Cavoli a merenda…

GLI OMOFONI DEL DIALETTO NERETINO A FUMETTI (16): mùgnulu.

Qualche giorno dopo…

1 È da una settimana che mi stai facendo mangiare sempre mùgnuli. Mi sa che oggi scoppio…

2 A furia di mangiarli prima o poi troverai quella etimologia che stai cercando da tanti anni. Perciò lascia stare questi mùgnuli (capricci) e mangiati quei mùgnuli (l’ortaggio).

3 Me lo diceva il cuore che manco morto sarei arrivato all’etimologia di mùgnulu. E quella me li sta portando pure qui…

4 Disgraziato di cane, vai a pisciare da un’altra parte, perché se seccano se la prenderà con me.

5 (Si tratta di una razza nuova: il cane pappagallo).

Nel dialetto neretino mùgnulu è il nome di un ortaggio tipicamente salentino (Brassica oleracea L., varietà botrytis, subvarietà italica) una cultivar del cavolo broccolo che secondo i botanici probabilmente rappresenta, insieme alle altre forme selvatiche di Brassica, un antenato delle attuali varietà di cavoli; ma mùgnulu è usato anche nel senso di capriccio, vezzo, moina, carezza e da questo è derivato l’aggettivo mugnulùsu=capriccioso.

Il Rholfs per il primo significato (quello dell’ortaggio) non avanza nessuna proposta etimologica1, idem il Garrisi1; per l’altro significato il Rholfs1 invita ad un confronto “con l’antico italiano mognine=carezze, italiano moine”, il Garrisi1 lo fa derivare “dall’italiano mu[gu]gnolo”.

In realtà l’antico italiano mognine è una voce veneziana attestata nel Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio, Cecchini, Venezia, 1867, pag. 423: “MONÌN o MOGNÌN, s. m., Mucino; Muscino e Mucci mucci, Termine del Gatto, o col quale si chiama il gatto”. Il VEI (Vocabolario etimologico italiano) al lemma Moina: “Voce di dubbia etimologia, ma è facile che faccia parte di quel gruppo di voci che probabilmente trovano il motivo nei vezzi propri del gatto e a cui spettano mognine (ant.)=carezze e mignògnole (trent.). Che il termine mognine fosse molto antico lo attesta il suo uso in Della famosissima Compagnia della Lesina capitoli, dialoghi e ragionamenti, Curti, Venezia, 1677, pag. 409: “Non vi lasciatte far delle mognine come si suol dire, e habbiate più cura di voi stesso, e poi d’altri, a questo modo farete buon LESINANTE” e la rielaborazione fatta nel 1670 in bergamasco del Goffredo del Tasso da Carlo Assonica, pubblicata a Bergamo da Antoine nel 1778, pagg. 123 e 487: “De fort che ‘l fior Frances, battut fo ‘l brue,/ no ‘l ghe ‘l torav’ dai ma no fo di chè/, Goffredo, per mognine, ch’a la ‘s faghe,…”; “Ah, ch’a vèe noma adess i gran ruine,/chi ‘m fava quela trista coi mognine”.

Per dare un’idea dell’incertezza etimologica di moina e delle poche certezze anche in tempi più recenti acquisite non posso non riportare quanto è scritto nel Dizionario etimologico del Pianigiani (1926): “dal francese mine=cera o aspetto del volto, gesto, mediante la forma dialettale borgognona MOIGNE che taluno identifica con Mina=cava sotterranea presa nel senso figurato di segreto disegno, indi applicata a indicare l’aspetto e il contegno di chi lo cova (v. Minare): ma che giova piuttosto senza tanta ambage connettere direttamente al celto breton. MIN=muso, da cui ben viene il francese mine=cera del volto, tralignato nel dialetto in moigne: propriamente movimento del viso, gesto. Affettata carezza di femmine o di bambini.”.

Incoraggiato ed eccitato da tanta incertezza, non solo mi dichiaro disponibile a considerare plausibile la proposta del Garrisi che integro: per sincope di –gu– da un *mugùgnolo, diminutivo di mugugno, voce di origine onomatopeica; la sincope della sillaba tonica (-gu-) potrebbe trovare giustificazione nella somiglianza fonica con la sillaba successiva –gno-), ma addirittura ne avanzo due mie, una, per così dire singola, l’altra cumulativa.

La singola riguarda l’ortaggio: traendo ispirazione dalla voce usata a Vernole (spuntatùra) ipotizzo per mùgnulu (l’ortaggio) una derivazione da (ci)mùgnulu.

La cumulativa, invece, partendo dal significato di capriccio, si ricollega all’antica credenza secondo la quale chi aveva i capelli vistosamente arricciati era pervaso da misteriose voglie pungenti (mi piace a tal proposito ricordare la canzone La donna riccia di Domenico Modugno) e non a caso capriccio deriverebbe dall’antico caporiccio, composto da capo e riccio; la forma dell’ortaggio ricorda un capo ricciuto e questo autorizza la mia fantasia a supporre un uso metaforico del nome dell’ortaggio; insomma, si tratterebbe di un unico lemma.

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1 Per l’opera di questo autore vedi gli altri post di questa serie in cui compare, quando è citato,  la relativa indicazione bibliografica.

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3 Commenti a Cavoli a merenda…

  1. Io non sono tipo facile, caro Armando; e lo dico perché difficile lo sono stato sempre a partire da me stesso… non ti dico poi nei confronti della mia Giulietta, che tu conosci: sono stato il suo più sfegatato fan, ma anche il suo critico più agguerrito, quasi un persecutore! Per cui se ti dico che stai diventando sempre più bravo non è gratis.
    Perseverando così potresti realizzare una grande opera che – con tutto il rispetto (e lo dico in coscienza) – sarebbe, come si dice in gergo, “in barba” a quella del giustamente osannato Rohlfs.

  2. Caro Nino, ti tingrazio del complimento che sento ancora una volta sincero (altrimenti ti avrei risposto per le rime), ma non ho i titoli e, quel che più conta, il cervello di quel grande maestro. Mi chiedo in continuazione a cosa sarebbe giunto se ai suoi tempi avesse potuto fruire delle risorse della rete e mi riferisco soprattutto ai testi classici e non presenti in formato digitale, solo consultabili o, ancor meglio, scaricabili (parola orrenda, ma ormai canonizzata); penso anche a come avrebbe riso di gusto a certe etimologie che vengono, sempre in rete, scandalosamente propalate come scientifiche. E tutto questo me lo fa sentire meravigliosamente vicino, ma ogni altra velleità di accostamento, al di là di qualche osservazione isolata che gli ho dedicato e che dovessi in futuro dedicargli, sarebbe pura bestemmia.

  3. Senza necessità di repliche, ripeto che pur stimando il maestro, sono convinto – è chiaro, sempre nella mia limitata conoscenza della materia o cultura in genere (che non è quella di un dio) – che tu potresti benissimo competere. Proprio perché puoi fruire delle risorse della rete! E capisco il tuo rammarico, in tal senso, nei confronti di Rohlfs, perché è il mio nei confronti della Giulietta: quanto avrebbe potuto rendere di più con l’ausilio di Internet? Lei che ha sempre scritto a mano e servendosi – magari anche attraverso la mia collaborazione – solo di testi specializzati, enciclopedie e dizionari?

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