La pasta di mandorla e un possibile Agnus Day

 

Vincenzo Campi, Mangiaricotta

 

di Pino de Luca

Simboli, solo simboli, eppure in nome di simboli gli umani si abbracciano o si scannano, celebrano momenti di festa o di dolore. Ciascuno per la sua ragione, il suo credo o la sua fede ha bisogno di simboli, labari, bandiere.

Tra i più diffusi vi è l’agnello, purezza sacrificale per eccellenza in moltissime aree antropizzate. L’agnello prese il posto di Isacco al tempo del Secondo Patto anche nella Bibbia e fu sacrificato non per il Creatore, e poi dovette sacrificarsi anche il suo agnello al tempo della Pasqua.

Se ne sacrificano ancora di agnelli, anzi si macellano, soprattutto in occasione delle feste comandate, ma si ricorre anche al simbolo dell’agnello che, sacrificandosi, dona il meglio di se stesso.

Lu “tuce te li signuri” così era chiamato nel XIX-esimo secolo. Per la sua preziosità e rarità, probabilmente poiché veniva preparato dalle suore del monastero Benedettino di San Giovanni Evangelista di Lecce. A Natale, in forma di Pesce, e a Pasqua in forma di Agnello.

La pasta di mandorle che lo costituisce è diventato un prodotto tutelato dalla Regione Puglia e noto in tutto il mondo. Non è una cosa semplicissima ma possiamo provare a farlo. Ci occorre intanto uno stampo con la forma di agnello e poi gli ingredienti.

Mandorle sbollentate e sbucciate, poi finemente tritate, e zucchero in egual misura vanno mescolati con poca acqua e messi su fuoco moderato e cotti mescolando fino a quando l’impasto non si stacca dalle pareti della casseruola. Si spolvera quindi lo stampo con zucchero a velo e spianato l’impasto  freddo, si fodera con la sfoglia lo stampo.

Quindi si prepara la farcia con marmellata di pere (o di cotogne), faldacchiera e cioccolato fondente. Si riempie lo stampo rivestito e con la restante pasta di mandorle si chiude il tutto.

Si capovolge lo stampo e, staccato l’involucro, si passa alla decorazione dell’agnellino. Non è nelle mie capacità suggerire di arte grafica, so che non deve mancar la bandierina e il musetto. Ma a me tocca rammentare a tutti che ogni casa ha il suo agnello pasquale. Ad esempio dalle mie parti si usa una mistura di mandorle 90-10 (90% dolci e 10% amare), una busta di vanillina e invece di usare l’acqua per disciogliere l’impasto si usava una mistura di acqua e Strega di Benevento.

E nella farcia il cioccolato si fondeva e si mantecava con savoiardi e amaretti sbriciolati. E la faldacchiera poi … Non la conoscete? Bene si fa in codesto modo, io la racconto proprio perché è caduta in disuso.

Tanti tuorli d’uovo fresco e tanti cucchiai di zucchero semolato, una frusta (meglio se elettrica) e si tira finché non diventa spumosa, si mette quindi a cuocere a bagnomaria mescolando continuamente con un cucchiaio di legno finché non s’addensa tanto da far cordone quando il cucchiaio si solleva.

Qualcuno aromatizza con buccia d’agrume, acqua di rose o Strega di Benevento, a me piace aggiungere qualche cucchiaio di San Marzano.

Sarebbe bello se gli agnelli pasquali si dessero un appuntamento il Giovedì Grasso per farsi valutare? In fondo non v’è tanta differenza tra Agnus Dei e Agnus Day, e noi saremmo li a sacrificare loro e a sacrificarci. Magari cercando qualcosa per accompagnare il sacrificio. Così a naso, immagino che il Gravisano di Botromagno potrebbe essere un eccellente viatico perché il sacrificio sia compiuto. Non tacciatemi d’empietà, il sacrificio non è che la condizione necessaria affinché si compia la Resurrezione. Attendo fiducioso.

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