L’uomo dell’orzo

di Antonio Bruno

Antonio Michele Stanca quando parla dell’orzo si illumina: “è la pianta a cui ho dedicato 50 anni dei miei Studi” riferisce queste parole ad una platea formata soprattutto da giovanissimi adolescenti nella Giornata di studio che si è tenuta a Maglie. Lui mentre parla non fa come la maggior parte degli “illustri” oratori, il professore Stanca non si concentra sulle slide della presentazione.

Lui, quest’uomo buono della Città del Sole del Salento leccese, osserva le persone che ha davanti, percepisce le reazioni alle sue parole, è in un atteggiamento dialogante, con gli occhi, con il corpo e con l’anima. Dove si inserisce l’orzo? Cita un uomo, Johan Gregor Mendel che spiegò in forma matematica la ricombinazione genetica. Tu hai una pianta di orzo alta con la spiga grande e la fai incrociare con una pianta bassa che ha spiga piccola, erano linee pure, e queste ci sono solo nel mondo vegetale noi umani non siamo mai e mai saremo (grazie a Dio) linee pure http://159.149.74.38/webpage/Mendel%202.pdf .

Bene Johan Gregor Mendel vide che c’erano tra i semi nati alcuni che davano piante basse con spiga grande e si diede una spiegazione affermando che evidentemente c’erano dei corpuscoli che passavano da un organismo all’altro.

Non la fa lunga il Professore Antonio Michele Stanca e ci narra subito del codice genetico dell’uomo, ci ricorda che i geni sono stati tutti mappati, c’è ora, qui, una mappa che rappresenta la disposizione di tutti i geni dell’uomo. Ci dice della scoperta del microorganismo artificiale, del cromosoma fatto in laboratorio, ma poi, come una farfalla, vola via da quell’argomento insidioso e plana su una radura in cui si nutrono e si moltiplicano 220.000 specie vegetali: è il nostro pianeta, la terra madre.

Di tutto questo ben di Dio, ci racconta il Prof. Antonio Michele Stanca, solo 5.000 piante sono usate dall’uomo e di queste soltanto 1.500 sono state addomesticate, ma non basta! Di queste ultime solo 150 si coltivano. Ma il Professore Stanca senza stancarsi e andando ancora più a fondo con il bisturi dell’osservazione e con l’ausilio dei dati, ci dice che delle 150 piante coltivate 5 di queste e specificamente il riso, il grano, il mais, l’orzo e la patata rappresentano le piante che nutrono le donne e gli uomini di questo pianeta. Il grano! Ci rivela che del frumento prodotto in Italia solo il 10% è frumento duro, il resto è frumento tenero e, siccome la pasta di grano duro si mangia solo in Italia, anche in Spagna si produce in maggioranza grano tenero perché gli spagnoli, la pasta, la fanno con il grano tenero!

Poi arrivò il Dottore Agronomo Nazareno Strampelli http://www.ecologiapolitica.it/liberazione/200205/articoli/memoria.pdf che incrociò la varietà Olandese Wilhelminaper con la varietà Giapponese Akagomughi per ottenere il Prodotto Tipico Italiano! Capite? il Dottore Agronomo Nazareno Strampelli ha fatto un prodotto tipico italiano con varietà estranee all’Italia ecco perché il Prof. Antonio Michele Stanca afferma che prima vanno fatti i prodotti tipici e poi noi Dottori Agronomi dobbiamo dimostrare e spiegare il perché quel tal prodotto è tipico!

Come dici? Che se è un prodotto del Comune di San Cesario di Lecce ecco che allora è tipico? Il Prof. Antonio Michele Stanca non è d’accordo con te! E lo sai perché? Perché se quel prodotto che noi definiamo tipico non ha certe caratteristiche ecco che allora tipico non è!

Poi ci racconta degli anni 70 quando dal Messico arrivarono i frumenti nani e della circostanza che prima di Strampelli in Italia mediamente una donna o un uomo ingeriva 1.050 calorie al giorno e che dopo Strampelli le calorie che assume un Italiano in un giorno sono diventate 3.000.
E l’orzo? E’ una pianta diploide che significa che se tu, si dico a te che stai leggendo, fai una domanda all’orzo lui (l’orzo) ti risponde subito! E questa prontezza nel rispondere ha fatto dell’orzo una pianta modello. Ma come sanno bene le donne di spettacolo, il successo non è eterno, e così è stato anche per l’orzo, che ha dovuto cedere il passo alla Arabidopsis thaliana della famiglia delle rape che ha un genoma sequenziato.

La Arabidopsis thaliana è la scienza del settore vegetale perché in 60 giorni ti dice che cosa sta facendo un gene nella pianta. La scelta di Arabidopsis come organismo modello per la genetica e la biologia molecolare e cellulare delle piante ha diverse ragioni. Le dimensioni relativamente contenute del suo genoma (circa 125 milioni di paia di nucleotidi, in soli cinque cromosomi) l’hanno resa una pianta ideale per la creazione di mappe genetiche e per il sequenziamento del genoma, il primo ad essere stato completato, nel 2000, nel regno vegetale. Da allora il punto focale della ricerca è diventato scoprire qual è la funzione di ognuno dei circa 29 mila geni contenuti.

Poi il Prof. Antonio Michele Stanca passa al racconto del Neolitico, ci mette in una macchina del tempo e ci catapulta a 9.000 anni fa, quando cominciò l’importazione e quando tutto, era di importazione. Nella Mezzaluna fertile c’erano le donne e gli uomini che avevano avuto prima di andare va vivere in quel territorio la necessità di 16 chilometri quadrati, perché tanto era il territorio che serviva alla donne per raccogliere e agli uomini per cacciare. Poi, invece, nella mezzaluna fertile cominciano ad avere una prima possibilità, quella dell’orzo. Si ferma un attimo il Prof. Antonio Michele Stanca e ci racconta della ricerca di Luigi Luca Cavalli-Sforza che aveva visto i nuraghi in Sardegna e i furnieddhi nel Salento e ha provato a dimostrare che tutte e due le popolazioni fossero di origine fenicia. Invece no!

Il Salento leccese è terra di passaggio e nel Neolitico questo passaggio aveva anche una velocità! La cultura orale viaggiava alla velocità di 500 metri all’anno ma la pratica vera invece, era più lenta, e viaggiava a un chilometro l’anno!

A quelle velocità, 7.000 anni prima di Cristo, arrivò nel Salento leccese l’orzo (Hordeum Vulgare) e sempre a quelle velocità l’orzo viaggiò attraversando tutta la penisola italiana e si diffuse nell’intera Europa.
Una donna, forse bellissima, secondo il Prof. Antonio Michele Stanca, trovò un rachide di orzo che non era come tutti gli altri. Lei sapeva che se il giorno dopo ci fosse stato un vento forte, non avrebbe più trovato l’orzo perché il rachide è fragile e i semi si disperdono per terra. Invece quel giorno, quella donna bellissima trovo un rachide che era robusto, non faceva disarticolare il seme. Il Prof. Antonio Michele Stanca ci narra delle riunioni che quella donna fece nel villaggio, ci fa vivere le discussioni, tutte incentrate sul dilemma se dovessero continuare a coltivare le varietà a rachide fragile oppure se fosse il caso di incominciare a seminare quest’orzo a rachide non fragile. E poi dopo la suspence ecco la rivelazione liberatoria e il Professore ci dice che vinse il nuovo!

E il progresso continuò a fare altri passi come quello della raccolta con il falcetto di selce. Sapete cosa significa l’introduzione di questo “potente” mezzo? Riuscire a raccogliere 20 piante ogni volta. Il falcetto di selce è stato un grandissimo progresso tecnologico.
Non so se il mio report è riuscito a trasmettervi le informazioni che mio sono giunte attraverso la capacità narrativa di questo Magister, di quest’uomo partito dalla penisola salentina immersa nel grande lago salato con destinazione il Globo. Il Prof. Antonio Michele Stanca a Maglie il 29 maggio, mi ha emozionato e se io sono riuscito a trasmettere, anche solo un piccolo frammento di questo suo amore per la vita, per la terra e per le persone, allora domani tornate qui, perché la storia dell’orzo che non STANCA non è ancora finita.

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Un commento a L’uomo dell’orzo

  1. Scopro per caso e con notevole ritardo questo piacevole scritto e me ne compiaccio. Nello scorso mese di Luglio ho avuto l’opportunità di vedere “da lontano” e di ascoltare un vivace ed appassionato intervento del Prof.A. M. Stanca, su l’argomento..orzo! Era in occasione del Premio Vrani, che annualmente, a Borgagne, viene assegnato a Salentini operosi e geniali. L’edizione 2012 ha visto il Prof. Stanca fra i premiati ed io ho vissuto una delle serate estive più interessanti. Ritrovo nell’articolo le ragioni argomentative e le caratteristiche comunicative che avevano reso brillante la serata dei premi.

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