La nobiltà gallipolina nel Settecento

di Luigi Giungato

La vita pubblica di Gallipoli è stata contrassegnata, nel corso dei secoli, forse sin dal XV, dal predominio esercitato dal ceto della nobiltà, vera o presunta, appannaggio di poche famiglie che hanno gestito tutte le vicende politico-amministrative.

Nella seconda metà del XVIII secolo, quando le nuove dottrine politiche cominciarono a diffondere in Europa gli importanti principi della libertà e dell‘eguaglianza, tutti i livori di casta che col tempo si erano sedimentati avevano creato un dualismo municipale che, distruggendo ogni armonia fra i cittadini, determinarono le prevedibili vendette personali e le forti tensioni sociali tra i componenti dei diversi ceti.

Sino a quegli anni un ristretto gruppo di persone appartenenti al primo ceto, quello dei nobili, aveva sempre preteso di gestire il Parlamento cittadino riservandosi il diritto di nominare il sindaco e di esercitare le prime cariche municipali della città.

La comunità gallipolina viveva un periodo di grande sviluppo economico incentrato sul ruolo che significativamente svolgeva la categoria dei negozianti, in perenne dissidio con i nobili, costretta a subire il loro pesante giogo aristocratico, non sancito da alcuna legge ma basato solo su di una consuetudine antica e forse anche immorale.

I tempi erano ormai maturi per una svolta decisiva che consentisse ai tre ceti della città di partecipare in maniera egualitaria alla composizione del Parlamento cittadino ed alla conseguente designazione dei decurioni.

Il sistema di elezione del sindaco e delle principali cariche municipali, dal XV al XVIII secolo, era rimasto pressochè invariato, a parte il numero dei membri dell’Assemblea municipale passati dagli ottanta , cosi detti perché scelti dalle ottine nelle quali erano divisi i cittadini, ai sessanta rappresentanti delle tre categorie.

Il regio Governatore, secondo un rito solenne che si tramandava da secoli, riceveva dal decurione eligente , che era il più vecchio, un pubblico giuramento che sarebbe stata eletta alla carica di sindaco una  persona nobile, facoltosa, e timorata di Dio.

Le armi gentilizie dell’eletto venivano poi dipinte, seguendo un ordine cronologico, nella grande sala del Parlamento, con la descrizione del nome dell’eletto. La serie degli stemmi iniziava dall’anno 1484 e quando nel 1691 fu rifatta la sala del Parlamento, nel palazzo dell’Università, come ricorda una deliberazione, furono ridipinti tutti nello stesso modo, senza la corona come pretendevano alcune famiglie, con il semplice scudo, come le imprese dipinte nel Sedile di Nido.

Nel 1771 la regia Corte, su ordine della Real Casa, compilò l’elenco delle famiglie del primo Ceto della città di Gallipoli; noi lo abbiamo ricavato dal libro:

Sommario di ragioni del Primo Ceto dei Nobili Patrizi della Città di Gallipoli che la nobiltà gallipolina aveva inviato alla Real Camera di S. Chiara, in risposta al ricorso che Rocco Piccioli, barone del feudo di Sant’Angelo della Macchia, benestante, feudatario e nobile vivente, aveva presentato al re al fine di poter esercitare il decurionato del primo ceto senza ricorrere al requisito dell’avo e del padre, ma esaminando le qualità ed i requisiti personali.

Le famiglie gallipoline che appartenevano al primo ceto dei Nobili erano: Acugna, Aragona, Aprile, Balsamo del Barone, Balsamo di don Francesco, Briganti, Castrista, Castiglione, Coppola di don Nicola, Coppola di don Filippo, Dixistracca, Frisulli, Grumosi, Muzi, Mazzuci, Munitttola, Micetti, Martina, Margotta, Ospina, Perelli, Patitari, Pantaleo, Papatodero, Bizzarro, Rocci di don Giuseppe, Rocci di don Carlo, Raimondi di don Pasquale, Serafini del Barone, Serafini di don Angelo, Sergio, Stisi, Tafuri, Tomasi, Tricarico, Vanaleste, Valentini, Zacheo di don Giuseppe.

La loro nobiltà derivava da varie circostanze come il possedimento di feudi, la discendenza da famiglie nobili europee, l’essere eredi di personalità di alto rango militare o di alti magistrati.

Tra di loro veniva scelto il sindaco, quattro grassieri, il catapano, due razionali, un cassiere e gli ufficiali preposti ai principali uffici comunali.

Il 29 aprile dell’anno 1758 il re emanò il parere proposto dalla Real Camera di S. Chiara con cui si definì il sistema di composizione del Parlamento, abolendo il privilegio delle poche famiglie che per anni avevano esercitato tanti abusi e dispotismi, perché non vi era mai stata in città formale separazione o piazza aperta di Nobiltà, anche se si affermava che vi fossero delle famiglie qualificate per qualche decorazione.

Il re comandò:

che per l’avvenire si dovessero eligere 60 Decurioni rappresentanti il Publico di Gallipoli nel Parlamento, i quali dovessero durare per anni sei, da scegliersi da tre ceti, cioè venti del Ceto dei Dottori di Legge, Medicina e Notari, e da coloro che vivono di proprie rendite; venti del ceto de’ Mercatanti, e gli altri venti del rimanente Popolo, da quali sassanta Decurioni avesse dovuto farsi l’elezione del Sindico, e degli altri Ufficiali: con dichiarazione speciale, che la stessa potesse cadere tanto sull’Individui componenti il numero de Decurioni quanto in tutti gli altri Cittadini, che erano fuori di tal numero, riguardandosi soltanto il merito, e la qualità delle persone da eleggersi.

Questa decisione regale non incontrò l’approvazione del primo Ceto dei Nobili che fecero pervenire nelle mani del sovrano le loro più alte doglianze contro la Real Camera perchè, nella formulazione del nuovo sistema elettivo del Parlamento cittadino e per la nomina del sindaco, non aveva tenuto conto del fatto che:

nella città di Gallipoli esistevano delle  ‘Famiglie Nobili Generose’ e che sempre vi era stata distinzione tra Nobili e Civili: e quindi domandavano che i venti Decurioni del primo ceto dovessero eleggersi da soli Patrizii, con formarsi il secondo Ceto da Civili.

Il ricorso dei nobili ottenne il risultato che la decisione regale fu rinviata di altri sette anni ed il 9 marzo dell’anno 1765 il sovrano, modificando il precedente proclama, stabilì che:  il numero dei Decurioni da sessanta si fusse ridotto a soli quarantacinque, da sceglierne quindici per ciaschedun Ceto e che tra quelli del primo ceto s’intendevano anche compresi li Dottori di Legge, e li Benestanti che vivono d’entrate dei loro effetti. Che nel secondo Ceto giacchè il numero dei Negozianti era troppo scarso dovessero andare inclusi li Medici, Chirurgi, Notai e Giudici a contratti. Che nel terzo Ceto, che doveva essere composto del rimanente Popolo, oltre agli Arteggiani vi dovessero avere luogo li Padroni dei Bastimenti, in esclusione dei Bassi ed infimi marinari.  

Nella società gallipolina, comunque, non si riuscì a definire un’identità ben visibile e si visse in un contesto molto frastagliato fatto di appartenenti al primo ceto dei Nobili che per mantenere uno status adeguato alle proprie caratteristiche dovette intraprendere attività commerciali, e di appartenenti al ceto dei Negozianti che, per l’eccezionale sviluppo economico e la gran disponibilità di risorse, aspirava ad acquisire ruoli e prebende che sino ad allora erano state appannaggio esclusivo della nobiltà.

Tutto questo determinò uno scontro che confuse ed esasperò la realtà politica e di conseguenza lo spazio sociale ne risentì pesantemente.

La mancanza di solidarietà nella realtà locale, con l’insorgere di lotte, sarà fonte perenne di disturbi nelle funzioni pubbliche, di contrasti e di odi tra i poveri contro i ricchi ed i nobili contro i borghesi.

Le possibilità di creare sviluppo economico risulteranno molto esigue e sarà sempre più difficile il passaggio da una società fondata sui privilegi verso un modello di vita basato sulla logica dei diritti.

Questa era la configurazione della città nel secolo XVIII ,entro le storiche mura, in un periodo di grande espansione dei traffici commerciali, che facevano presagire, però, l’incipiente declino che si vivrà  agli inizi del XIX secolo.

l’articolo è stato pubblicato su Spicilegia Sallentina n°2

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