Dove mangiare è arte pari a quella del cucinare

di Pino De Luca

Lo scarpinare tra luoghi nei quali si discetta sulla nobile arte di nutrire il corpo e lo spirito, ove mangiare è arte pari a quella del cucinare, permette di conoscere storie piccole di umanità varia che arricchiscono per davvero la mente e il corpo.

Qui si proverà a narrare di una Vecchia Casa e di un nuovo Carpaccio. Due storie d’amore a modo loro, tanto diverse e tanto simili. L’incontro di una donna a radice salentina e di un tosco innesca una grande passione, di quelle per le quali gli innamorati sembrano bastarsi vicendevolmente tanto da immaginarsi un eremo solingo nelle terre di Ghino di Tacco. E lì, per pochi mesi l’anno ospitare turisti e vacanzieri, e trascorrere il resto in solitudine estrema, a contatto tanto stretto con la natura quanto rado con gli altri bipedi implumi.

Poi la passione si trasforma, può esser che svanisca o che diventi più sobria e si consolidi, e in questo caso non ha paura di immergersi nel mondo, diventa motore di relazione e punto di forza e fondamenta. Ed ecco che Antonella e Augusto giungono in Salento. Antonella alla sua radice, Augusto di rapido ambientamento. Una ventina di giorni or sono hanno dato aria alla Vecchia Casa, un posto bellissimo, arredato con cura e colorato con sapienza. Piccolo, raccolto sotto l’occhio bonario, dolce e onnipresente di una splendida donna mitteleuropea vestita di rosa.

Un luogo sereno nel centro di Lecce, a due passi da piazza Mazzini. Ci son stato una sera di venerdì a rubare questa storia. C’era anche un libro che si presentava con una autrice bella e brava, tanto nota e importante che la cito per mio lustro piuttosto che per suo: Cinzia Tani. Ma spero d’esser perdonato se ringrazio il mio amico Germano più per avermi fatto conoscere la storia della donna che “sente al tatto” piuttosto che per un romanzo piacevole e intrigante. Della cucina vorrei parlarvi, lo farò, un giorno, quando potrò dirne con cognizione di causa e profonda conoscenza.

Poi l’altra storia, a Brindisi, dall’altro capo della superstrada, a due passi da Piazza Della Vittoria. Carpaccio è un nome storico, Luca e i suoi amici lo prendono in mano e ne fanno un luogo nuovo, entrarci è difficile, anche per me. Piccolo locale vociare intenso essenziale. M’hanno colpito tre cose: la passione di Luca e dei due ragazzi in sala, un giovane e una ragazza, che si gestiscono tutti i clienti, ma proprio tutti in tre con una rapidità che richiede indubbia preparazione atletica e altrettanto profonda propensione al sacrificio e alla professionalità. L’altra cosa sono stati i bicchieri in terracotta, da anni non ne vedevo, da quando si beve per colore piuttosto che per altri sensi. Il bianco, il rosato, il rosso per il vino. La chiara, la rossa, la bruna per la birra. Quasi che il colore fosse un criterio, e magari lo è nel mondo dell’apparenza …

La terza cosa è l’abbondanza delle porzioni secondo regola mediterrònea. Ho chiesto a Luca della sua decisione, aveva poco tempo per le chiacchiere e le curiosità, sa di dover crescere e che tanto c’è da fare ma lui mi ha detto con grande orgoglio: “sono una persona per bene!”, si vede e si sente aggiungo, una persona che immagino avrà la fortuna che le persone per bene meritano d’avere.

Mi piace aggiungere due suggerimenti per Antonella e Luca, ma non perché debbano essere seguiti solo perché sono nella mia immaginazione: se potessero far sparire quelle orrende “bottiglie di minerale” dal tavolo e servire l’acqua “del sindaco” magari utilizzando uno di quegli erogatori/depuratori ormai così diffusi. Così me lo immagino: in caraffa trasparente, ampia ed elegante sul tavolo regale della Vecchia Casa di Lecce, in orciuoli alti e colorati nel Carpaccio rinnovato di Brindisi. So bene che l’acqua in bottiglia fa business e che il cliente spesso è prevenuto. Ma i sogni non costano nulla e io sono per l’acqua pubblica ovunque e per sempre.

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