore di una cefalea all’ultimo stadio?

“Italiani mattacchioni, ih, ih, ih!”

Eh no, il viso stravolto e tumefatto di Bensi faceva capire lontano un miglio che non c’era proprio niente da ridere! Salvatore non era nuovo a forti mal di testa in seguito ad esplosioni di ansia incontrollata, ma in quell’occasione, tamponare con la mano quelle martellate alle tempie gli era sembrato davvero imbarazzante.

Se solo quel topo giallo avesse buttato l’occhio nella sua ventiquattrore, avrebbe riso ancora di più: “Oh, collega mattacchione! Nessuno farebbe un intervento sul Gn Rh per la cefalea a grappolo masticando aspirina in granuli!”

“Tutto bene, Salvatore?” aveva chiesto un po’ turbata la Spallantini a Bensi, incrociandolo quella mattina in ascensore completamente sovrappensiero. Dietro a uno smagliante sorriso di assenso e cortesia, l’uomo l’aveva lasciata scendere al terzo piano accompagnando la chiusura delle porte col rituale scaramantico delle corna: la Marta Spallantini era quella che gli avrebbe voluto soffiare il merito dell’organizzazione dell’evento fin dal primo istante, altro che ‘Tutto bene?’ Apparteneva a quella razza di donne che al marito piagnucola: “Oh caro, oggi ho mal di testa!” e poi, girato l’angolo, la testa la fa lavorare su ogni maschio circolante per strada!

Salvatore avvertiva picchi dolorosi insopportabili lungo tutta la fronte: cosa voleva dire predicare bene e razzolare male! Ma come aveva fatto, finora, a convincere i suoi pazienti che sbarrare la strada all’impeto delle passioni fosse una buona terapia per l’emicrania?

Gli sembrava di risentire i suoi ultimi sproloqui professionali: “Finiamola di pensare troppo! Via le ansie e le tensioni! Rancori e preoccupazioni? Dateci un taglio! E’ vero che questa è spesso una malattia ereditaria dai contorni misteriosi, ma non mettetevi di mezzo anche voi, di grazia, non fate gli stakanovisti delle emozioni!” E pensare che dopo queste sparate, si sentiva sempre fiero di sé! I suoi pazienti, invece, che avrebbero pagato qualsiasi cifra per disfarsi di quell’atroce martellamento alla testa, dopo le sue parole si sentivano più stupidi, più impotenti e irrimediabilmente destinati a fare da incudine a vita. Solo nei giorni in cui questa patata bollente toccava a lui, li capiva a pieno.

All’apertura dei lavori del congresso, Salvatore Bensi si era fatto notare per la sua naturale eleganza: abito di taglio sartoriale, sorriso amichevole, mani curate e nodo perfetto della cravatta, come perfetto anche il suo senso di ospitalità.

“Signori e signore, sono qui per augurarvi di non fare attenzione neanche a una parola di quel che dirò tra poco nel mio intervento, in caso aveste mal di testa!” avrebbe voluto esordire, “Ecco di fronte a voi lo scopritore premiato per più di un brevetto terapeutico nella cura dell’emicrania, l’uomo che fa psicologia preventiva tra di voi e poi si fa schiacciare dalla preoccupazione del giardino a cui gli addetti non danno manutenzione, dall’ossessione di un appuntamento a cui non riuscirà ad arrivare in tempo, dall’ansia degli operai dietro la porta e dall’elettrauto che non soffre mai di emicrania, ragion per cui, non potrà mai ricambiargli ricatti per costringerlo alla riparazione immediata della sua auto.

Per non parlare dei rapporti interpersonali sul lavoro! Questa donna alla mia sinistra, la vedete?

E’ la Spallantini, collega e grande iettatrice.

Voi osserverete allora il mio colorito biancastro, gli occhi cerchiati di nero e dedurrete che in questo momento sono in preda alla più terribile delle emicranie.

All’improvviso, ai più semplici sorgerà un dubbio da gossip:

-Tenendo conto che l’emicrania, ad esclusione di alcune forme, è una malattia tipica del sesso femminile per ovvi problemi ormonali e tenendo conto che oggi il dottor Bensi ci va a braccetto, non sarà per caso che…?-

Toglietevelo dalla mente! Sono un maschio che l’ha ereditata o che, al massimo, bazzicando un bel po’ di gonnelle, ne sarà rimasto contagiato (…e non pensate alla Spallantini!)

Confesso che una donna che amo ce l’ho, ma la dimentico dappertutto: nell’ansia, nelle paure, aggrovigliata tra i tubi e i fili elettrici della mia piscina nuova, perfino nella sala d’attesa dello studio in cui lavoro! Come fate ancora a meravigliarvi che uno come me soffra di emicrania?

La mia cura, in realtà, sarebbe proprio lei, la mia Carola, se solo la tenessi in gloria: è lei che mi ha confezionato le due pagine che state leggendo in questo momento.

Forse mi faranno stare meglio subito, forse no, comunque sia, mi dispiace, ma non sono prescrivibili. Ognuno di noi ha una sua personale terapia contro il dolore, oltre a quella medica, naturalmente, l’importante è non limitarsi a cercarla, ma, una volta trovata, fare di tutto per non abbandonarla mai.

Si dice che emicranie, cefalee e qualsiasi algìa facciale atipica siano il risultato del crollo, del deficit del sistema di difesa dal dolore: voi avete qualcuno che vi difenda?

Trovatelo e sarete invulnerabili, siate voi stessi difesa per chi amate e sarete imbattibili!”

Questo era ciò che avrebbe detto durante il convegno: poco scientifico ma di sicuro a effetto.

Il saluto dell’auditorium lo aveva riportato bruscamente alla realtà accanto allo scialle di seta di Marta e al sorrisetto ebete del professor Zhang.

L’oppressione che da ore gli incatenava le tempie, piano, piano si stava alleggerendo nel ricordo della donna che dava senso alla sua vita, l’unica vita possibile.

Schiaritasi la voce, Salvatore Bensi aveva quindi cominciato a illustrare, presentare e spiegare termini, patologie, studi e risultati clinici, mettendoci ogni sua abilità.

Era intervenuto brillantemente, aveva ascoltato a sua volta l’esposizione dei colleghi e, appena terminata la conferenza, aveva gettato nel fiume fino all’ultimo foglio di appunti, aspirine e pensieri annebbiati. Per quel giorno voleva lasciare terapie e definizioni agli altri e rivendicare semplicemente la differenza tra testa e mente. La cura è per entrambe, l’amore per una sola.

 

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2 Commenti a Cefalea in camice

  1. Racconto simpatico e piacevolissimo: nella sua indispensabile sinteticità risiede il fervido talento della scrittrice

  2. Ogni racconto di Raffaella è un universo, i personaggi sono vivi, reali, divengono subito familiari nonostante li si conosca da qualche secondo, da una manciata di righi.

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