Sensazioni di un piemontese in terra salentina

 


di Gianni Ferraris

 

http://www.youtube.com/watch?v=5G1hvmMUxe0 (Lecce Mia – Tito Schipa)

…rusciuli russi ci ole rusciuli…

.. rusciuli russi carusi rusciuli…

Eggià, un altro autunno. Una passeggiata in una stradina che costeggia  un uliveto. Il territorio che sto calpestando è dalle parti di Vernole.

I colori del Salento e dell’autunno esplodono attorno. Corbezzoli… Rusciuli russi… Fiori che non conosco ma che sono belli, profumo intenso di rosmarino. Due funghi. Chi mi accompagna dice: “lascia perdere, di solito sotto gli ulivi non sono buoni”. Ma si, lascio perdere. Non conosco neppure i funghi. Incolto di un piemontese disinformato.

Poi lasciamo la stradina per addentrarci in un sentiero. La macchia prende il posto del pulitissimo uliveto, preparato per raccogliere le olive, spazzato, senza un filo d’erba. Qui è un’altra cosa, molti più fiori, cespugli. E quei corbezzoli illuminati da un sole quasi radente che esplodono nel loro rosso arancio. Stupendi, al limite dell’emozione. Non ho la fotocamera, peccato. E mirto…. mirto e ancora mirto.

Avevo ascoltato il suggerimento di un’amica ed avevo ascoltato Schipa nella sua dichiarazione d’amore per Lecce “…Rusciuli russi…” E immaginavo il carrettino passare nel centro storico. Spinto a mano da un contadino o dalla sua signora, chissà. Sulle chianche del centro storico, fra un barocco incombente e forse neppure osservato con attenzione.

Ed ora stavo in mezzo ad una natura prepotente. Dopo un cespuglio da togliere il fiato per i colori, improvviso, arriva un “alto rischio incedentabilità”. Già, siamo vicini a Vernole, si dice così nel dialetto locale. Una vera e propria discarica di calcinacci, ma soprattutto una quantità industriale di lastre di amianto smaltite a cielo aperto. In piena campagna. Hanno dovuto faticare per portarlo fin lì, non è raggiungibile quel luogo con mezzi meccanici, il sentiero è stretto. La bellezza del sole radente, dei colori, dei rusciuli russi. Tutto inghiottito dall’imbecillità. Improvvisamente. E fino alla fine del sentiero. Perché le ondulate lastre maledette sono impilate per tutto il percorso, accanto al sentiero. Quasi con cura. In linea d’aria siamo a poche centinaia di metri dall’aeroporto di Lepore. Non so quale sia il comune competente, però in quelle campagne si respira asbesto, fibre di amianto. Si respira lo scempio del territorio.

Sono passati quattro giorni. Oggi piove, appena potrò tornerò con la fotocamera. Perché non è plausibile sopportare una discarica a cielo aperto. Ancora meno è il sapere che qualcuno, con comportamento colpevole, si diverte a spargere cancro in giro per il mondo. Perché di amianto si muore.

In questi giorni poi. Le cronache ci dicono di molte, troppe morti assurde. Una ragazza di Avetrana dentro un pozzo. 4 ragazzi che si aggiungono agli altri trenta italiani ammazzati per una guerra assurda. Che qualcuno si ostina a chiamare “missione di pace”. Quando l’ipocrisia lascerà il posto alla logica? Soprattutto non c’è tragedia di guerra che non dica di almeno un salentino. “Quando ho sentito la prima notizia della strage mi sono chiesto a quale parte di questo Salento toccherà il lutto. E’ toccato a noi” dice il sindaco di Patù in televisione.

La bellezza dei colori dell’autunno e dei “rusciuli russi… Carusi rusciuli” lascia il posto a realtà prepotentemente assurde, irreali, incomprensibili. Innaturali.

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