Non se ne parla: la dipendenza dalla réclame

Eliseo Locci, Il Banditore

di Rocco Boccadamo

Nella classifica dei più indicativi comparti dell’economia, il settore della pubblicità ha ormai raggiunto, incredibilmente e sbalorditivamente, una posizione di tutto rispetto, sebbene, sino a cinquanta/sessanta anni fa, esso si poneva come una componente di pochissimo conto.

il riparatore degli oggetti in creta rustica

 

Basti pensare che nel 2006, secondo scrupolose analisi statistiche compiute dall’Università “La Sapienza”, le aziende italiane hanno investito in iniziative pubblicitarie e di comunicazione più di 19 miliardi d’euro, corrispondenti all’1,2% del prodotto interno lordo del Paese. Per l’esattezza, 9,5 miliardi attraverso i mezzi classici (quotidiani, periodici, TV, radio) e 9,8 miliardi sotto forma di componenti di comunicazione (direct reponse, promozioni, relazioni pubbliche, sponsorizzazioni, internet).Attualmente, si ha motivo di stimare la “voce” nell’ordine di 25/30 miliardi.

Alla strabiliante ascesa del business in questione, ha concorso, fuor d’ogni dubbio, l’abitudine, l’acquiescenza, l’assuefazione, da parte della popolazione, di qualsivoglia età e fascia di reddito, indistintamente ad ogni latitudine, tanto che, sul piano di condizione sociale e di fatto acclarata, non sembra azzardato parlare di vera e propria dipendenza dalla réclame.

Sul tema, ci sarebbero infiniti mezzi e modi di esemplificazione, osservazione, paragone e commento.

un manifesto di Johann Georg van Caspel del 1899

Qui, si ritiene di soffermare l’attenzione, in particolare, su un preciso scenario, uno spettacolo ricorrente e plateale.

Quando la nazionale di calcio italiana gioca in trasferta, qualunque sia la località e il continente, il perimetro di quegli stadi appare, se non interamente, almeno al 90%, ricoperto, tappezzato, animato, da cartelloni, nastri scorrevoli, comunicazioni, con marchi pubblicitari di prodotti del Bel Paese.

E, però, la stessa cosa, ovviamente con veicoli avvicendati, non avviene, neanche minimamente, nelle occasioni in cui è l’Italia ad ospitare rappresentative di altre nazioni.

Succede, insomma, che da qui si muovono carovane, navi, treni, aerei, montagne di veicoli pubblicitari; niente o quasi, in senso contrario.

Esisterà una spiegazione, questa, forse, la maggiormente attendibile: i maghi e manovratori della pubblicità hanno capito e sperimentato che gli italiani rispondono meravigliosamente ai richiami delle loro sirene e, quindi, pur di spennarli, non esitano ad impegnarsi e prodigarsi, sia entro i patri confini, sia in capo al mondo.

E, così, si esercitano incessantemente pressioni e sollecitazioni a consumi ed acquisti, di giorno e di notte, su un palcoscenico di paese dei balocchi a tutto campo.

Per dare “senso” alla loro opera, gli addetti ai lavori sostengono che, in tal modo, si stimolano e assecondano i consumi: quando mai, si sia seri, i consumi, quelli reali, non le mode vuote e i meri sfizi, si fanno avanti e strada da soli.

Una volta, intorno a chi scrive, non esisteva la minima ombra del fenomeno pubblicità, poi si affacciarono i primi, pudici “Carosello”, ma si trattava di stagioni ancora caste e virtuose.

Per le vie del paese, echeggiavano unicamente le auto promozioni degli ambulanti, in acquisto o in vendita: “Ove, ci tene ove!” (chi ha uova da vendere), “Ulie, ci tene ulie!” (chi ha da vendere olive), “Capiddhri e pezze!” (ritiro di capelli caduti in sede di pettinatura oppure di stracci di stoffa, in cambio di aghi, o pettinini, o spagnolette di cotone),  “Se’ cachi (sei loti) centu lire!”, “Se’ pisci (sei pesci) centucinquanta!”

Inoltre, giravano, a piedi o in bici, artigiani di passaggio, che proponevano la riparazione di recipienti in terra cotta “ U conza limmi, u giusta cofani!”, oppure la molatura  di coltelli, forbici e attrezzi da lavoro “U mmula forfici!”, oppure il rivestimento con stagno della superficie interna di pentole e caldaie in rame rosso.

Completava il comparto, la figura del banditore (in dialetto, vannisciatore), ultimi due interpreti, nel ricordo del sottoscritto,  Adamo L. e Vitale G.

A piedi o appoggiandosi al manubrio di una vecchia bicicletta, annunciava alla popolazione la “speciale vendita al dettaglio, da parte del ricco possidente X, di vino vecchio marsalato a sole 150 lire al litro”; e, ancora, l’arrivo, l’indomani mattina, di una baracca con “formaggi, mortadella e salame”, banditore che, per la verità, interveniva allo stesso modo per segnalare che Tizio aveva smarrito la chiave di casa e, quindi, si pregava chi l’avesse eventualmente trovata di volerla restituire, dietro adeguato compenso, o per informare che il giorno successivo, all’Ufficio comunale di collocamento, sarebbe stata corrisposta, agli aventi diritto, l’indennità di disoccupazione.

Non c’è che dire, al pensiero, nel raffronto di come si era e come si è oggi, si avverte un ronzio nella mente e un sussulto, un sovvertimento interiore.

E sorge spontaneo l’interrogativo circa quand’era meglio, pur nella consapevolezza che i tempi vanno implacabilmente avanti e cambiano.

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