Oggi parliamo di sale, con un intruso, forse due…

di Armando Polito

Sorvolo sul toponimo Salento, le cui più che probabili connessioni col sale ho trattato nel post “Fiero, nonostante tutto, di essere salentino”; aggiungo solo che ho evidenziato in rosso il territorio nella carta d’Italia anziché riportarne una raffigurazione separata, in omaggio alla celebrazione del 150° anniversario (sento già affibbiarmi da qualcuno l’appellativo   di comunista…) della cosiddetta unità della nostra nazione. Il cosiddetta la dice lunga sul mio pensiero, ma la rabbia maggiore è che, a un secolo e mezzo da una situazione polito-territoriale ormai consolidata, ora si rimescolano le carte e a vincere saranno sempre i bari…

È meglio, perciò che passi a salissìa, voce che designa nel Leccese a Melendugno e a Ruffano (ad Alessano salassìa), nel Brindisino a Mesagne e a San Pietro Vernotico, nel Tarantino ad Avetrana la salicornia1. Il nertitino ricorre alla perifrasi erba ti mare. Sull’utilizzo di questa specie selvatica rinvio al post “Il finocchio marino” a firma di Massimo Vaglio, dove sono riportati altri nomi in uso nel Salento aventi, però, altra etimologia.

erba di mare

E la nostra voce? Sembra incredibile, ma il Rohlfs, dal quale, se non si era capito, ho tratto le varianti riportate, non avanza alcuna proposta. La mia meraviglia nasce dal fatto che, in fondo, il lemma non dovrebbe porre eccessiva difficoltà nemmeno ad un dilettante come me; evidentemente per l’insigne studioso la questione era così semplice che, poi, si è dimenticato di chiarirla a beneficio del lettore nemmeno dilettantescamente addetto ai lavori.

In greco mare si dice in dialetto attico thàlassa, in dialetto dorico sàlassa. Tra i suffissi aggettivali greci c’è (rispettivamente per il maschile, per il femminile e per il neutro) –ios/-ìa/-iov.  Da thàlassa con l’aggiunta di questo suffisso sempre in greco è nato l’aggettivo thalàssios/thalassìa/thalàssion col significato di marittimo. Analogamente dalla forma dorica sàlassa è nato salàssios/ salassìa/salàssion. Basterebbe a questo punto prendere in considerazione il femminile salassìa e la voce di Alessano: sono assolutamente identiche.

Ma c’è di più: un sostantivo thalassìa è attestato in Dioscoride (un farmacologo del I° secolo d. C.), De materia medica, 3, 141, come sinonimo di androsàkes, un’erba di cui dà questa descrizione: L’androsàce. C’è chi la chiama picràda, chi lèuca, chi thalassìa. Nasce in Siria in luoghi vicino al mare. L’erba è bianca. Ha dei riccioli sottili, è amar e senza foglie. In cima ai riccioli ha un follicolo che contiene il seme. Due dracme2 infuse nel vino possono indurre abbondante urina in caso di idropisia. Giovano anche il decotto di quest’erba e il seme. Gli empiastri combattono la podagra.

Quella descritta da Dioscoride non sarà proprio la nostra salassìa (soprattutto per via del colore) ma è chiaro che thalassìa era un termine generico per indicare un’ampia gamma di specie marittime, per cui non c’è da meravigliarsi se la stessa voce, a seconda dei luoghi, veniva usata per indicare specie diverse tutte legate tra loro dalla caratteristica fondamentale: quella di nascere in vicinanza del mare.

Quanto fin qui si è detto è più che sufficiente per escludere per la nostra voce un incrocio (che pure sarebbe venuto facile e naturale) con sale e per rendere conto dell’intruso del titolo, che, non certo per motivi etimologici, anche il Salento si appresta ad assumere con il fatale sviluppo in escluso, dopo essere stato parte non indifferente di un territorio più volte incluso.

L’appetito vien mangiando, perciò passo a sardìzza. Il corrispondente italiano è salsiccia, forse incrocio di salsus=salato con insìcia=polpetta; la variante popolare salcìccia probabilmente ha subito un ulteriore incrocio con ciccia. Per comprendere, però, come sardìzza è sorella di salsìccia bisogna ricorrere alle varianti: per il Brindisino sazìzza ad Oria e satìzza a San Pietro Vernotico, per il Leccese satìzza ad Andrano, Miggiano, Salve, Spongano e Vernole. Illuminante è la voce di Oria sazìzza che in tutta evidenza è dal brindisino saza/sàusa=salata (corrispondente al femminile dell’italiano salsa). Per sardìzza, perciò, è agevolmente ipotizzabile l’influsso combinato di sazìzza e di satìzza, nonché l’incrocio con sarda (che etimologicamente non ha nulla a che fare col sale, ma che lo evoca come sostanza indispensabile alla sua conservazione), attraverso la trafila: sazìzza>satìzza>*sartìzza> sardìzza.

Sazza è la variante neritina (usata anche a Seclì) del già citato brindisino saza/sàusa (sàusa è voce usata pure nel Leccese a Taurisano e nel Brindisino a San Pietro Vernotico); altra variante è per il  Tarantino Sàuza a Sava e per il Brindisino zaza a Mesagne.

 
salnitro

Salamùra

(corrispondente all’italiano salamòia) è usato a Nardò non solo nello stesso significato della voce italiana ma anche in senso appena appena traslato per indicare le fastidiose efflorescenze di salnitro sui muri. Come si fa a non riconoscere alla voce dialettale maggiore fedeltà al latino tardo sallamòria, composto da sal=sale e mùria=acqua salata?

Proprio adesso mi ricordo che il sale fa male. E oggi ne abbiamo assaggiato a sufficienza…

____

1 Dal francese salicorne, a sua volta dall’arabo sala al-qarah, con influsso di corne=corno, per la forma delle inflorescenze.

2 Unità di peso equivalente a mezza oncia; l’oncia era la dodicesima parte dell’asse (circa 320 g.); due dracme, dunque, dovrebbero corrispondere a circa 25 g.

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3 Commenti a Oggi parliamo di sale, con un intruso, forse due…

  1. da quel che ne so:
    * il finocchietto marino è la salissia
    * la salicornia sono i sausari

    (così è nella mia zona del nord leccese ionico)

    • Lei conferma la diffusa variabilità del rapporto nome-essenza, fenomeno generale cui ho accennato all’inizio. La ringrazio della segnalazione anche perché mi consente di aggiungere alla serie “sàusaru” (nel Brindisino a San Pietro Vernotico “sàusanu) che per il Rohlfs è da un latino *salsinus”=salmastro o, dubitativamente, incrocio tra il greco “ἅλινος” (àlinos) e il latino “salsus”.

      Aggiungo che, se l’accento fosse stato diverso (sausànu/sausàru), sarei stato autorizzato a credere che la voce fosse superfetazione di “sazzu” (“sàuzu” ad Avetrana per indicare il finocchio marino; a Nardò è usato solo al femminile nella locuzione “acqua sazza”=acqua salata), che ha il suo esatto corrispondente nell’italiano “salso”.

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