Scena di un pescatore malato di Alzhaimer e di uno scoglio scambiato per sirena

di Raffaella Verdesca

 

Brutta bestia la vecchiaia! E’ come una trappola, attira perfino le malattie.

Una delle più grottesche è quella del non ricordare, del non riuscire più a far bene niente.

Rimangono comunque un paio di cosette che un maschio vorrebbe sottrarre all’infame morbo dell’oblio e almeno una delle due, quando ormai gliene fosse dato il triste annuncio, sarebbe invece quella più vantata con gli amici. Per Agostino la classifica era di tutt’altra natura: il suo peschereccio, ciò di cui vantarsi al bar, al primo posto da vent’anni, mentre il sesso, quello di cui parlavano gli altri al bar, all’ultimo da almeno vent’anni.

Agostino era pescatore prima ancora di nascere e questo, nella sua famiglia di mugnai, aveva suscitato scompiglio e disappunto.

Ma il mare l’aveva ricompensato rendendo la sua tempra forte e la sua vita lunga.

Lo conoscevano tutti in paese e molti erano stati alle sue dipendenze nella pesca dei gamberi.

A strascico, le reti raccoglievano il derma del mare con tutto ciò che vi capitava in mezzo.

Nessuno si era mai chiesto se questo tipo di pesca danneggiasse tutto quello che viveva sotto le loro barche, un po’ per ignoranza, un po’ per sopravvivenza.

Agostino aveva messo sempre attenzione nel pescare perché il mare lo amava e lo credeva capace di rigenerarsi senza fatica, secondo un percorso naturale.

Il grave, per lui, stava invece nell’acqua che si mangiava le spiagge, nelle discariche che inghiottivano i gabbiani e nelle tempeste che masticavano le barche.

Ne aveva viste tempeste in vita sua! Ascensori d’acqua che cambiavano continuamente piano come impazziti, peggio delle imboscate degli scogli, angoscianti più delle notti nere come l’inferno.

Una cosa sola non si perdonava di aver mancato: l’incontro con una sirena.

Da uno che non credeva né ai santi nè alla Madonna, era difficile aspettarsi la dedizione a un mito così fanciullesco, eppure, col tempo, Agostino ne aveva fatto la sua ossessione più dolce.

Aveva intravisto il latteo candore della sua sirena più di una volta, da uomo maturo, tra le onde e negli abissi: forme morbide, languore sensuale.

Peccato che nessuno l’avesse mai preso sul serio!

Ora che era smilzo e pieno di rughe, sembrava un ricordo lontano la sua autorità, tanto che i familiari lo costringevano a rimanere seduto sulla soglia di casa come un vecchio qualsiasi.

“Da qui vedi passare la gente e quando Salvatore Fonnesu si mette a rammendare le reti, gli puoi dire che ai tuoi tempi lo sapevi fare meglio tu!” cercava di convincerlo a star fermo la figlia Maria, puntando sull’orgoglio e la superbia storica del padre.

Ma quando Maria se ne andava, in quella casa si parlava solo rumeno.

L’avevano deciso i figli che il vecchio non poteva rimanere da solo, soprattutto da quando i suoi ottanta anni gli avevano imbavagliato il cervello.

Ozana, la terza badante in tre mesi, sapeva che tenere fermo Agostino era il compito più difficile della giornata, così come avevano imparato a proprie spese le colleghe che l’avevano preceduta, Bea e Rona.

Per il vecchio lupo di mare non faceva differenza se Ozana gli parlasse in italiano o in rumeno, tanto era concentrato sui ricordi. A volte, però, ad Agostino balenavano pensieri nuovi di zecca che faceva ben attenzione a tenere nascosti, anche se, le poche volte che gli sfuggivano, li confezionava in dialetto gallurese, pari in tutto ad un linguaggio in codice per la povera Ozana. Così, in casa, i dialoghi tra i due avevano sempre un certo che di teatrale.

“Ora tu, femmina, prepari la cena e io vado in piazza a vedere che si dice.”

“Non intendo: vuoi andare in bagno? Ozana ti accompagna. Tu vuoi mangiare? Ozana ti serve cena qui vicino porta e tu rimani bravo, bravo su tuo sgabello.”

Quindi il vecchio faceva per alzarsi e la donna cominciava ad agitarsi urlando.

Ogni tanto erano dovuti intervenire perfino i vicini di casa per riacciuffare l’evaso e ricordargli i suoi doveri in gallurese stretto. Era solo sentendo la sua lingua che al vecchio tornava la memoria per pochi istanti e solo allora che sbottava tentando di nascondere candidamente i vuoti della sua mente: “E che colpa ne ho io se mi hanno messo in casa una cinese! Chi la capisce questa!”

Ma se la malattia gli aveva messo a riposo il cervello, in compenso gli aveva mantenuto in grande esercizio le gambe: in assenza di pronto intervento, infatti, Agostino era capace di arrivare in pochi minuti da un capo all’altro del paese come un maratoneta esperto e, una volta preso il volo, a voglia a chiamarlo in tutte le lingue del mondo! L’unica voce che ascoltava era quella del mare e lì davanti rimaneva in adorazione per ore. Prediligeva la ‘Spiaggetta della Sirena’, un posto che in paese non amavano in molti, data la difficoltà a raggiungerlo a piedi. Da giovane, Agostino aveva sempre disdegnato quel luogo, considerandolo un passatempo per bambini: spiaggia piccola, sabbia rosa e fondali bassi, niente a che vedere con le profondità che lui amava solcare.

Eppure una ragione al suo gradimento c’era.

L’alzhaimer aveva dovuto indietreggiare solo davanti a un insormontabile scoglio: la promessa di trovare la sua sirena in pelle e coda, a costo della vita.

Data l’imminenza di questa scadenza, il giuramento si era fatto spazio nella sua poca memoria senza voler più scendere a compromessi. Così, durante una delle tante fughe fuori dal confine rumeno della sua casa, Agostino era rimasto stregato dal mare di questa minuscola spiaggia.

A poche centinaia di metri dalla riva, infatti, si ergeva un maestoso spuntone roccioso levigato da secoli di mareggiate, in tutto simile a una sirena addormentata su un fianco. Si diceva che quella meravigliosa scultura naturale avesse il potere di guidare le imbarcazioni come un faro, leggenda verificata dal peschereccio di Agostino molti anni prima. Il vecchio non aveva mai dimenticato i sobbalzi della sua barca risucchiata dalla burrasca quella notte.

Nè luna nè stelle avevano potuto aiutare la ‘Siria’ illuminandole la strada tra i flutti e tantomeno il mare era stato in vena di favori.

Come una donna capricciosa, stanca dei suoi uomini, la ‘Siria’ aveva perciò cominciato a non ubbidire più agli ordini e le onde se l’erano presa trascinandola veloce nel buio. Mai così sfrenata era salita la paura in Agostino. Con gli occhi puntati su quella barriera oscura, d’un tratto l’uomo aveva scorto un corpo luminoso in lontananza.

Sembrava che quello si muovesse davanti a lui, tanto era il vorticare di tutto là attorno, con l’unico scopo di regalargli la salvezza. In un primo momento, Agostino aveva pensato a una stella cadente, a un ufo, a un’allucinazione prima della morte, ma quanto più si erano fatti chiari i contorni di quella strana figura, tanto più quello era stato costretto ad accettare l’inaccettabile: davanti a lui, una sirena.

Senza farsi troppe domande, da comandante aveva ripreso il controllo del timone e aveva seguito la strana creatura, portando ogni membra della barca a sottomettersi a quella luce di donna.

Impaurito e nello stesso tempo eccitato dall’insperato premio della vita, Agostino aveva conservato intatto fino ad allora il ricordo del magico contatto con la fanciulla che lo aveva salvato.

Ma fin troppo presto le luci dell’alba avevano spento il suo entusiasmo e davanti a lui, fredda e scivolosa, era apparsa una parete rocciosa modellata ad arte dal sapiente tocco delle onde.

Nessuno era riuscito a convincerlo che la sua miracolosa sirena altro non era che uno scoglio in mezzo al mare: lui l’aveva vista bene quella notte e l’avrebbe cercata in ogni angolo del Mediterraneo. Così aveva fatto per i dieci anni successivi, spingendosi in territori di pesca sempre più lontani. La malattia era finalmente riuscita a lenire la sua delusione e a ravvivare la passione

di quella notte, portandolo fino al posto giusto, la ‘Spiaggetta della Sirena’.

Ecco perché, da fuggiasco, trovava riparo solo davanti agli occhi della sua splendida regina di roccia. Vagabondo di memoria, dal rosa della spiaggia meno amata, l’adorava in lontananza, dedicandole i suoi anni ignari.

“Vecchio caprone testardo! Tu non ubbidire a Ozana e Ozana costretta a venire sempre qui a riprendere te! Vedi? Io rotto un’altra volta sandalo nuovo per colpa tua!”

“Che vuoi da me, cinese?” aveva sbottato quello senza nemmeno voltarsi.

“Ah, mi chiedi scusa, eh? Meno male che i soldi servono, altrimenti Ozana niente Italia e niente vecchio matto!”

“Se urli così la svegli…” e i suoi occhi incavati, in quel momento, avevano parlato la stessa lingua del mondo.

La donna aveva allora seguito lo sguardo del vecchio fino alla candida fanciulla addormentata su un fianco, sensuale con quella coda arrotolata tra le onde. Ozana, davanti a una visione così emozionante, per la prima volta dopo giorni, era riuscita a vedere in faccia il suo marinaio svagato: era un uomo, un uomo con lo sguardo adorante di una vita alla fine davanti a un sogno immenso e senza tempo.

Un ricordo affettuoso vada ad Andrea, che per uno scoglio perse l’elica e l’onore: gli rimanga almeno la speranza della ‘SIRENA’!

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