Emigrazione/ I leccesi a Civita Castellana (Viterbo)

di Alfredo Romano


Qualcuno si chiederà come mai molti leccesi abbiano scelto come luogo d’emigrazione Civita Castellana e non le tradizionali città del Nord. Non si tratta, innanzitutto, di una scelta, ma del risultato di una congiuntura economica nel mercato delle braccia.

La coltivazione del tabacco

Ci fu a Civita Castellana, dal dopoguerra in poi, una forte richiesta di manodopera specializzata nella coltivazione del tabacco. Il risveglio dell’economia ceramica aveva provocato una carenza di salariati e brac­cianti. I proprietari terrieri erano per ciò costretti a ripiegare su colture estensive, per lo più seminativi e pascoli che, se da una parte non ri­chiedevano un grosso impiego di manodopera, dall’altra finivano con l’essere delle rendite parassitarie.
Il tabacco fu l’idea geniale di qualche proprietario, ma non proprio un fatto spontaneo o casuale. In realtà lo Stato, che allora deteneva il completo monopolio del tabacco, dalla pianta al prodotto finito, ne vol­le incentivare la coltivazione con una politica dei prezzi a vantaggio del tabacco prodotto nel Viterbese. Un vero e proprio premio quindi. Ed è qui che grandi e piccoli proprietari terrieri di Civita Castellana si rivolsero ai salentini, (Salento è la penisola che comprende le province di Lec­ce, Brindisi e il Basso Tarantino, differente dalla Puglia politica vera e propria per storia, lingua e costumi) che, per essere dei levantini, da an­ni e anni sono dediti alla coltivazione di qualità di tabacco slave, come l’Erzegovina e il Perustitza, e greche, come lo Xanti Jaca.

 

Caccia alla monodopera salentina

Fu così che dei caporali, anche salentini, vennero sguinzagliati nella provincia di Lecce alla caccia di manodopera. Ancora nei primi anni sessanta i caporali ricevevano un premio di 50 mila lire per ogni famiglia che riuscivano a condurre a Civita Castellana. Alle famiglie s’illustrava Civita come l’Eldorado e la cosa non era priva di interesse ovviamente.
Una ragione, in ogni modo, per emigrare a Civita c’era: Civita è ricca d’ac­qua (il Salento è arido, si sa) e quindi assicurava la produzione di una quantità di tabacco voluta. In secondo luogo, lo abbiamo già detto, lo Stato pagava meglio: ciò malgrado il tabacco del sud fosse di qualità migliore, perché, si sa, più esposto al sole.

 

Civita Castellana, 1968. Tenuta Terrano. La famiglia Romano ritratta all’alba durante la raccolta del tabacco. In piedi: la madre Lucia Giustizieri, il padre Giovanni e i figli Angelo e Aldo. Accovacciati: gli altri figli Alfredo ed Eugenio
L’immigrazione a Civita Castellana

Intere famiglie vennero così ad occupare le case coloniche sparse nei dintorni di Civita. Nella tenuta De Fenu, in località Terrano, si rea­lizzò la massima concentrazione d’immigrati con circa 45 famiglie. Ho detto case coloniche: in realtà erano alloggi malsani e squallidi, privi di servizi igienici, spesso ricavati da stalle. Col proprietario si instaurò un rapporto feudale, da servi della gleba. Il contratto (stagionale, rinnova­bile di anno in anno) obbligava tutti i componenti la famiglia a dedicarsi esclusivamente al lavoro del tabacco. Usufruire di un salario esterno poteva decretare l’annullamento del contratto stesso. Un rapporto che costrin­geva le famiglie a contrarre debiti per poter sopravvivere, sicché restava ben poco del ricavato dall’annata. Normale era l’impiego dei bambini nelle varie fasi di lavoro, costretti a una levataccia a 16 ore di lavoro al giorno come gli adulti. Erano sempre due braccia in più.
Così a Civita veniva a mettere piede una minoranza, i Leccesi appun­to, con tutti i problemi economici e sociali che il fenomeno comportava. La maggior parte di loro erano stagionali e tornavano nel sud a fine rac­colto; altri fissarono invece la residenza a Civita.

Il miraggio della ceramica e le difficoltà di integrazione

Per quest’ultimi si presentava un altro miraggio: il tabacco come par­cheggio, poi il salto nella fabbrica di ceramica. Ciò avrebbe risolto il problema non solo economico, ma soprattutto di integrazione nel tessu­to sociale di Civita. In realtà, l’essere sparsi nelle campagne, quindi con scarsi contatti tra di loro, impedì il ricostituirsi di un gruppo etnico con una sua identità culturale e il ‘ritrovarsi’ è stato sempre un fenomeno sporadico e individuale. Ciò comportò anche l’assenza di una forza con­trattuale non solo nei confronti dei padroni e dei loro contratti capestro, ma anche delle istituzioni come il Comune, i Partiti e i Sindacati, per i quali la presenza dei Leccesi venne considerata più un fenomeno di di­sturbo. I Leccesi non erano salariati puri, ma compartecipanti di un’a­zienda agricola, quindi una forza lavoro spuria e, a differenza della classe operaia, scomoda e difficile da organizzare. Tra l’altro il procurare grossi profitti ai proprietari terrieri, nella mentalità comune non era un tornaconto per l’intera comunità civitonica; era facile così associare in un ‘odio di classe’ sfruttati e sfruttatori.

Le discriminazioni

E arrivò pure il razzismo. Molti leccesi, mettendo piede a Civita, sco­prirono amaramente di essere ‘leccesi’, termine che ha assunto impropriamente un significato spregiativo e di insulto. Questo spiega il biso­gno di integrazione, ottenuta poi al prezzo di un’identità perduta, finen­do col non essere più leccesi, ma neanche civitonici. In qualche oste­ria o nel chiuso delle stanze, in ogni modo, molti conservano ancora lin­gua, usi e costumi, per il bisogno anche questo, di definirsi, di essere, e­sistere quindi.
Furono gli anni sessanta il periodo del maggior flusso migratorio. Ai leccesi vennero ad accodarsi anche i calabresi, i quali, benché ignorassero la coltivazione del tabacco, furono costretti a impararne l’arte. Un’arte, si sa, non fa­cile: si nasce a far tabacco, ci vogliono anni. Per i calabresi i primi tem­pi furono ancora più duri, e anche loro divennero ‘leccesi’, quanto a dire terroni. Come ogni minoranza che si rispetti anche i leccesi tro­varono impiego nel settore edile, nelle attività estrattive, in fabbrica co­me manovali, divenendo indispensabili in una realtà industriale come Civita Castellana, dove restavano scoperti i lavori cosiddetti più umili.

Alcuni dati statistici

Riferendoci a una statistica elaborata dalla Biblioteca Comunale di Civita Castellana nel 1975, troviamo un quadro interessante del flusso migratorio,
un flusso che finisce, tra l’altro, proprio in quegli anni. I dati si riferisco­no alle sole persone residenti. Per gli stagionali, pur in gran numero, non si sonopotuti trovare dati attendibili.
Immigrati meridionali: 994. Figli di immigrati nati a Civita 642. Salen­tini 66,6%, Calabresi 19,4%, Siciliani 7,8%, Lucani: 2,7%, altri 3,5%.
Addetti all’agricoltura 19,4%, edilizia 18,1%, ceramica 5%, cave 2,6%, commercio 2,3%, impiegati 1,6%, casalinghe 25,5%, pensionati 7,5%, studenti 5,3%, bambini 0-13 anni 4,5%, altri 8,7%.
Residenti in campagna: 40%, in città 60%.
Matrimoni misti 144, di cui immigrato-civitonica 71, immigrata-civi­tonico 73.

La nuova legge sui contratti agrari

Nel 1975 il tabacco finisce di essere monopolio di Stato, lo è solo nel prodotto finito. L’introduzione del mercato libero danneggia il tabacco di scarsa qualità prodotto a Civita e premia giustamente quello prodotto nel Salento. Qui, nel frattempo, lo sfruttamento di risorse idriche sotter­ranee con la creazione di pozzi artesiani, ha assicurato l’acqua in molte zone coi benefici che ne derivano. Ora non solo tanti leccesi sono tor­nati nel sud, ma gli stessi Salentini hanno riscoperto l’antica ‘vocazione’ del tabacco che, per i motivi su accennati, trovano ora più conveniente da coltivare. I proprietari terrieri di Civita hanno reagito tentando d’in­trodurre qualità di tabacco americane come il Burley e il Maryland, che si adattano meglio a zone umide come Civita. La cosa non ha avuto suc­cesso proprio per la mancanza di manodopera specializzata. È caduto, tra l’altro, il vecchio rapporto di lavoro basato sulla compartecipazione, il tabacco ora si può piantare solo in forma di conduzione diretta con l’impiego di salariati, oppure cedendo la terra in affitto. La legge sui pat­ti agrari ha decretato definitivamente la scomparsa della colonìa in tutte le sue forme e varianti. Non trovando più convenienza, i proprietari ter­rieri sono tornati ai seminativi e pascoli. Fatta qualche eccezione, non si coltiva più tabacco.

I leccesi nella nuova Civita

I leccesi, in ogni modo, sono rimasti e col tempo si stanno integrando ormai nel tessuto economico e sociale di Civita Castellana. Il razzismo non è del tutto scomparso, ma è solo appannaggio di gente che non sa spiegarsi la storia delle cose o non sa guardare al di là del proprio naso. Se a dei leccesi vengono assegnate delle case popolari, ci sono ancora Civitonici che si sentono defraudati. Non sanno che un uomo, qualun­que uomo, non abbandona il proprio paese per una casa popolare: ci vuole ben altro! Niente può risarcire l’essere stati strappati alle proprie radici. Ai leccesi non… piace viaggiare!
La storia dei leccesi è ormai storia di Civita Castellana, quindi storia del progresso di questa città al cui benessere essi hanno notevolmente contribuito.
E i ‘leccesi’ si chiameranno leccesi, dal suono di una terra solare, barocca, greca, dove la vite e l’ulivo hanno ancora il sapore del mito. Senza retorica.

Civita Castellana 2009. Foto di Mauro Topini

Da L’Informatore Civitonico, n. 13, dic. 1983.

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3 Commenti a Emigrazione/ I leccesi a Civita Castellana (Viterbo)

  1. […] Verso la fine del 1964 accadde che mio padre perse il lavoro e la mia famiglia venne a trovarsi in condizioni economiche per niente tranquille, sicché l’unica risorsa fu quella di emigrare. Nei primi mesi del 1965 i miei partirono per Civita Castellana, nel viterbese, per la coltivazione del tabacco (allora era sempre una risorsa). Erano gli anni in cui molti salentini emigravano colà attratti dalla stessa meta (leggi Emigrazione. I leccesi a Civita Castellana, Viterbo). […]

  2. ToriNovoli 29 giugno 2016

    Messaggio per i Pugliesi e Salentini residenti a Torino

    Grande successo per la VII° Edizione del prestigioso Premio Internazionale “Pugliesi nel Mondo”.
    La manifestazione organizzata dalla nostra Associazione, si è tenuta sabato 25 giugno scorso nel Teatro Socrate di Castellana Grotte ed è stata Patrocinata dal Ministero degli Affari Esteri, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dal Presidente della Giunta Regione Puglia, dall’Ambasciata del Canada, dall’Ambasciata d’Israele, dal Comune di Castellana Grotte, dal Ciheam, dal Politecnico di Bari, dall’Università degli Studi di Bari, dall’Università del Salento e dalla Confindustria Puglia.
    In un pomeriggio….da mare, con una buona presenza di pubblico e di rappresentanti istituzionali regionali, nazionali ed esteri, sono stati premiati ben 13 corregionali.
    La Regione Puglia era rappresentata dal Vice Presidente del Consiglio Regionale Peppino Longo e dal Consigliere del Presidente della Giunta della Regione Puglia sen. Giovanni Procacci. Inoltre, i Sottosegretari di Stato sen. Angela D’Onghia e sen. Massimo Cassano, parlamentari, Sindaci e amministratori locali di tanti comuni pugliesi, Università degli Studi di Bari e del Salento, Politecnico di Bari, Confindustria, delegazione Argentina, Ambasciatore Canada in Italia.
    La cerimonia è stata condotta egregiamente dalla giornalista di Telenorba Daniela Mazzacane e dal caporedattore TGR Puglia Attilio Romita. La Gazzetta del Mezzogiorno, partner dell’evento, ha donato a tutti i premiati, un abbonamento digitale del quotidiano più letto in Puglia. Tra gli ospiti della serata, il cabarettista barese Uccio De Santis, con l’esibizione della giovane cantante Sarita Schena e del maestro chitarrista Vito Paradiso.
    Inoltre, è stata occasione anche per donare all’imprenditore Luca Sanguedolce, una targa di benemerenza e la tessera di Socio Onorario.

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