Libri/ Edoardo de Candia, pittore leccese

EDOARDO DE CANDIA, PITTORE LECCESE

di Paolo Vincenti

Uno strano tipo, Edoardo De Candia. Troppo strano per passare inosservato e per non scandalizzare quella Lecce benpensante che, sempre pronta a gridare  crucifigge! cucifigge!, lo stigmatizzò come “pazzo”.   “Fintotontopazzo”, come lo definisce Maurizio Nocera in un suo recente libro (  Edoar Edoar, Il Raggio Verde 2006) , in cui ricorda l’amico perduto, Edoardo De Candia era un leccese purosangue e per la sua città  nutriva un rapporto di amore-odio, come è proprio di tutti quelli ai quali si adatta il noto assioma latino nemo propheta in patria. L’arte era parte integrante della vita sregolata del “santo bevitore” (ma per lui non ci fu nessuna redenzione) Edoardo De Candia, pittore poeta bohemien, come si dice con una definizione un po’ abusata, stravagante artista del pennello, “il vichingo di Via Sabotino” come lo definì il suo grande amico e “scopritore” Antonio Verri, per via della sua bionda chioma e della sua smisurata mole che ricordavano  gli storici navigatori del Nord Europa. Trasandato, vestito sempre con la solita giacchetta ed il solito logoro paio di jeans, vagabondo per le strade di Lecce, chissà quanti se lo ricordano quando se ne andava masticando pensieri e sigarette, bestemmiando contro lo stato delle cose. “La vita di Edoardo De Candia”, scrive Maurizio Nocera, “è stata libera come il volo di un gabbiano. La sua città, Lecce, da vivo non lo comprese e non lo amò. Oggi, egli è un mito.” 

Nato nel 1933, dopo una infanzia ed una adolescenza di stenti, abbracciò la pittura, il grande amore della sua vita, ispirandosi prevalentemente allo stile figurativo di Michele Massari, padre di quell’Antonio Massari, anch’egli ottimo pittore, amico e biografo di De Candia. Nel 1953, allestì la sua prima personale al Caffè leccese “La Torinese”. Iniziò la sua carriera insieme a Francesco Saverio Dodaro, un altro intellettuale fuori dalle righe, il quale dice, parlando di De Candia, “… questo Cavaliere della notte che, con la sua disperazione, tanto ci ha insegnato”.

Nel 1954, iniziò a viaggiare per l’Italia, per fare esperienza. La sua prima tappa fu Milano, dove venne ospitato da Ercole Pignatelli, che lo introdusse nell’ambiente artistico della città, quindi andò a Torino, dove frequentò, con poca voglia, la scuola di Felice Casorati, e poi nuovamente a Milano, a Londra,  a Parigi, ecc. Tornato a Lecce, tenne una serie di formidabili mostre, tutte di successo,  che gli diedero la notorietà ed anche una certa soddisfazione economica. Ma terminò quel quarto d’ora di celebrità e De Candia tornò alla sua vita di sempre, ai suoi comportamenti stravaganti, al suo abituale disincanto, all’alcool, compagno inseparabile di tutta la vita, ed arrivò anche la dolorosa esperienza del manicomio. Chiuso nell’ospedale psichiatrico, dove non mancavano di andare a trovarlo i suoi amici più cari,  non poteva più dedicarsi ai suoi squarci di colore, ai suoi paesaggi, ai suoi nudi di donna. Le donne erano l’altra sua passione, vivisezionate in ogni particolare anatomico nei suoi dipinti  (con cento suoi disegni erotici originali, alcune lettere d’amore, foto, ed un testo psuedo-lirico delirante, Antonio Verri e Maurizio Nocera confezionarono un memorabile e rarissimo book, Il cielo in testa. Disegni erotici di Edoardo De Candia “Excelsus magister” per le Edizioni DopoPensionante, nel 1989);  e poi il mare, anche d’inverno, il cielo, i tramonti, la semplicità delle cose.

Ricorda Maurizio Nocera che, nel 1984, insieme ad Antonio Verri, organizzò una mostra d’arte alla Biblioteca Provinciale Bernardini di Lecce e fu chiamato il grande critico d’arte Raffaele De Grada il quale, a fine serata, confidando agli organizzatori la propria impressione,  disse che di tutti gli artisti presenti, certamente De Candia era quello lo aveva colpito di più “per via del suo segno, della forza extra umana che egli imprime in quel suo segno eroico forte di secoli, di millenni, oserei dire”. In un suo bellissimo scritto del 1988, “Edoardo un cavaliere senza terra”,  apparso su Sud Puglia ( e riportato da Nocera nel libro sopra citato), il Verri, rievocando i tempi mitici  degli inizi, ricorda quella straordinaria stagione artistica e letteraria che furono per Lecce i primi anni Cinquanta, di cui anche De Candia era figlio. E poi, ricorda F.S.Dodaro e Franco Gelli (i quali diedero vita  al rivoluzionario “Movimento Genetico”), Vittorio Tapparini, Tonino Caputo, Antonio Massari, Annamaria Massari,  sorella di Antonio e primo vero amore di De Candia, Rina Durante, Vittorio Pagano, grande ammiratore di De Candia, come la sorella, Elena Pagano, alla quale, come scrive Verri, De Candia andava a chiedere soldi quando era in bolletta; tutti amici e sodali, bizzarri, irrequieti, come scrive ancora Verri, “in un contesto che non tollerava l’irrequietezza, ognuno con una sua precisa identità culturale, con un suo speciale sogno, che negli Anni Cinquanta-Sessanta hanno vissuto in modo eccessivo una Lecce con qualche speranza, galoppando in spazi che non avevano certo confini provinciali, cercando –non sempre è andata bene però-  di dar peso e materia alle loro generose intuizioni”.

Purtroppo Antonio Verri oggi non c’è più, come non c’è più Salvatore Toma, al quale il Fondo Verri ha dedicato nel 2002 il bellissimo volume Totò Franz, altrimenti detto Totò Toma (Amaltea edizioni),  con scritti di Maurizio Nocera e Antonio Verri. Proprio Totò Toma, il “pellerossa di Maglie” secondo la definizione noceriana, fu un altro appassionato promotore dell’arte di De Candia, così come una ammirazione smisurata per la pittura decandiana aveva Antonio Toma, raffinato operatore culturale  leccese, anch’egli recentemente scomparso. Del Nostro,  si interessarono Antonio

Caputo che ne scrisse su “Pensiero Nazionale”, Enzo Panareo su “La Tribuna del Salento”, Mario Proto, Vittorio Pagano che  scrisse una bellissima presentazione di un suo catalogo, così come fece Ennio Bonea, addirittura Ugo Moretti che ne scrisse su “Rotosei”, ed altri. Negli anni più recenti, oltre a Stefano Donno, che ha dedicato al pittore leccese il suo Edoardo De Candia /considerazioni inattuali (Lecce 1998) , ad Antonio Massari, col suo Edoardo (Lecce 1998), e a Mimma Sambati con Agli antipodi della mente /Edoardo un tenero barbaro(Lecce 2001),  si sono interessati di De Candia,  Elio Scarciglia, col suo bel documentario Sembra quasi che il sole tramonti (2006) che fa il paio con  il  libro di Maurizio Nocera  Edoar Edoar (Il Raggio Verde 2006), e  Fernando Bevilacqua con le sue fotografie.   Edoar Edoar, (con pagine di F.S.Dodaro, A.Massari, A.L.Verri) fa luce sugli aspetti più privati del pittore leccese ed è corredato da numerose foto e disegni dell’artista. In copertina vi sono tre ritratti di De Candia  ad opera di Antonio Massari: La vita quotidiana è miracolo; “Straniero sulla terra” al matrimonio della sorella Sisetta; Bambino Artista Accattone. Irresistibile il breve poemetto di Nocera sul pittore.   Interessante anche  il lungo dialogo in manicomio fra Verri, Nocera e De Candia. Un libro molto vario, sospeso fra il comico e il tragico.

Disarmante era la semplicità con cui De Candia si dedicava ai suoi dipinti, usando anche materiali di fortuna, non potendo permettersi altro, poiché spendeva quel poco che aveva in colossali bevute, che gli davano l’ebbrezza della vertigine e gli facevano dimenticare lo schifo della vita.. “ Il  cavaliere senza terra”  Edoardo era capace di lunghi silenzi e di geniali intuizioni, di fulminanti trovate,  ed i suoi dipinti, quelli che si trovano in alcune case private e quelli conservati dai suoi amici, questi dipinti, ideali fili di una tela, tappe di un percorso accidentato, forse, ma regolare nella sua tortuosità, sono lì a testimoniare il suo passaggio su questo pianeta. Molte foto di Fernando Bevilacqua lo ritraggono nudo nella sua disordinatissima casa o al mare, o intento a scrivere e a dipingere. De Candia morì nell’agosto del 1992 all’ospedale Vito Fazzi di Lecce. Non sono morti invece il ricordo dei suoi amici e la stima di tutti coloro che seppero apprezzare la sua arte semplice e disarmante, istintiva eppure  geniale. La sua arte è ancora, e sarà sempre, viva, per chi ha amato le performances di Edoardo De Candia, pittore leccese.

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7 Commenti a Libri/ Edoardo de Candia, pittore leccese

  1. Ricordo Edoardo ( anni 1957-’58-’59-’60) in pantaloncini e canottiera, d’inverno, che, a piedi scalzi, si recava a San Cataldo a trovare i suoi amici pescatori. I “benpensanti” leccesi, conservatori di sane abitudini, pseudomoralisti, lo additavano come il “pazzo”, non veniva tollerato. Un’amica comune, anche lei pittrice, mi raccontava che ad Edoardo gli piaceva palparle il seno e, lei, conoscendolo, non lo contrariava, pur non sentendo attrazione. Mio padre, sapendo che io frequentavo Edoardo, mi vietò di frequentarlo ancora. Ovviamente io ero troppo attratto da questo “ragazzo” che sprizzava libertà da tutti i pori. Ovviamente continuai a frequentarlo. Io, poi, proprio per difendere la mia libertà (ottobre 1960) andai via da Lecce, perdendo, purtroppo, ogni contatto con i miei più cari amici. (Questo nell’allontanarmi da Lecce, non l’avevo previsto). In quel periodo non esisteva la rete, se non quella del letto!

  2. Eduardo De Candia un giorno mi disse che quando erano a Roma, una notte che avevano bevuto, Carmelo Bene tirò fuori il suo pene urlandogli “Dipingimi questo che poi lo metto seduto al posto del pubblico almeno potrò dire senza che nessuno si offenda che il pubblico è una testa di cazzo!” e lui gli rispose “Carmelu ieu ogni pittu lu mare”. Si volevano molto bene loro due. Una volta chiesi a Carmelo se sapesse di Eduardo, della sua scelta di essere solo del tutto, Carmelo abbasso gli occhi “so tutto, so tutto” mi disse con un senso di impotenza. Eduardo voleva pittare il mare.

  3. Non ricordo esattamente quando ti ho visto per la prima volta, di sicuro ero piccola. Tarzan, così ti chiamavano le mamme quando ti incontravamo mentre tu tornavi a piedi dal mare (e noi in pullman) da S.Cataldo, la “nostra” spiaggia…Ci mettevano in guardia da te, le mamme…, ma nonostante ciò, non sono riuscite ad inculcarci i loro pregiudizi.
    Per sempre rimarrà impresso nella mia memoria il tuo riso scoppiettante, somigliavi ad un bambino, amavi stupirsi della forza della natura che pure ti possedeva.
    Arrivederci amico mio! Eri un grande….troppo avanti per quei tempi
    Di te conservo oltre ai numerosi ricordi, solo un cartoncino con poche pennellate che rappresentano un’unica fetta d’anguria. Me l’hai voluto regalare a tutti i costi, nonostante i miei rifiuti, lo accettai sapendo che per te valeva quanto il baratto per un ennesimo bicchiere di vino.
    Quando ci incontravamo in Piazza Mazzini, quasi ogni sera, era consuetudine che mi offrissi una Gaulosies, forte ed acre.
    Ricordo la tristezza che provai quando venni a trovarti a casa tua con Silvia Mangia in un caldissimo pomeriggio estivo, il lercio lettino su cui smaltivi i fumi dell’alcool, ci accogliesti nudo….eri ormai un gigante sfatto!
    Lei ti intervistò per la sua tesi di laurea incentrata su te, ma tu non ci prendesti troppo sul serio, parlammo tanto di arte, di Antonio ed Anna Maria e di Rina Durante, della tua gioventù, delle donne, dell’amore…

    Odio dal profondo del mio essere quanti ti hanno sfruttato, deriso, vilipeso e depredato delle tue opere. MALEDETTI SIANO tutti coloro che non ti hanno compreso e che ti hanno ridotto ad un fenomeno da baraccone.
    Nei tuoi sprazzi di lucidità mi hai regalato amicizia, sorrisi e tanti, tanti, tanti, discorsi che rimarranno per sempre solo miei….
    Non mi offendeva il modo in cui tu mi hai sempre chiamata, anche se a qualcuno sembrava sconcio ed irriverente, ma io rimarrò per sempre la tua culasciona… ti saluto Edoardo, alla tua maniera: Siamo tutti fottuti!

    • Grazie Titti,
      anche il tuo commento e’ un’opera d’arte.
      Sottoscrivo i tuoi pensieri e le tue considerazioni che sono caratteri scolpiti nella pietra,
      Quanti da vivo hanno dileggiato il nostro ,e che oggi osano tesserne le lodi , sono stati i veri carnefici di Edoardo,
      Dovrebbero vergognarsi ……ma non hanno nessun pudore.
      Saremo piu’ attenti per evitare che gli stessi oltraggi vengano perpetrati sotto i nostri occhi con altri/e Edoardo,
      Edoardo e’ ancora vivo al nostro fianco, come lo e’ stato in passato, ed opera in un altra dimensione dove burattini e burattinai non possono accedere.
      Vincenzo Libertini…

  4. Come Ogni artista è immortale! La sua frase ” siamo tutti fottuti” è eloquente, avveniristica, verso un futuro pieno di incognite. Auspico che la città’ di Lecce continui ad amare suo figlio.

  5. Chi ha conosciuto Edoardo come me, e del quale posseggo diversi dipinti, non può che esprimere parole di elogio per la sua vita votata all’insegna della libertà assoluta. Ho avuto spesso il piacere di dargli uno strappo per la sua San Cataldo che amava come il suo bere, un paragone che ci sta per dire quanto era legato alla marina più bella di Lecce. Abbiamo consigliato più volte ad Edoardo assieme a Stigliano, Turco, Mazzotta,Lisi, Patarnello e prima di noi artisti del calibro di Fontana, Crippa, Guttuso, Sassu di rimanere fuori dal Salento anche per pochi mesi, giusto il tempo di fare circolare le sue opere in ambienti più importanti, ma l’attaccamento alla sua terra ha preso il sopravvento e lo ha trascinato nel suo alveo naturale. Ma le sue opere, non sono tante quelle ad olio e quelle importanti, sono state addirittura acquistate da Carmelo Bene, da Fontana e scambiate spesso con i suoi colleghi artisti su citati. Il valore dei suoi tratti, oltre ad un discorso affettivo, hanno un valore immenso perchè, nonostante siano trascorsi tanti anni dalla sua scomparsa, sono poche e alcune si trovano in diverse gallerie del mondo, ma tante ancora sono nelle mani di privati.

    • Anche io posseggo un suo dipinto mi è stato donato da mio padre Franco De Pascalis x chi lo ricorda al Bar Italia di Porta Napoli. Erano amici e ringrazio voi per avermi fatto conoscere Edoardo un po’ di piu

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