Riflessioni filologiche su un toponimo neretino: Li Cinàte

di Armando Polito

 

La più antica testimonianza di questo toponimo risale, a quanto ne so, al 1427 [Angela Frascadore, Le pergamene del monastero di S. Chiara di Nardò (1292-1508), Società di storia patria per la Puglia, Bari, 1981: pg. 84: …item in feudo Cenate vinearum desertarum ortos septem…(…parimenti nel feudo della Cenata sette orti di vigne abbandonate…)]; la forma Cenata è confermata da un altro documento del 1443 [Angela Frascadore, op. cit., pg. 116: …in predictis casali et pheudo Cenate…(nei citati casale e feudo della Cenata)], da un altro del 1456 [Centonze-De Lorenzis-Caputo, Visite pastorali in diocesi di Nardò (1452-1501), Congedo editore, Galatina, 1988: pg. 158: Item in pheudo Cenate terrarum ortos due…(parimenti nel feudo della Cenata due orti di terre…); pg. 162: Item in pheudo Cenate tenet dictus abbas Franciscus…(parimenti nel feudo della Cenata possiede il detto abbate Francesco…); pg. 216: Item in pheudo Cenate de terra orte dui…(parimenti nel feudo della Cenata due orti di terra…] e da due del 1500 [Centonze-De Lorenzis-Caputo, op. cit. pg. 202: Item la redecima della Cenata. (Parimenti la redecima della Cenata): pg. 216: Item in feudo Cenate de terra orte dui cum pila et pilazi, servitutis decime, iuxta terras Sancte Marie de Alto, iuxta vias publicas et alios confines…(Parimenti nel feudo della Cenata due orti di terra con pila e pilone, sottoposto a decima, confinante con le terre di Santa Maria dell’Alto, le vie pubbliche ed altri…)].

Per la successiva testimonianza bisogna attendere 126 anni: risale, infatti, al 1626 un atto con cui Camilla Pecoraro di Nardò, vedova di Tiberio De Falconibus, coi figli Flavio, Giuseppe e clerico Didaco, vende all’abate Giovanni Francesco De Nuccio, procuratore del Capitolo, 9 ducati sui primi frutti di un vigneto in località Lacinata vecchia (Nardò) pel prezzo di cento ducati (Michela Pastore, Le pergamene della Curia e del Capitolo di Nardò, Centro di studi salentini, Lecce, 1964, pg. 29).

Risale, infine, al 1637 un altro atto con cui il procuratore del Capitolo fa redigere in forma pubblica un istrumento  (del 1630, giugno 20, Nardò) con  cui il clerico Giovanni Tommaso Nanni di Nardò vende agli abati Domizio Vernaleone e Giovanni Francesco Biscozio, procuratori del Capitolo, tredici ducati annui sui primi frutti di un vigneto in feudo Acenate nuove e di tutti i suoi beni a scelta del Capitolo pel prezzo di 150 ducati (Michela Pastore, op. cit., pg. 30). 

Acenate è confermato da un’annotazione apposta da mano ottocentesca (Instrumento […….] cum transunto del casale di Ignano et Acenate)  su una copia semplice settecentesca di un documento originale del 1453 (Angela Frascadore, op. cit. pg.137), in cui, tuttavia, il toponimo Acenate non compare.

Sulla forma con cui il toponimo compare nelle tre testimonianze più recenti (rispettivamente, Lacinata vecchia, Acenate nuove e Acenate), dopo aver detto che l’autorevolezza della studiosa obbliga ad accettare la lettura da lei riportata, mi pare opportuno notare: 1) la contrapposizione tra i due attributi vecchia e nuove mi induce a supporre non solo che Lacinata e Acenate indichino la stessa località, ma anche che il toponimo abbia un’origine molto più remota del XVII secolo se anche il Cenata della prima testimonianza si riferisce allo stesso luogo; 2) Se Lacinata e Acenate sono in pratica contemporanei (datando l’un toponimo al 1626 e riferendosi l’altro ad un documento del 1630) come spiegare la loro diversa grafia? Dando per scontato che i documenti non siano stati scritti dalla stessa mano, qual è la forma iniziale corretta? Lacinata, se fosse la forma corretta, potrebbe essere connesso col latino medioevale via làcina1=via impedita, ma potrebbe anche essere scrittura errata per l’Acenata [in seguito ad agglutinazione della l– dell’articolo2; Acenata è la forma presente nell’opera di Giovan Bernardino Tafuri (XVIII secolo) Dell’origine, sito ed antichità della città di Nardò, in Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura Giovanni Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1849, pag. 352: “Li vini, lasciando da parte stare la loro abbondantissima raccolta, sono ancora di molta perfezione, di bello, e vivace colore, e di ottimo, e grato sapore, particolarmente quelli che nascono nel feudo dell’Acenata, de’ quali fece menzione lodandoli il dotto Prospero Rendella nel suo trattato De vino et vindemia pag. 51”3] o la Cenata; 3) se Cenata, Lacinata e Acenate sono tre varianti dello stesso toponimo fa testo il più antico, cioè  Cenata, in  cui  qualcuno  ha  visto  il  riferimento  ai  sostanziosi pasti serali che nelle ville venivano consumati in compagnia di buoni e allegri amici; debbo, però, dire che nel 1427, alla quale data risale, come abbiamo visto la prima attestazione del toponimo, presumibilmente non vi erano ville, tantomeno quelle che oggi costituiscono il fiore all’occhiello della località, la maggior parte delle quali risalgono alla seconda metà del XIX secolo  [uniche  eccezioni: villa  Giulio  (che risale forse al  XVII secolo), villa La Taverna (il cui primo nucleo risale al XV secolo) e la villa del Vescovo  (la cui costruzione iniziò nel  1755  e  terminò nel 1838)]; inoltre il vocabolo cenata (col significato di abbondante cena, specialmente in campagna) è sicuramente anteriore al 1729, per cui evidenti problemi di cronologia rendono inaccettabile la proposta etimologica che ho prima ricordato.

Tuttavia, la cena (nel senso etimologico del termine latino, designante il pasto principale che si svolgeva per lo più fra le quindici e le sedici), cacciata dalla porta, potrebbe rientrare dalla finestra, nel senso che Cenata potrebbe alludere al cenàticum, cioè all’obbligo da parte delle popolazioni locali di garantire il pasto alle truppe romane quando vi stanziavano: infatti, nella zona passava la via Sallentina. È tornato il tema della strada e, nel chiudere questo lavoro, a sanzione del mio fallimento, mi chiedo: per dove passa quella che possa condurre con certezza all’etimologia del nostro toponimo?

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1 Il nesso, originario del diritto longobardo e riferentesi all’illegittimo impedimento della circolazione altrui, successivamente passò a significare anche via resa pericolosa da ladroni e simili.

2 Si tratta di un fenomeno, chiaramente legato all’ignoranza, sedimentato anche nella lingua ufficiale: per esempio, lastrico è dal latino medioevale àstracu(m)=terrazzo fatto con cocci, attraverso i passaggi l’astraco>lastrico.

3 Il titolo corretto è De vinea, vindemia et vino; l’opera, che, purtroppo, non sono riuscito a reperire per un doveroso controllo (col Tafuri è d’obbligo…), uscì la prima volta nel 1629 a Venezia per i tipi di Giunti. Acenata compare pure in Attilio Zuccagni-Orlandini, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, Presso gli editori, Firenze, 1845, v. XI, pag. 460, che, così scrive parlando del vino prodotto nel distretto di Gallipoli: “…nel circondario di Nardò se ne trova d’ottimo sapore proveniente dai vizzati dell’ex feudo Acenata”; la voce in questione compare pure in Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli, tomo VII, Napoli, 1894, pag. 5. Nel glossario del Du Cange al lemma Acinacium leggo la definizione uva immatura e, poco dopo, al lemma Acinatium, “Acinus, pepinus uvae. Inde Acinatium, congregatio racemorum (Acino, chicco d’uva. Da qui Acinatium, insieme di racemi)” e subito dopo al lemma Acinium/Acinum/AcinusUva immatura; vinum racemis expressum (Uva immatura; vino estratto dai racemi)”. Non credo sia connesso col nostro argomento il metodo di vinificazione dell’ “acenata”, ancora oggi praticato nel Beneventano, che consiste nel far appassire i grappoli mettendoli brevemente in un forno a legna, disposti in contenitori di terracotta; eegue fermentazione in tini di castagno; penso che non sia nemmeno connesso l’avellinese acenata, succo di uva da acini maturi per addolcire il mosto. E se, addirittura, l’uva fosse totalmente fuori gioco e ci fosse lo zampino del latino àcinos, un’erba molto simile al timo, dal greco àkinos=basilico selvatico? Mi pare, infine, totalmente senza fondamento, anche in base alle citazioni che fin qui ho fatto, quanto afferma Francesco Marra in Nardò, origini e toponomastica, Tiemme, Manduria,1989, pagg. 99-100: “La voce Cenate (G. B. Tafuri), si deve ad un particolare tipo di vite impiantato nella zona, che produceva uva senza semi, detta appunto acenata”. Viene affibbiata al Tafuri la variante Cenate e con quell’”appunto” quasi si attribuisce un impossibile valore privativo alla a– di acenata, partendo dal significato di vinacciolo che acino ha assunto per estensione popolare.

Debbo dire che per la voce Acinacium esiste un’attestazione senza dubbio più antica di quella fornita dal Du Cange. La si trova in Palladio Rutilio Tauro Emiliano (IV secolo), Opus de agricultura, I, 6,  Teubner, Lipsia, 1898, pag. 9: “Nigras vites omnino repudies nisi in provinciis et eius generis, quo acinacium fieri consuevit (Lascia perdere assolutamente le viti nere se non nelle provincie e di quella specie dalla quale ci fu l’abitudine che venisse fuori l’acinacium)”; nell’opera del Palladio la voce acinacium è presente in un codice del X secolo, la variante acinatium in quattro codici rispettivasmente del X, XI, XIII e XIV secolo, mentre la variante acinaticium  compare in un codice del IX secolo (il che dovrebbe renderla la più attendibile), in due del X, in uno del XIII, in quattro del XV e in uno del XVI.

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3 Commenti a Riflessioni filologiche su un toponimo neretino: Li Cinàte

  1. SETTE ORTE di vigne. E’ un termine per me non nuovo, non sapevo che esistevano già nel lontano 1400. I miei nonni sono vissuti per generazioni in una casa colonica delle Cenate, mi raccontavano che in quella casa colonica vivevano da sempre sin dai nonni di mia nonna, essendo lei del 1890 deduco che i miei antenati ci abitavano li almeno dagli inizi dell’800. Quella casa colonica è stata proprietà prima dei Vernaleone (tutt’ora quel posto si chiama Vernaglione) poi dei De Pandi e successivamente dei Zuccaro, che lo sono tutt’ora. La casa è circondata da un uliveto grandissimo (chisura) e da diversi appezzamenti di terreno, uno di questo appezzamento adibito a vigneto, di negramaro e malvasia, era esattamente di 7 ORTE e per differenziarlo dagli altri lo chiamavano SETTORTE. Leggendo il suddetto articolo e notando la dicitura…..NEL FEUDO DELLE CENATE SETTE ORTE DI VIGNE…. mi viene spontaneo fare un dovuto accostamento tra quanto riportato sulla scrittura di tanti secoli fa e quanto in realtà è esistito almeno sino al 1963, anno in cui i miei nonni, già abbastanza anziani, decisero di lasciare quella colonia, SETTORTE comprese (successivamente il vigneto delle SETTORTE è stato estirpato, il terreno da agricolo è diventato suolo edificatorio ed ora è sede di tante villette di villeggiatura) e di ritirarsi ad abitare in una casa di Nardò. Si tratta di una pura casualità? Di una strana coincidenza? Oppure della stessa cosa sopravvissuta per tanti secoli?
    Salvatore Calabrese.

    P.S.
    All’occorrenza posso evidenziare dettagliatamente il tutto con una foto panoramica ripresa da google

  2. Il suo ricordo, al di là del personale interesse di natura affettiva, potrebbe avere una grandissima valenza scientifica, anche se mille ostacoli impediscono di dire se tra il toponimo “settorti” e l’appezzamento descritto nell’atto ci sia un rapporto di causalità piuttosto che di casualità.

    L’atto, nella sezione che ci interessa recita testualmente: “Item in feudo Cenate vinearum desertarum ortos septem que fuerunt condam Rogeri de Vigiliis, iuxta vin(eam) Cobelli de Leonardo et iuxta alios confines, cum pilis duabus terraneis” (Parimenti nel feudo della Cenata sette orti che furono un tempo di Ruggero De Vigilii, presso la vigna di Cobello De Leonardo e presso altri confini, con due pile posate direttamente a terra).

    I nuovi dati relativi al vecchio proprietario e alle due pile potrebbero ricomparire, arricchiti, magari, da qualche altro dettaglio, in qualche atto notarile la cui lettura potrebbe consentire una ricostruzione più o meno accurata del succedersi dei proprietari. E non mi meraviglierei affatto se ad un certo punto anziché “sette orti” vedessimo scritto chiaramente “settorti” o, meglio ancora “Settorti”, cioè diventato un toponimo ciò che prima era solo un’indicazione di estensione dell’appezzamento.

    Se gli archivi dei vecchi repertori notarili fossero stati digitalizzati e messi in rete per la libera e gratuita consultazione anziché restare soggetti alle ingiurie del tempo e dei topi, le avrei già garantito una risposta, positiva o negativa, in meno di una settimana.

  3. La vostra è una giusta e scrupolosa disamina scientifica e, come giustamente fate notare, senza una corretta cronologia dei proprietari che si sono avvicendati dal 1400 ai giorni nostri e senza nessuna documentazione nulla si può asserire e niente si può affermare. Però, considerando le coincidenze strane, fortuite, casuali o effettivamente reali (Luogo, CENATE; Tipo di coltura, VIGNETO; Denominazione SETTEORTE) mi fanno pensare e sospettare che tra questi due casi deve esserci molto in comune. Dopotutto la storia non tutta è scientificamente dimostrata, molta della storia passata che conosciamo è dovuta alle memorie non scritte ma oralmente tramandate o a delle deduzioni ricavate da logiche verosimilmente veritiere. Certamente, mi rendo conto e riconosco che le mie considerazioni e le mie deduzioni potrebbero non corrispondere alla effettiva realtà.

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