La figura e le opere di Aldo de Bernart

di Paolo Vincenti

Aldo de Bernart, parabitano per nascita, ruffanese per adozione, gallipolino per discendenza, ché il capostipite del suo ramo, un nobile di origine spagnola, era stato soprintendente della Dogana di Gallipoli nel Regno di Napoli”.

Così inizia il suo scritto introduttivo al volume “Studi in onore di Aldo de Bernart” (Congedo editore ), Luigi Carlo Fontana, fondatore della prestigiosa rivista gallipolina “Nuovi Orientamenti”, di cui de Bernart è stato tra i più assidui collaboratori fino al 1990, anno di chiusura della testata. Nel suo saggio introduttivo, Fontana traccia una accurata “Bibliografia degli scritti di Aldo de Bernart”, aggiornata al 1998, l’anno in cui viene dato alle stampe questo prezioso volume, nel quale molti studiosi, fra i più conosciuti di Terra d’Otranto, tributano un doveroso ma sentito omaggio al prof. de Bernart.

Il libro, dalla elegante copertina rossa cartonata, alla prima pagina reca una bella foto, ad opera di Franco De Vito, del Maestro, ritratto nel salotto di casa sua a Ruffano. In quel salotto, de Bernart ha ricevuto moltissimi studiosi, da titolati accademici a giovani alle prime armi, ai quali ha lasciato sempre un segno, una testimonianza della propria saggezza e grande competenza.

Al di là del timor reverentialis che, ad un primo approccio, può suscitare nell’interlocutore (timore, più che giustificato di fronte alla sua veneranda età e a “cotanto senno”), egli , che, insieme a pochi altri grandi vecchi, si colloca a buon diritto fra i Senatori della Repubblica salentina delle Lettere, è uomo assolutamente affabile e disponibile e conferma, frequentandolo, il noto insegnamento di Jefferson Davis, “mai altezzosi con gli umili, mai umili con gli altezzosi”.

De Bernart è fra gli ultimi testimoni di una schiera di grandi studiosi che, a partire dal dopoguerra, hanno dato un senso nuovo alla ricerca storica e alla pubblicistica , contribuendo a quella “rinascenza salentina” che ha interessato tutto il panorama culturale della nostra terra.

Personaggio di alta caratura morale, de Bernart, vir antiquo atque nobili genere natus, è un intellettuale dall’eloquio misurato ma sempre accattivante, colto e forbito, e il suo noblesse oblige si esprime nei modi di una eleganza e di una raffinatezza che colpiscono nel segno .

Questo gentiluomo d’altri tempi, che, come l’omerico Mentore o come il Virgilio dantesco, è stato guida preziosa per molti studiosi delle generazioni successive , ha dedicato una vita intera alla riscoperta della nostra storia patria e alla valorizzazione del patrimonio artistico, letterario e storico di quel Salento, terra fra due mari, patria dell’anima prima ancora che espressione geografica, luogo della mente prima che luogo fisico, terra madre, spazio vitale, quasi mitico “onphalos”, ombelico del mondo, per tutti noi malati di “salentitudine”.

Nella nequìzia dei tempi presenti, purtroppo, non sono molti i buoni maestri, che restituiscano al termine “cultura” il senso più alto e nobile che gli spetta e chi, come il sottoscritto, ha la ventura di incontrare qualcuno di questi “venerati maestri” e di condividere con lui una esaltante esperienza umana ed intellettuale, dovrebbe, di questo sodalizio, fare tesoro.

Percorrendo in lungo ed in largo la nostra penisola salentina, visitando archivi e biblioteche nazionali ed internazionali, de Bernart ha dato, attraverso i suoi lavori, un contributo severo ed appassionato agli studi storici di Terra d’Otranto, testimoniando, nella sua interezza, tutta la grandezza della cultura che, fin dalle epoche più remote, la nostra terra magno-greca-messapica-iapigia-romana ha espresso.

Nella sua vastissima produzione, egli non ha mai ceduto al municipalismo tipico di alcuni storici del passato ( i quali, quando i metodi di ricerca storica non avevano ancora raggiunto la perfezione scientifica di oggi, erano pronti ad attribuire alle proprie città origini nobili ma del tutto inventate, solo per amore del proprio campanile) o, peggio, alla disonestà con cui alcuni velleitari storici del presente si appropriano degli studi degli altri per accreditare se stessi o l’ente (pubblico o privato) che li finanzia.

Il più importante degli insegnamenti del Maestro è quello di non essere mai paghi, ma di andare sempre a fondo di ogni documento che si legga, di ogni reperto storico che si rinvenga e sotto il quale, eliminate le incrostazioni del tempo, si può scoprire tutto un mondo meraviglioso che noi non conoscevamo, si può entrare in contatto con le pratiche quotidiane e la vita dei nostri avi, capire la loro mentalità, le loro abitudini alimentari, religiose, comportamentali, e scoprire, magari, sorprendenti analogie con la nostra società di oggi. Certo, quello della ricerca è un lavoro a volte ingrato (perchè non sempre dà i risultati sperati) ma, secondo i preziosi insegnamenti del de Bernart, solo l’onestà intellettuale e il seme del dubbio devono muovere lo studioso; solo così, si possono a volte attingere, dal pozzo della conoscenza, tesori inaspettati, tirati su dalla carrucola della nostra mai soddisfatta curiosità: ecco, la scintilla che scocca ed illumina il buio di una vita trascorsa a scartabellare fogli e documenti nel freddo di una biblioteca, o peggio di un’umida cantina, al fioco chiarore di una vecchia lampadina.

Il documento inedito che viene pubblicato, gli attestati di stima dei colleghi più anziani e titolati, due righe su un giornale nella sezione “Cultura”, il piacere di esporre i frutti del proprio lavoro ad un uditorio interessato e competente: queste, le piccole soddisfazioni che ripagano dei sacrifici spesi, delle ore sottratte al sonno o alla libertà di una passeggiata domenicale; ecco, l’amore che basta (litterae non dant panem sed amorem) a chi è animato dal sacro fuoco della passione. L

a lunga carriera del prof. de Bernart, medaglia d’oro del Ministero della P.I., è ricca di successi e pubblici riconoscimenti.

Fedele all’indirizzo della scuola storica francese, sempre le sue ricerche, de Bernart ha svolto, egli fervente cristiano, con una impronta illuministica e laica (perché sempre laico deve essere l’approccio alla storia dello studioso di rango), compulsando documenti ed analizzando testimonianze del passato, in una incessante ricerca del “certo” e del “vero” di vichiana memoria, correlando micro- storia e macro-storia, piccoli avvenimenti apparentemente insignificanti di una remota provincia del Sud con i grandi scenari del panorama nazionale, per dare una visione d’insieme, quanto più possibile organica e completa.

E’ chiaro, infatti, che attraverso la conoscenza del passato, che la aiuta a meglio comprendere il presente ( davvero historia magistra vitae ), una collettività si ritrova intorno a comuni radici, sentendosi veramente ecclesìa, sia di vivi che di morti.

La storia del Salento, come di qualsiasi comunità, conventio populorum, è prima di tutto storia degli uomini, secondo la lezione di Marc Bloch (“occorre narrare la storia degli uomini, prima ancora che parlare della storia delle cose”), e così de Bernart, soprattutto negli ultimi anni, si è occupato di tanti personaggi, uomini e donne di Terra d’Otranto, grandi o minori, alcuni del tutto sconosciuti, che hanno arricchito quella ideale collana “de Sallentinis illustribus” che egli è andato intrecciando.

Parabita, Gallipoli e Ruffano: questi sono i tre poli di attrazione intorno ai quali ruota la vita di de Bernart.

Nato a Parabita, si è trasferito, nel lontano 1955 a Ruffano, per via del suo matrimonio con la nobildonna Maria Pia Castriota Scanderbeg, ed ha sempre trascorso le sue villeggiature a Gallipoli. Negli ultimi anni, in una sorta di inconscio regressus ad uterum, si è riavvicinato sempre più al borgo natìo, Parabita, grazie alla fitta attività pubblicistica su riviste locali come, in primis, NuovAlba.

Per Ruffano, lo studioso de Bernart si è speso molto ed ha cominciato ad occuparsi del nostro paese già nel 1965, con “Pagine di storia ruffanese”, un opuscoletto (edito dalla tipografia Martignano di Parabita), che oggi costituisce una rarità e quindi molto importante per tutti gli studiosi ed i cultori di storia patria.

E’ nota a tutti la sua lunga carriera, di insegnante prima e dirigente poi (è stato per tanti anni Direttore Didattico della Scuola Elementare “Saverio Lillo”).

Nel giugno del 2005, de Bernart ha compiuto ottant’anni e, fra i vari paesi che lo hanno festeggiato, a Parabita va un particolare riferimento, anche per ragioni affettive.

NuovAlba, periodico di storia e cultura parabitana, diretto da Ortensio Seclì e Guido Pisanello, che ha visto negli ultimi anni, frequentissima, la collaborazione del de Bernart, nel luglio di quell’anno, ha voluto omaggiare il Maestro con un numero speciale, pubblicando un opuscolo allegato alla rivista, che raccoglieva tutti i contributi apparsi su NuovAlba dal 2001 al 2005. In copertina, campeggiava un bel ritratto, ad opera di Giuseppe (alias Josè, alias Pippi) Greco, noto pittore parabitano.

Tornando a Ruffano, sul numero di luglio 2006 di Info-Salento, gazzettino di informazione per gli italiani all’estero, dedicato proprio alla nostra cittadina, nella rubrica, a mia cura, sulla storia ed i personaggi illustri del paese, ho scelto, e non poteva essere diversamente, di utilizzare come fonti i libri di de Bernart.

In un piccolo preambolo, che mi piace riportare, ho voluto ringraziare il de Bernart, che aveva seguito quel mio lavoro, come sempre con utili consigli e preziosi suggerimenti: “Su questo numero di Info-Salento ho utilizzato i testi del prof.Aldo de Bernart, storico fra i più conosciuti ed apprezzati in provincia di Lecce. Credo che non ci sia un modo migliore di questo per esprimere, da parte di Info-Salento, la grande considerazione che si ha per i ruffanesi all’estero. Il nostro paese deve moltissimo a questo studioso che ha scritto pagine molto importanti della recente storia culturale salentina. […]. Fra le sue opere, dobbiamo ricordare: ‘Culto e iconografia di Sant’Antonio da Padova a Ruffano’ (1987), ‘Antonio Bortone’ (1988), ‘Ruffano, una chiesa un centro storico’ (1989), ‘La Masseria Mariglia di Ruffano’ (1992), ‘S. Maria della Serra a Ruffano’ (1994), ‘Nelle terre di Maria D’Enghien’ (1995), ecc.

La Domus Bortoniana, recentemente restaurata dall’Amministrazione Fiorito, potrebbe essere il più degno contenitore culturale per ospitare i libri del prof. de Bernart; perché, se gli uomini e le contingenze passano, la sua opera invece, come l’oraziano exegi monumentum aere perennius, rimane.” Una poesia di Holderlin dice “in giovinezza ero felice al mattino e alla sera piangevo; ora che sono vecchio, inizio dubbioso la mia giornata, ma santa e felice mi pare la sua fine”. Non so se è così per de Bernart.

Egli vive la sua vecchiaia con grande naturalezza, quasi con orgoglio, confortato dall’affetto dei suoi cari, dalla lettura e dalla scrittura.

Insegnamento, storia, archeologia, arte, letteratura, promozione culturale: la sua vastità di interessi lo rende differente dall’ “uomo a una dimensione” teorizzato da Marcuse, cioè l’uomo che guarda al progresso ed al benessere solo unidirezionalmente; infatti, per l’umanista, molto prima dell’arricchimento materiale, c’è quello spirituale. Naturalmente, non esiste il sapere universale, il sapere che non incontri dei limiti; ma, oltre ai limiti del sapere, vi è il “sapere come limite”, secondo il filosofo Nicola Abbagnano. Questo limite è dato dalla autoreferenzialità e quindi sterilità del sapere stesso; invece, il sapere deve essere partecipato, per avere anche una utilità sociale. Ed è quello che de Bernart ha sempre fatto. L

a sua lunga militanza di intellettuale impegnato sul campo, le sue straordinarie doti di comunicatore, il suo apostolato culturale mai interrotto fanno del de Bernart un vero paladino della nostra rinnovata coscienza di popolo salentino. E’ l’opera di studiosi come lui che ci dà maggiore coesione identitaria, e rende, noi figli dell’antica Terra Hydrunti, più forti e più consapevoli del fatto che siamo eredi di una tradizione millenaria, scritta nei monumenti, nelle cripte scavate nella terra, nelle chiese, nei palazzi gentilizi, nei libri, nelle sacre icone, nelle vestigia del passato, che noi dobbiamo conservare e tramandare a quelli che verranno dopo.

Anche per questo, e per molto altro ancora, dobbiamo essere grati allo storico Aldo de Bernart.

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Un commento a La figura e le opere di Aldo de Bernart

  1. Condivido appieno l’appassionato scritto di Paolo Vincenti e le sue conclusioni; mi riporta alla mente prima Aldo De Bernart, che coi miei genitori sovente si incontrava, quindi l’Amico, col quale mi complimento per la sua produzione recente, Luigi Carlo Fontana, figlio d’arte, ma anche appassionato sostenitore e curatore delle belle lettere salentine, col quale abbiamo diviso gli anni del ginnasio e del liceo, nella stessa classe nel glorioso “Quinto Ennio” di Gallipoli. Alla terza liceo eravamo solo 17 studenti e i professori ci tiravano in ballo, fortuna o sfortuna, quasi tutti i giorni.
    Grazie, caro Paolo, per questo gradito ricordo che sottolinea nell’entusiastica ed entusiasmante conclusione, l’orgoglio del nostro essere salentini.

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