Il galletto salentino. Al ragù o in umido?

Vincenzo Campi (1536-1591), La venditrice di pollame

 

di Massimo Vaglio

Fra le tante tradizioni culinarie salentine resiste, seppur in forte decadenza, anche quella del galletto, che i gourmet locali più tradizionalisti amano consumare rigorosamente al ragù o comunque in umido nelle ricorrenze festive e non si fanno assolutamente mancare in occasione della festa di sant’Oronzo, o meglio nella ricorrenza dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, protettori della città di Lecce.

Una tradizione antichissima, che dimostra, come molti altri piatti per così dire rituali, una connotazione fortemente democratica, i piatti rituali o comunque più o meno devozionali, erano infatti, sempre piatti alla portata di tutte le borse. Basti pensare alle pettole e ai tanti dolci poveri che in determinate occasioni non potevano mancare su nessun desco, da quelli dei nobili, a quelli dei più plebei. Anche il galletto, seppur certamente più prelibato, e apportatore di proteine nobili, era tutto sommato una pietanza abbastanza economica, che in più chiunque poteva agevolmente allevare per l’occasione, accontentandosi questi di pochissimo spazio e di essere nutriti, magari con qualche scarto o avanzo di cucina. I polli, d’altronde come dimostrano anche tanti scavi archeologici, hanno costituito per i popoli salentini sempre una risorsa importante sfruttata tanto per le carni quanto per le uova. Una tradizione anche prestigiosa, proseguita, senza fine di continuità sino a qualche decennio addietro.

Alcuni antichi scrittori salentini quali Giovan Battista Gagliardo (1758-1826) e Vincenzo Corrado (1738-1836), ci hanno lasciato, nei loro trattati, importanti testimonianze sull’argomento. Quest’ultimo, nel suo trattato: il Moltiplico Governo degli Animali Domestici per Uso di Cibo (1784), dà dei curiosi consigli su come preparare i polli alla macellazione, facendoli spurgare per quattro giorni – dando loro per cibo non altro che foglie di cavoli triti, si cotti che crudi, dopo le si darà orzo cotto in acqua melata, oppure del pan trito cotto in brodo; è ottimo anche il miglio, ed il riso cotto in brodo, come pure la farina di orzo impastata con acqua e mele. Un tale cibo devesi dare ad una tale ora, e la sera fissamente ad un’altra. Così facendo, non solo ingrasseranno in pochi giorni, ma diverrà il grasso non disgustevole, e la carne bianca, tenera e gustosa. 

Comunque, la pollicoltura, o meglio l’avicoltura, raggiunge nel Salento, punte d’eccellenza negli anni trenta del secolo scorso quando ad opera di alcuni tecnici, e in particolare del Dott. Raffaello Garzia viene iniziato, presso l’allevamento di Torrepinta un lavoro di selezione e miglioramento della locale razza di polli. Questi, presentati ad un’importante rassegna del settore presso il Littoriale di Bologna furono oggetto di grande considerazione, in quanto i dati riflettenti il loro peso medio e la deposizione delle uova, confrontati con quelli altre razze di importazione: Rhode Island Red, Plimouth Rod Barrata ed altre, dimostrarono la grande validità della razza nostrana. Inoltre per la promozione di questa razza furono in seguito impiantati presso le scuole agrarie i cosiddetti pollai provinciali, ma l’introduzione di nuove razze ibride a piumaggio bianco, atte all’allevamento in batteria fecero presto decadere questa pregevole iniziativa tanto che la razza è stata per molto tempo ritenuta estinta, solo ultimamente sono stati fortuitamente recuperati alcuni relitti zoonomici ritenuti compatibili con la razza locale. Ecco le caratteristiche del galletto salentino, :

Testa: piccola, ma proporzionata, fiera, portata arditamente un po’ in avanti.

Becco: di giusta lunghezza, ricurvo, di colore giallo rame sfumato in nero.

Occhi: grandi, vivaci, neri, contornati da un giro giallo arancio.

Cresta: semplice, dritta, carnosa, molto ricca e alta a forma di fiamma, con sette denti ben distaccati, volti all’indietro di tessuto granuloso, ben colorito in rosso. Il lato posteriore si estende per buona parte verso il collo, formando con questo un grazioso angolo acuto.

Guance: nude, di un bel rosso.

Orecchioni: ovali in senso verticale, ben marcati, piuttosto grandi, bianchi largamente bordati di rosso.

Collo: piuttosto lungo, ma proporzionato al corpo, graziosamente arcuato, con ricchissimo collare di piume elegantemente ricadenti sulle spalle.

Dorso: largo, piuttosto corto, descrivente una graziosa curva insellata fra il collo e la coda. Lancette dei reni larghe, fini, lucidissime, ben ricadenti e abbondanti.

Petto: spazioso, sporgente, pieno.

Coda: magnifica, formata da numerose, larghe e lunghissime falcette, portate in alto e ricadenti a pioggia, in modo da formare un ricco ed elegante ornamento.

Ali: piuttosto corte, ben serrate al corpo, coperte in buona parte dal ricco collare e dalle abbondanti falcette dei reni.

Cosce: ben coperte, molto robuste.

Tarsi e zampe: di lunghezza media, robuste, nude, con quattro dita ben divaricate.

Portamento: maestoso, elegante, fino, ardito, bellissimo, quasi provocante.

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Vincenzo Corrado

Alcuni appassionati da alcuni anni si stanno attivando con grande impegno e passione nel ruolo di custodi di queste redivive razze, infatti, oltre alla sopra descritta razza isabella vi sarebbero anche altre due razze, la moresca e la barrata ugualmente ascrivibili al bestiario salentino, ciò è meritorio e sarebbe auspicabile un rapido, fattivo e organico interessamento degli enti territoriali a sostegno di queste pregevoli razze e in generale della biodiversità.

In altri contesti, alcune specie avicole sono divenute Presidi Slow Food, vedi Gallina Padovana e Cappone di Morozzo, e intorno a tali iniziative si è sviluppato un circuito virtuoso, economicamente molto interessante sarebbe oltremodo auspicabile che ciò potesse avvenire anche per il pollo nostrano.

Mezze zite al ragù di galletto 

Nella cucina salentina, si è generalmente molto parchi nell’uso di spezie e di aromi che possano falsare o coprire i sapori degli ottimi prodotti di questa terra, e questa ricetta forse più di tutte sintetizza questa filosofia gastronomica. I galletti da ragù devono essere di quelli allevati in modo casalingo, rigorosamente all’aperto. Devono essere sacrificati al raggiungimento dei due chili di peso e comunque non prima che comincino a cantare; vanno macellati con la tipica tirata di collo e appesi a testa in giù perché il sangue affluisca lungo il collo coagulandosi. Si spennano, utilizzando l’acqua calda e si fiammeggiano, si sventrano conservando le rigaglie, si lascia la testa privata ovviamente del becco e persino le zampe sbollentate e private degli artigli. Per preparare un ragù, sufficiente a condire pasta per sei persone, sarà sufficiente un galletto di due chili. Il formato di pasta che noi consigliamo sono delle mezze zite prodotte da pastifici artigianali a mezzo trafilatura al bronzo ed essiccazione lenta, ma potete utilizzate qualche altro formato di pasta artigianale oppure i fatidici maritati fatti in casa, ovvero le orecchiette miste ai maccheroncini cavati. Fate scaldare in una casseruola dell’olio extravergine di oliva, mettete il galletto intero ben asciugato, spolverizzatelo di sale e fatelo rosolare rigirandolo sino a quando si sarà consumato quasi completamente l’olio. A questo punto date  una rapida rosolata anche alle rigaglie, coprite di passata di pomodoro; portate ad ebollizione, quindi  coprite e regolando la fiamma al minimo lasciate sobbollire per circa tre ore. In questa preparazione come premesso non è previsto l’uso di spezie e di aromi, ma volendo si può aromatizzare l’olio facendovi imbiondire giusto qualche spicchio d’aglio prima di rosolare il galletto e, a cottura quasi ultimata, può essere posto nel ragù un mazzetto di prezzemolo. La pasta scolata al dente può essere condita a piacere con parmigiano o pecorino. Il pollo può essere servito per secondo con contorno di patate fritte a grossi spicchi e insaporite con lo stesso ragù. Se volete accorciare il tempo di cottura potete spezzettare il galletto prima di cuocerlo.

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