Una filiera corta, anzi, cortissima… salentina!

di Antonio Bruno

Ci sono notizie che fanno riflettere, ci sono città che fanno meditare e Nazioni che lasciano senza fiato per comportamenti contraddittori. Mi viene in mente la città di Napoli sede di ogni bellezza e del taroccato doc, e che dire della Cina?

La Cina coltiva in modo biologico il 4,4% del riso, il 6,6% della frutta, il 16,3% del tè  è al secondo posto al mondo per superficie agricola coltivata a biologico, dopo l’Australia. E dalla Cina arrivano anche prodotti che sembrano italiani senza esserlo. Ma se c’è chi tarocca le griffe dell’abbigliamento e chi tarocca i prodotti italiani che sono davvero molto richiesti. Chi li compra pensa di accedere a prodotto biologico per il quale è disposto anche a pagare di più rispetto al prodotto della Grande Distribuzione Organizzata.
Tre le principali categorie di consumatori i 20-40enni di educazione e reddito medio alti; poi ci sono gruppi specifici come donne incinte, neonati e bambini che sono acquirenti istituzionali. Il valore della produzione bio made in China è attualmente pari a circa 700 milioni di dollari e nel 2004 il valore delle esportazioni è stato pari a 350 milioni: la metà del totale prodotto, e si stima una crescita dell’export al ritmo del 10% annuo. Nel commercio con l’estero si è verificata una netta inversione di tendenza con il crollo del valore delle importazioni di prodotti agroalimentari dalla Cina in Italia che hanno fatto segnare un calo del 21,5% proprio per la consapevolezza del taroccato che nessuno vuole e che se si viene a sapere che il prodotto cinese ha il pericolo di essere travestito da italiano ecco che le vendite calano.

Per difendersi i rappresentanti delle organizzazioni agricole al G8 Farmers al meeting di Roma si sono promessi una “carta d’identità” per il cibo.
Il vertice mondiale di tutti i leader delle maggiori organizzazioni agricole dei Paesi appartenenti al G8 per discutere di agricoltura, alimentazione, ambiente e energie alternative nel tempo della crisi, ha coinvolto qualche mese fa a Roma  gli agricoltori di Giappone, Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Inghilterra, Russia e Italia.

Siccome emerge la necessità di avere standard di sicurezza, di preservare l’ambiente e rilanciare l’agricoltura per risolvere la fame nel mondo questi signori pensano a una carta d’identità perché sono consapevoli che nessuno sa più cosa mangia, da dove viene quello che mangia, e soprattutto come viene prodotto ciò che poi diventerà carne della sua carne e carne e sangue dei nostri figli.
I prodotti agricoli riguardano un aspetto fondamentale del genere umano, come l’alimentazione, e non possono essere trattati come tutte le altre commodities. Ad esempio l’acquisto di cibo a differenza delle automobili non può essere rinviato da un anno all’altro.

Il prodotto interno lordo della Puglia è di circa 7.000 milioni di Euro e quindi se si potesse accedere alla vendita del prodotto biologico avremmo la possibilità di uno sviluppo dell’impresa agricola vera, di quella che produce e vende senza stampelle, senza elemosine, senza faccendieri e praticoni che imbrattano carte su carte, che scrivono milioni di parole inutili che nessuno leggerà mai. Parole che non danno alcuna prospettiva al settore primario come è stato dimostrato da decenni di Politica Agricola Comune data in mano alle carte anziché darla in mano ai Medici della terra.

Insomma sto scrivendo di un tipo di agricoltura che più di preoccuparsi di vendere all’estero vende senza alcuna preoccupazione al vicino di casa, al compaesano e al cittadino della stessa Provincia e al Corregionale.

Vi voglio raccontare una storia   di donne, quelle che da sempre hanno in mano il destino dell’agricoltura, perché i prodotti della terra vengono serviti al mondo che ogni donna crea, al suo maschio che le ha fatto mettere al mondo i figli che insieme a lei costituiscono il mondo che va nutrito e curato, perché non vada perso per incuria e distrazione.
Trent’anni fa in Giappone, un gruppo di donne preoccupate dall’aumento delle importazioni di cibo ed il relativo calo della popolazione impegnata in agricoltura promossero un rapporto diretto “produzione-acquisto” tra il loro gruppo e i contadini locali. Questo modello di organizzazione, in Giapponese “teikei”, si traduce con “metti la faccia del produttore sul cibo”. Questo concetto attraversò l’Europa e fu adattato alla situazione statunitense e la nominato Community Supported Agricolture (agricoltura sostenuta dalla comunità) presso la Indian Line Farm, in Massachussetts, nel 1985. A gennaio 2005 Canada e Stati Uniti contano oltre 1500 aziende afferenti al CSA.
Community Supported Agriculture (CSA) è un  termine che descrive un rapporto diretto tra azienda agricola e consumatori  che ha delle peculiarità che si possono sintetizzare con l’orgoglio di appartenere a una comunità che ha dei prodotti tipici che la caratterizzano e quindi c’è la spinta ai coltivatori a produrre alimenti per la comunità. A questo c’è da aggiungere che per ottenere tutto questo i cittadini acquistano un abbonamento che gli consente di prendere i prodotti che vengono pagato all’inizio della stagione. Questo da diritto agli abbonati di ricevere settimanalmente i prodotti previsti dall’abbonamento.
Questo meccanismo di marketing continua  a crescere in popolarità, soprattutto tra i consumatori benestanti intorno ai centri urbani.

Con questo modello, i consumatori del Salento leccese acquisterebbero direttamente dagli agricoltori della nostra zona, avrebbero la certezza che il cibo proviene da una terra madre che è rispettata e nutrita dal coltivatore seguito dal Dottore Agronomo o dal Dottore Forestale sotto la direzione scientifica dell’Università. I consumatori dovrebbero pagare in anticipo per una quota del raccolto della stagione. Questo contribuirebbe a coprire i costi di produzione e garantirebbe un mercato stabile, aiutando gli agricoltori più piccoli a rimanere in attività.

Ci sono alcuni esempi in USA che hanno come consulenti scientifici i professori dell’Università come ad esempio la Johns Hopkins Center per un futuro vivibile che ha avviato il primo progetto CSA alla Johns Hopkins University nel 2007. Questo progetto fornisce a docenti, studenti e personale prodotti freschi e certificati biologici dal Maryland One Straw Farm.
Il progetto ha avuto un buon successo e ci sono state 150 adesioni nel 2009, mette in gioco anche temi quali la sicurezza alimentare nella comunità circostante Baltimora, e promuove le pratiche agricole che tutelano la salute pubblica attraverso la protezione, promozione e tutela dell’ambiente che è al 99% paesaggio rurale.

Leggi attentamente, dico a te, prova a immaginare di avere nel Salento leccese, a pochi passi da casa tua, la produzione certificata dai Dottori Agronomi e dai Dottori Forestali sotto la direzione scientifica dell’Università e questa produzione sana, saporita, genuina sia costituita di Fragole, zucchine, cetrioli, melanzane, zucca, aglio, lattuga, cipollotti, ravanelli, barbabietole, patate, patate dolci, carote insieme a tanto, tanto altro. L’Eden, il paradiso terrestre, la terra promessa da cui sgorgano fiumi di latte e miele, alberi che producono frutta gustosa piena di sapori e di odori ineguagliabili, colori che splendono nella campagna del Salento leccese che produce il cibo per te e i tuoi figli, delizie per il palato che tu puoi andare a vedere in ogni istante andandoci a passare qualche ora oppure collegandoti con internet perché il pomodoro che mangerai, lo puoi vedere crescere da casa tua, dal tuo schermo collegato in diretta alla Web Cam del produttore che hai prepagato e potrai chiedere ogni chiarimento al Medico della Terra che segue con amore e competenza il campo che produrrà il cibo per la tua famiglia.

Riporto l’esempio di un prepagato di  24 settimane (circa sei mesi) che dà diritto ad avere  prodotti biologici freschi consegnati a casa e a disposizione di tutti i docenti, del personale e degli studenti della Johns Hopkins. L’iscrizione doveva avvenire prima del 9 marzo del 2010. Tale iscrizione nella Stagione 2010 parte dall’ 8 giugno e finisce il 16 novembre (24 settimane) il ritiro della cassetta è ogni  martedì dalle ore 15 e 30 alle 16 e 30 in un garage di un componente della Comunità. Prima al 9 marzo, una ripartizione dei costi completo 490 dollari che corrispondono a 366 Euro (20,42 dollari a settimana) Dopo il 9 marzo, una quota totale dei costi 550 dollari (22,92 dollari a settimana che corrispondono a 15 Euro a settimana).
Il prezzo di una quota, divisa in 24 settimane, è molto ragionevole, soprattutto rispetto ai costi del  cibo al supermercato.

Ma vediamo che cosa è incluso in una quota settimanale CSA:
i soci ricevono otto varietà di prodotti biologici tutte le settimane. Come esempio la cassetta di una settimana potrebbero essere: 1 mazzetto di foglie di lattuga, 1 cestino di un chilo di pomodori, 1 melanzana grande, 3 cetrioli, 3 peperoni, 2 mazzi di cavolo, 1 cestino di patate e 1 chilo  di cocomero intero.
Anche se gli elementi variano con la stagione e le condizioni di crescita, i membri in genere si aspettano un flusso costante di verdure a foglia verde come spinaci, lattuga, bietole e cavoli  in aggiunta alle raccolte stagionali di frutta, cetrioli, pomodori, mais, zucchine, zucca, erbe, patate dolci e meloni, solo per citarne alcuni.
Come ci si iscrive?
Ci si iscrive e si paga on-line utilizzando un assegno o carta di credito.
I membri a volte dividono la cassetta con qualcuno ovvero si compra una quota di 366 Euro ma la si divide con un vicino di casa e quindi la settimana si pagherebbero appena 7,50 Euro.

A differenza di molti produttori di grandi catene di negozi che forniscono a migliaia di chilometri di distanza, gli agricoltori locali possono coltivare varietà selezionate per il sapore e non per la loro capacità di resistere ai parassiti e per la gran quantità di produzione. Le aziende agricole sono biologiche e grazie alla consulenza dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali c’è la protezione dell’ambiente poiché i Medici della Terra fanno in modo che l’azienda adotti pratiche che impediscono il deflusso di sostanze inquinanti, di proteggere la qualità delle acque, la conservazione del soprassuolo, e attraverso i suggerimenti da parte del Medico della Terra della varietà da coltivare si promuove la biodiversità e si agisce in modo da ridurre le emissioni di gas serra.

Chiedo a chi mi legge di aderire a un progetto che ha lo scopo di aumentare la consapevolezza di essere in grado di avere più opzioni per creare o accedere al cibo locale. Queste opzioni possono contribuire alla costruzione di comunità. Abbiamo visto il caso di una iniziativa sorta  per soddisfare le esigenze specifiche di una comunità attraverso l’accesso a una distribuzione locale degli alimenti e  di produttori di generi alimentari che vendono parti del loro raccolti ai membri della  comunità. Ora non dobbiamo far altro che costruire la prima Comunità nel Salento leccese e poi tutto verrà di conseguenza.

Bibliografia
Bollettino italiano dell’Associazione per l’agricoltura biologica
Marinella Correggia: Filiera corta, anzi, cortissima
University of Kentucky College of Agriculture New Crop: Opportunities Center Community Supported Agriculture (CSA)
Ryan Light, Graduate Assistant with Heather McIlvaine-Newsad, PhD, Research Fellow and Associate Professor of Anthropology and Erin Orwig, Technical Assistant:  Illinois Directory of Community Supported Agriculture (CSA)

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