Pasquale Oronzo Macrì e Nicola Maria Cataldi duecento anni dopo

 

Se non è plagio è copia-incolla

 

di Armando Polito

L’informatica ha rivoluzionato la scrittura, ma anche in questa rivoluzione è dato cogliere aspetti senz’altro positivi ed altri decisamente negativi. Se da un lato, infatti, la videoscrittura ha reso il processo meno faticoso e consentito un risparmio di carta almeno fino alla fase della stampa1, dall’altro espone chi scrive alla minore lucidità di controllo che subentra quando si affida tutto al correttore automatico (e nello stesso tempo ne propizia la pigrizia), nonché alla tentazione di imitare, con esiti certamente meno felici,  gli antichi rapsodi2 nonché i successivi autori di centoni3 che, in fondo, sono stati i primi a sfruttare, certo meno comodamente, lo strumento del copia e incolla (e anche qui oggi la pigrizia va a nozze, specialmente quando non si ha la voglia o la capacità non dico di controllare la veridicità di qualche affermazione ma almeno di parafrasarla).

Non starò qui a disquisire sulla differenza tra copia e incolla e plagio: rischierei di impelagarmi in una giungla di distinguo degni della migliore trattazione sulla differenza tra erotismo e pornografia.

Lascerò al lettore il giudizio finale e mi limiterò solo ad esporre il fatto, anzi il fattaccio.

Di recente ho avuto occasione di occuparmi di cinque poesie in latino di Pasquale Oronzo Macrì, facenti parte di Gallipoli illustrata, scritta nel 1809.4

L’opera, secondo un’abitudine normale per quei tempi5, reca in testa una sorta di lettera di presentazione in latino6 che, tradotta, suona così:

A Nicola Maria Cataldi, Sacerdote di Gallipoli, Oronzo Pasquale Macrì Arcidiacono di Maglie rivolge il suo saluto.

Ciò che frettolosamente ho ricordato della nostra città lo mando a te tramite un uomo fidato, affinché tu finalmente capisca in quanta considerazione io abbia e la bellezza della città e la notorietà del suo nome. Sebbene io in questa mia mediocrità non sia per nulla simile ad un dotto scrittore che dal suo tesoro offre cose nuove e vecchie, tuttavia ho faticato per tramandare queste ultime antichissime, quelle senza dubbio ordinarie; se esse saranno gradite ai nostri uomini mi impegnerò a rifinire molto più armoniosamente quello che ho preparato. Per quello che riguarda Alezio poco ho raccolto mentre infuriava la Canicola per il caldo insopportabile, con l’intento di dare notizie più ampie quando avrò in mano vecchie iscrizioni di quella città, giacché tacciono le memorie di uomini onesti. Hai notizie sull’origine della città, sulla sua antichità finora sconosciuta. Vorrei soltanto che tu facessi questo secondo la mia volontà, che non restino sepolte le cose a te affidate ma siano divulgate: nulla infatti può sembrare ai cittadini più piacevole che conoscere la propria storia. Questo (ho scritto) mentre calava la sera. (Dirò) di più quando ci sarà più tempo. Stammi bene. Maglie, 18 agosto 1809.

Ai fini dell’incidente probatorio al quale state per assistere (la colpa è della tv…) riporterò due delle cinque poesie del Macrì  e precisamente la III e la V, evidenziandone col colore alcune parti:

III

Anxur eram, sic me veteres dixere coloni

Anxa vocor, Graio nomine Kallipolis.

 

V

ANXUR aquae Fontisque vetat de nomine dici;

Anxur enim Veteres aspera saxa vocant.

Non ignem voluere Patres signare vetusti,

asperitas montis nomina sola dedit.

Expositum Phoebi radiis candentibus Anxur

sic dixere Patres, qui coluere Iovem.

Insula CALLIPOLIS merito sonat Anxur et Anxa,

namque Salentino tollitur alta salo.

In una relazione sulla chiesa gallipolina pubblicata in Vincenzio d’Avinio, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie del Regno delle due Sicilie, Ranucci, Napoli, 1848, pag. 2417, leggo:

Ragionando noi del sito e della denominazione della nostra città nell’Alezio illustrata8 a pag. 82 abbiamo racchiuso il fin qui detto in questi tre distici:

Urbem, quam Veteres Anxam dixere Coloni,

nunc gaudet Graio nomine Kallipolis:

Anxur enim veteres montes, atque alta vocabant

saxa, quae fontes, vel mare cingit aquis.

Insula Kallipolis merito sonat Anxur, et Anxa,

namque Salentino tollitur alta mari. 

  

La relazione di cui ho appena riportato uno stralcio reca la firma di Nicola Maria Cataldi Canonico teologo di Gallipoli e la poesia in essa riportata non è solo l’espressione di un costume espressivo ottocentesco, ma anche la prova che il testo del Macrì era conosciuto, prima che fosse pubblicato e preso a modello anche nella realizzazione di versi compendianti una tesi, per non dire plagiato, errori compresi.

Basta dare uno sguardo alle parti contrassegnate con lo stesso colore per notare come la poesia del Cataldi nasca dal saccheggio progressivo delle due del Macrì per culminare negli ultimi due versi in cui l’unica differenza è il K iniziale invece di C in Kallipolis e mari che sostituisce il sinonimo salo. Unico nesso originale: quae fontes, vel mare cingit aquis.

E il nostro bravo teologo è la stessa persona cui è indirizzata la lettera di accompagnamento all’inizio riprodotta. Ma, in essa il buon arcidiacono Macrì esprime o non esprime il desiderio che non restino sepolte le cose a te affidate ma siano divulgate? Sì, così è scritto; ma un minimo di correttezza (non voglio scomodare un termine come coscienza, magari corredandolo dell’aggettivo cristiana) avrebbe dovuto obbligare il canonico teologo Cataldi a non spacciare come di sua proprietà il risultato di un furto con risultati per me grotteschi, se penso che in giochi più o meno enigmistici di altissimo livello il Macrì aveva dato prova giovanissimo nel suo Labirinto metrico.9  

Non voglio con questa mia affermazione condizionare il libero giudizio del lettore, ma gradirei che me ne mettesse al corrente, motivandolo, nel caso in cui dovesse divergere dal mio.

E, per tornare all’informatica, non dovremmo esserle grati solo per il fatto che consente, grazie alla potenza bruta di un programma di ricerca ed alla digitalizzazione dei testi e alla loro immissione in rete, lo sputtanamento di autori reali o presunti10, antichi o moderni, me compreso?  La situazione meritava un’adeguata cornice…

______

1 Si comprende, però, come la scomparsa del manoscritto autografo renda impossibile la ricostruzione delle varianti, il cui aggiornamento comporta la distruzione, da parte dello stesso autore, (almeno che non decida, rischiando la follia, di conservarle tutte dando vita ad un numero impressionante di file…) delle precedenti; il critico sarà perciò costretto a rinunciare a dati preziosi per delineare la genesi e lo sviluppo del creato artistico.

2 Alla lettera cucitori di canti, essendo la parola greca rapsoidòs composta da rapto=cucire e odè=canto.

3 Dal latino centòne(m)=panno composto di pezzi di stoffa differenti, a sua volta dall’aggettivo greco kèntron=che porta i segni del pungolo, connesso con il verbo kentròo al sostantivo kèntron=pungolo, centro. Nella tarda grecità e latinità, la voce assume il significato metaforico di componimento letterario derivante dalla combinazione di brani in prosa o in poesia di diversa provenienza; oggi centone è usato in senso dispregiativo come sinonimo di scritto o discorso di scarsa originalità ed omogeneità, ma all’origine era una prova di abilità.   

4 Vedi sul sito il post Il valore evocativo del testo e i nostri tempi del 29 gennaio u. s., dove, tra l’altro, si dice che l’opera in questione fu pubblicata la prima volta a Lecce nel 1849.

5 Oggi, invece, c’è la prefazione, la postfazione e pure il commento del politico di turno o di un letterato (?) per lo più legato a questa o a quella greppia.

6 Nicolao Mariae Cataldo Sacerd. Gallipolitano Orontius Paschalis Macrì Archidiaconus Malleensis S. D.

Quae festinanter de nostra urbe sum commemoratus, ea per certum hominem ad te mitto, ut tandem intelligas quanti faciam et pulchritudinem urbis, et nominis sui celebritatem. Ego vero etsi in hac mea mediocritate non sum plane similis scribae docto, qui profert de thesauro  suo nova, et vetera; tamen ut vetustissima, haec ea quidem vulgaria prosferrem adlaboravi: quae si forte placebunt hominibus nostris, dabo operam ut multo concinnius instituta perpoliam. Ad Aletium vero quod attinet, pauca congessi furente Canicula, aestu non ferendo, ampliora daturus, quum inscriptiones veteres eius oppidi erunt in manibus: quandoquidem monimenta castorum hominum conticescunt. Habes originem urbis, habes adhuc ignotam antiquitatem. Illud modo velim arbitratu meo facias, ut quae concredita tibi sunt,sepulta ne maneant, sed prodeant in vulgus: nihil enim Civibus iucundus1 videri potest, quam sua noscere. Haec vesperascente Coelo. Plura fortasse quum vacat. Vale XV Kal. Sept. MDCCCIX Malleis

7 http://books.google.it/books?id=fUIsAAAAYAAJ&pg=PA260&dq=nicola+maria+cataldi&hl=it&ei=131JTYLYDJqM4gb_6KW7Cw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CC0Q6AEwAQ#v=onepage&q=nicola%20maria%20cataldi&f=false

8 L’opera, autore il Cataldi (1782-1867), uscì a Napoli nel 1841 per i tipi De Bonis.

9 Il gusto a giocare con le parole è dimostrato anche dal titolo completo dell’opera nell’edizione del 1849: Gallipoli illustrata, dissertazionedi O. P. M. Arcid. della Chiesa di Maglie ne’ Salentini. Urbs Callipolitana, anagramma purissimum, Lata, pulcra, nobilis, nel quale, come lo stesso autore fa notare, Lata, pulchra, nobilis è l’anagramma di Urbs Callipolitana.    

10 Ma anche la correzione di attribuzioni di paternità fatte forse un pò troppo sbrigativamente; nel nostro caso, leggo in Vincenzo Tafuri, Della nobiltà delle sue leggi e dei suoi istituti nel già reame delle Sicil con particolari notizie intorno alle città di Napoli e di Gallipoli, Tipografia degli Accattoncelli, Napoli, 1869, pag. 154, testo reperibile all’indirizzo

 http://books.google.it/books?id=hoESAAAAYAAJ&pg=PA154&dq=Insula+Kallipolis+merito+sonat+Anxur,+et+Anxa,+namque+Salentino+tollitur+alta+mari.&hl=it&ei=6OhKTZrKD9D-4wao-pznCw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CC4Q6AEwAQ#v=onepage&q=Insula%20Kallipolis%20merito%20sonat%20Anxur%2C%20et%20Anxa%2C%20namque%20Salentino%20tollitur%20alta%20mari.&f=false

quanto segue: E siccome il canonico Cataldi ha pur compendiato in pochi versi latini la sua sentenza, non incresca vederli qui trascritti (segue la poesia dello scandalo). 

 

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