Quando la definizione è facile e l’etimologia difficile: ‘mprusàre.

di Armando Polito

 

1 Ragazzi, ‘mprusare non deriva da proso ma da prosa...

2 Professore, maschio o femmina, che cambia?

3 Professore, non è che ci stai imbrogliando, no?

Voglio parlare di quella che si avvia ad essere, forse lo è già, l’attività più praticata in Italia, anche perché non comporta alcun rischio di infortunio e, se uno ci sa fare, si possono guadagnare pure molti soldi. Avete mai visto un mago, un finto medico, un faccendiere, un politico che non abbia mantenuto nemmeno parzialmente una promessa, una ragazza avvenente che in cerca di notorietà (altro non dico) abbia manifestato interesse, anche fisico, per un attempato ranocchio e, per finire con me stesso (o, spero, solo con la mia categoria…), un professore che abbia raccontato come una verità scientifica una balla colossale frutto della sua ignoranza, avete mai visto uno di costoro essere condannato a pagare una multa adeguata o qualche ora di galera o rischiare un licenziamento in tronco?

Sono tutti (ma chissà quanti ne avrò dimenticato…) ‘mprusatùri, cioè ingannatori, truffatori e, come in tutti quelli che ingannano e truffano, la malafede trova in loro il suo strumento ideale di espressione nell’uso abile, seduttivo, a volte ipnotizzante della parola (e di qualcos’altro per quanto riguarda la ragazza avvenente…).

Ma, da dove deriva ‘mprusàre, di cui ‘mprusatùri è voce derivata?

Partirò dal solito maestro, il Rohlfs, il quale tratta così il lemma in questione: “pigliar in giro, imbrogliare (gergo) [derivato dalla voce gergale proso=culo]”.

L’unica conferma all’origine gergale di proso sono riuscito a trovare nel lavoro dell’amico napoletano Salvatore Argenziano, A lenga turrese, 2004 Russo, Torre del Greco; l’opera nella versione, da cui cito, aggiornata alla data in cui scrivo fino alla lettera p con la collaborazione della moglie Gianna De Filippis, è consultabile all’indirizzo

http://www.vesuvioweb.com/new/index4.php?obj=article&id_article=45

mbrusá/mprusá: da proso=sedere, nel gergo della parlesia”; la parlesia, cito dalla stessa opera, è il “linguaggio gergale segreto dei suonatori napoletani, tipico della pusteggia, adottato nei festini per comunicare, senza farsi capire da padroni e invitati”; la pusteggia, (cito come sopra) è l’”orchestrina ambulante composta da chitarra, mandolini  e cantante, frequentatrice di ristoranti e festini”; il festino, infine (cito sempre come sopra), è “il ricevimento di nozze, di battesimo e di feste in genere”.

Si direbbe, perciò, che proso sarebbe, comunque, un vocabolo napoletano; ma se la pusteggia è un fenomeno molto antico ed è impossibile dire quando nella parlesia entrò proso (di cui, tra l’altro, non sono riuscito a trovare nemmeno un’attestazione scritta), non è difficile immaginare quanti altri vocaboli in codice facessero già parte del suo repertorio e non credo proprio che la parola in questione fosse la sola adatta a dare vita al verbo mbrusá. Inoltre leggo nel Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano con alcune ricerche etimologiche delle medesime degli Accademici Filopatridi, Porcelli, Napoli, 1789, pag. 243: “mprosolejare e mbrosolejare mormorar sottovoce.”; è chiaro dalle definizione come le due voci siano forme attenuative di ‘mprusà/’mbrusà  (come in italiano lo è soleggiato rispetto ad assolato), che perciò doveva essere legato originariamente all’idea di parlare in modo meno aulico rispetto alla poesia, e non a quella di culo.

L’attestazione scritta, invece, esiste per prosare e risale a Benedetto Varchi (XVI secolo), Ercolano (cito dall’edizione della Società tipografica de’ classici italiani, Milano, 1804, vol. I, pag. 91): “Prosare, onde prosatori, sebbene ha il suo proprio significato, cioè scrivere in prosa, ovvero, come dicevano i Latini, non avendo un verbo proprio, scrivere in orazione sciolta, ovvero pedestre; nondimeno quando in Firenze si vuole riprendere uno che favelli troppo adagio, e ascolti se medesimo e, (come si dice) con prosopopeja, s’usa di dire: egli la prosa; e coloro che la prosano, si chiamano prosoni.”.

Lo conferma Annibal Caro (XVI secolo) nel Commento di Ser Agresto da Ficaruoloso sopra la prima ficata del Padre Siceo (cito da Capricciosi et piacevoli ragionamenti di M. Pietro Aretino, Cosmopoli, 1660,  pag. 504   : …gli atti di un Pedante sono, parlando prosar le parole…”.

Un primo  slittamento semantico della voce si ha in quello stesso periodo nella commedia I Lucidi di Angelo Firenzuola, (Atto III, scena I; cito dalla cinquecentina uscita a Firenze nel 1552, pag. 18 r): “Il traditore se ne dovette andare subito a casa la Signora senza aspettarmi altrimenti, come quel che doveva havere poca voglia di menarmivi: che ‘l Diavol se ne possa portar lui, e quel frataccio che la diceva, e forse che non penò un pezo; e che non la prosava, e che el vangelo non fu lungo, et per giunta che non ci diede la Salve Regina.”.

E ancora:   Michelangelo: Fiera, IV, 2, 7 (cito dall’edizione curata da A. M. Salvini, Tartini e Franchi, Firenze,  1726, pag. 206) : Ed appo tali eroi, fummi in trastullo/pormi a considerar conversamente/quei, che passi chi vuole, sgambettando/stansi a sedere, e statue di carne,/non curan nulla, e nulla curar sanno,/ e prosan sonnacchiosi, e si fan grassi. Il curatore Salvini nella nota 43 a pag. 460: “Prosare dar la quadra a chi passa” e fare la quadra nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, vol. I, Stamperia dell’Accademia, Firenze, 1691 pag. 194 è sinonimo di burlare, illudere.

Se nel dialetto fiorentino fosse esistito, sia pure come gergale, proso, figuriamoci se i letterati e i teorici della lingua non l’avrebbero registrato e non avrebbero riportato in lemmi distinti prosare1=parlare, chiacchierare, pettegolare e prosare2=prendere per il culo, burlare!

Se ne deduce che prosare è da prosa (dalla locuzione latina  prosa(m) oratiòne(m)=discorso che va in linea retta e che da questo, con aggiunta in testa della preposizione in, è nato, con aferesi di i– (la mia grafia conserva il ricordo di questo fenomeno) e normalissimi passaggi –np->-mp– e –o->-u-, ‘mprusàre. Questa mia opinione coincide (almeno questa volta…) nella sostanza con quella di Antonio Garrisi [(Dizionario leccese-italiano, Capone, Lecce, 1990) nonostante l’approssimazione e la vaghezza (“dal latino in prosa”)] e diverge, col dovuto rispetto, da quella del Rohlfs e dell’amico napoletano, mentre solo per dovere di completezza riporto quella espressa, sia pure in forma dubitativa (secondo me più che opportunamente, dal momento che nemmeno tramite contorsionismi bizantini è possibile giustificare le trasformazioni fonologiche) in  P. Bello- D. Erwin, Vocabolario etimologico odierno napoletano-italiano, 2009,pag. 136: “mprusà/mbrusà (dallo spagnolo embrujar) (?)”; l’opera appena citata è consultabile all’indirizzo

http://www.vesuvioweb.com/new/IMG/pdf/NeapolitanEnglishItalianVocabulary.pdf

Una conferma, infine, del legame con prosa e non con proso, che ho tentato di documentare, mi viene, per la lingua nazionale, dal Dizionario italiano De Mauro, Paravia, 2000: “prosare: 1 scrivere in prosa; 2 canzonare, sbeffeggiare; 3 (obsoleto) parlare con accento solenne” e, per il sardo (a testimonianza della diffusione della voce nel suo doppio significato) da Vincenzo Raimondo Porru, Nou dizionariu universali sardu-italianu, Arciobispoli, Castellu, 1832 (riedizione a cura di Marinella Lőrinczi, Ilisso, Nuoro, 2002): “Prosài prosare, proseggiare. Prosài algunu, burlaiddu, prosare alcuno.”

Se qualcuno si sente ‘mprusàtu me lo faccia sapere, ma, quel che più a me interessa, mi comunichi le motivazioni, anche irrazionali,  della sua sensazione. In fondo conservo o no il diritto di dimostrare che, forse, non appartengo ad una delle categorie all’inizio ricordate?

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2 Commenti a Quando la definizione è facile e l’etimologia difficile: ‘mprusàre.

  1. proso/prozo s.vo m.le d’uso gergale (parlesia dei suonatori ambulanti) è la parola che indica esattamente il culo,il deretano; la voce si ritrova a fondamento dei verbi ‘mprusà/ ‘mpruzà che è precisamente l’andare in culo, il sodomizzare e poi per traslato l’ingannare, l’imbrogliare, il raggirare etc; sulla medesima parola proso è forgiato il termine ‘mprusatura o ‘mpruzatura e con alternanza p b anche ‘mbrusatura o ‘mbruzatura che sono esattamente il raggiro, l’imbroglio, l’inganno;trattandosi per la voce a margine di un termine gergale questa volta è pressoché impossibile risalire a l’etimo, né vale azzardare ipotesi che si fonderebbero sul vuoto ancorché qualcuno legga in proso una metatesi del greco býrsa→brýsa→bruso→broso→proso (sacco/borsa),ipotesi che per un certo tempo non mi convinse affatto non riuscendo a trovare nessun rapporto semantico, né di forma, né di utilizzo tra il fondoschiena ed un sacco od una borsa; ma ora mi son lasciato convincere dall’idea atteso che con una qualche buona volontà si puó ritenere semanticamente il prozo/proso una sorta di borsa/contenitore de gli escrementi!

    • Caro Raffaele, mi fa piacere risentire la tua voce, che, dopo la comune avventura in dialettando.com, non avevo più avuto occasione di ascoltare. Ti do il benvenuto in questo blog di cui sono ospite quasi fisso, sicuro che ci saranno altre occasioni PER confrontarci su questioni etimologiche che per te e per me costituiscono l’interesse primario, MA non il solo.

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