Il mistero dei segni: divagazioni in margine a una svista

di Giuliano Giunchi

Devo la lettura de “Il mistero dei segni” alla gentilezza di uno degli autori, il Dottor Marcello Gaballo, che mi ha fatto omaggio di una copia. È un libro affascinante, veramente ammirevole sia per i contenuti che per la veste grafica, e anche per l’accuratezza dato che non vi ho trovato neanche un errore di stampa. (Da quando, a 15 anni, ho guadagnato i miei primi soldi correggendo le bozze di un testo del mio professore di chimica, il mio cervello si è scisso in due, per cui mentre una parte segue il contenuto di quello che leggo l’altra va a caccia di refusi. Quindi se dico che non ho trovato refusi, al 99% vuol dire che non ce ne sono). È chiaro che su una base di così uniforme nitore e perfezione un eventuale errore spiccherebbe come il virgiliano cipresso sopra i molli viburni o, per dirla più alla buona, come una giraffa in mezzo a un campo di cocomeri.

Nardò, cattedrale, altare delle anime, particolare (ph R. Puce)

 

E in effetti nella seconda parte del libro, dedicata all’altare delle Anime del Duomo di Nardò, a pag. 101, seconda colonna, spicca: “p) La Madonna del Rosario reca in braccio Gesù Bambino, mentre con la mano sinistra sgrana una corona del rosario. La replica di un’immagine della Vergine, presente esattamente al lato opposto, potrebbe apparire un inutile doppione.” Quel “sinistra” chiaramente non è un errore di stampa, ma una svista sulla cui origine psicologica si può avanzare una plausibile ipotesi.

Chiudete gli occhi e immaginate di essere, voi, una Vergine del Rosario. A meno che non siate irrimediabilmente mancini è probabile che, dentro la vostra testa, sosteniate il peso maggiore (il Bambino) con la man forte (la destra) lasciando alla sinistra il trascurabile peso della coroncina. Ma nella realtà, nell’Altare delle Anime, la Madonna del Rosario è scolpita esattamente al contrario di come è stata rielaborata (da voi e probabilmente dall’autore del libro).

altare delle anime, particolare (ph R. Puce)

 

A che cosa dobbiamo questo inusuale mancinismo della Vergine? Lo dobbiamo al fatto che essa non è un doppione, ma un immagine simmetrica dell’altra Madonna che le sta affiancata.

La Madonna del Carmelo, infatti, sorregge il Bambino con la destra, mentre lo scapolare nella sua sinistra fa da pendant al rosario nella destra dell’altra. Oggi, vedi i progetti per l’Expo 2015 di Milano, pensano di costruire un grattacielo talmente sbilenco da sembrare un ubriaco in cerca di un lampione su cui appoggiare la fronte; ma una volta, nell’architettura classica, la ricerca della simmetria era, se non un obbligo, almeno la norma. Non ci meraviglieremo quindi se nell’Altare delle Anime troveremo altre corrispondenze iconografiche. In effetti alla base degli intercolumni abbiamo: a sinistra (di chi guarda) il Digiuno che sostiene il pesce e il cartiglio con la destra, e a destra la Virtù che ostenta il libro con la sinistra.

Anche le due sante, Agnese e Brigida, si corrispondono ma il loro braccio più alzato è invertito rispetto alle figure sia sopra che sottostanti. Questa inversione di simmetria crea un particolare effetto ottico che proverò a visualizzare. Se schematizziamo ogni personaggio con la diagonale che unisce la mano più sollevata col piede del fianco opposto abbiamo queste due sequenze: Carmelo / Rosario S.Agnese / S.Brigida Digiuno / Virtù

Nardò, altare delle anime di P. Buffelli (ph R. Puce)

 

Partendo dal basso l’occhio percorre due sinusoidi simmetriche, che già di per sé sono curve “mobili”, ma la cui dinamicità viene rinforzata, nel punto centrale, dalla torsione del busto delle due sante. Inutile dire che questa geometria prima preannuncia e poi accompagna l’analogo profilo delle colonne spiraliformi. La simmetria rilevata negli intercolumni raggiunge il massimo grado nella cimasa, dove i due angeli sono, non simmetrici, ma perfettamente speculari. La sinuosità è invece affidata alla torsione del busto di San Patrizio, sottolineata dalla curvatura ascendente delle pieghe dell’abito e, mi permetto di ipotizzare, rinforzata da un elemento extraiconico di carattere culturale.

A sentir parlare certi ragazzi d’oggi sembra che il massimo parto del genio umano siano le funzioni dei tasti dell’iPhone, l’ultimo tele-video-polifonino messo in commercio. Quando ero bambino io si volava più bassi e, come esempio proverbiale dell’ingegnosità umana, veniva portato il pozzo di San Patrizio (quello reale di Orvieto, non quello mitico irlandese). Le due gallerie che permettono la discesa al fondo del pozzo e la successiva risalita (il che, sia detto incidentalmente, rappresenta un bel simbolo di morte e risurrezione) sono due spirali che si intrecciano senza mai toccarsi.

Questa struttura a doppia elica era ben nota anche negli strati meno acculturati della popolazione, e a maggior ragione doveva esserlo ai tempi del Buffelli, a poco più di cent’anni dalla realizzazione dell’opera (il pozzo di San Patrizio, progettato da Antonio da Sangallo il Giovane nel 1527, fu completato nel 1537).

Il motivo della spirale a doppia elica è ben precedente al pozzo di San Patrizio. Basta pensare ai serpenti intrecciati del caducéo che era, ed è tuttora, simbolo della medicina, e quindi di vita. Ma il caducéo era anche uno degli attributi di Ermete Psicopompo che nella sua veste di, appunto, Conduttore delle Anime figurerebbe benissimo al posto di San Patrizio in un ipotetico controaltare pagano di quello, cristiano, di cui stiamo parlando.

Va notato che il significato spirituale e, come dire, salvifico del caducéo nasce dal simbolismo del serpente. La tradizione giudaico-cristiana, con la Genesi biblica, ha assegnato al povero serpente un ruolo negativo, diabolico; ma in tutte le antiche religioni, a partire da quella egizia, il serpente è sempre stato simbolo di vita spirituale e ultraterrena. Ciò naturalmente a causa del fenomeno della muta, che si presta ad essere interpretata come un’allegoria perfetta della rigenerazione e della rinascita.

Naturalmente al serpente sono inestricabilmente associate le spire, e quindi troviamo la sinusoide sia nelle rappresentazioni iconiche che nella scrittura (sto pensando al geroglifico detto “della corda intrecciata”, convenzionalmente trascritto come h.). Un discorso a parte meriterebbe il tantrismo, il movimento filosofico-religioso sviluppatosi in India fra il I secolo a.C. e il V d.C.. Secondo i tantristi l’anima, situata nella cavità addominale, è Kundalini, letteralmente “la spiralizzante”. Nel corpo umano, inoltre, le energie vitali scorrono lungo tre canali: uno, centrale e verticale, è Susumna “il molto benigno” che raggiunge la sommità del capo, e due laterali e arcuati, Pingala “l’aureo” e Ida “la vivente” che sfociano nelle narici.

E con questa struttura, un asse verticale attorno a cui si sviluppano due anse, torniamo alla geometria del caducéo. Il fatto che la spirale a doppia elica fosse associata alla vita millenni prima di Crick e Watson potrebbe far pensare ad una scienza antichissima e occulta, in parte perduta e in parte trasmessa all’interno di circoli esoterici più o meno segreti.

Questa è in effetti la tesi dei teosofi moderni, da Madame Blavatsky a René Guénon a Jacques Bergier. Personalmente credo che sia più semplice, e quindi verosimile, pensare che l’osservazione di certi fenomeni naturali abbia indotto una sorta di imprinting già nei nostri primi progenitori capaci di astrazione, e quindi di simbolizzazione, creando un collegamento tra spirale verticale e senso di elevazione. I turbini, dai piccoli mulinelli alle disastrose trombe d’aria, sollevano la materia con un moto a spirale. Alle volute di fumo che si avviluppavano sopra i fuochi sacri fu affidato il collegamento tra l’uomo e la (le) divinità.

Io stesso, pur essendo ormai un vecchio imbolsito e pochissimo incline a entusiasmarsi per checchessia, provo un senso come di sospensione e di infantile stupefazione quando vedo un grande volatore che, con le ali distese e perfettamente immobili, si avvita a spirale verso il cielo facendosi trascinare da una corrente ascensionale calda. Il Barocco ha recuperato questo simbolismo facendo delle colonne tortili uno dei punti di forza della sua architettura religiosa.

Placido Buffelli, affiancando alle colonne una sapiente e accuratissima scenografia, ha simbolizzato plasticamente quell’ascesi dal Purgatorio al Paradiso che è il destino ultimo, desiderato e certo, delle Anime a cui è dedicato l’Altare.

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°5

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2 Commenti a Il mistero dei segni: divagazioni in margine a una svista

  1. A margine della pur dettagliata e colta descrizione dell’altare delle anime, dei due autori, nella cattedrale di Nardò (secondo a sinistra dall’ingresso principale), occorrerebbe ampliare il discorso e coinvolgere anche l’ipotesi che legge, nell’impostazione strutturale, proprio di quell’altare, per conformazione ‘a taglio verticale’ relativo al posizionamento della concavità netta decisa fra le colonne tortili, una sezione stratigrafica e scolpita del leggendario ‘pozzo irlandese di san Patrizio’. Il pastorale mancante nella mano del santo irlandese o il trifoglio che appare intero, alla cintola del primo angelo (a sinistra accanto al santo sulla cimasa) e diviso in tre nel secondo (a destra), esattamente come il complesso concetto della Trinità che il santo amava spiegare con il semplice esempio del trifoglio, che sappiamo essere uno tra i simboli dell’Irlanda. Quindi sono evidenti i particolari della vita e gli strumenti dell’evangelizzazione di san Patrizio nella sua fase di risimbolizzazione degli attributi, in terra celtica. Poi, la leggibilità dell’intero apparato, lasciata alla sola luce radente naturale, indica l’incavo verticale come unico vettore (pozzo) moralizzante e ascensionale via di fuga e speranza di elevarsi dopo i livelli fitti e cesellati dell’espiazione secondo i precetti della cristianità. In particolare nel caso della “formella” che rappresenta Santa Martina d’Antiochia che col segno di croce scaccia l ‘maligno’ (nello spazio tra le colonne interne del contrafforte colonnato di destra), si legge la sintesi mimetica e patetica nei gesti e nei volti delle anime del Purgatorio nella forma del ‘pathosformeln’ (formula del Pathos). Anche l’alto valore significante del panneggio svolazzante attinente alla semantica del movimento interiore, esteriorizzato che la storia già conosce come “äußerlich bewegtes Beiwerk” (apparato in movimento esteriore) con l’incredibile ‘ovale’ descritto dal mantello di Santa Martina d’Antiochia (differente per plasticità e postura dalle altre sculture di santi, con pose ‘statiche’). Si conferma così l’alto livello scultoreo, del cantiere di Placido Buffelli, ma proprio con Santa Martina d’Antiochia, anche l’aggiornato ri-uso di quel movimento patetico proprio, di menadi e ninfe pagane, che caratterizzò l’iconografia di figure femminili bibliche, diventate il riferimento ‘colto’ di un linguaggio all’antica, come sosteneva l’Alberti trattando il ‘pathos’ greco-ellenico. Convince sempre più l’ipotesi della presenza di trattati, bozzetti o disegni, che arrivavano dall’importante e ‘dotta’ cultura del tempo. L’altare, ritengo, non può chiamarsi genericamente “delle anime purganti” o “del Purgatorio”, ma è attinente soprattutto e in particolar modo, all’evento del santo irlandese, quindi il nome è altare “del pozzo di san Patrizio” o “del Purgatorio di san Patrizio”.

    Paolo Marzano

    http://culturasalentina.wordpress.com/2013/09/30/il-salento-delle-citta-apparate-lirlandese-pozzo-di-san-patrizio-a-nardo/

  2. MEMORIA E STORIA: DALL’IRLANDA DI SAN PATRIZIO, AL “POZZO DI SAN PATRIZIO” DI ORVIETO, AL “POZZO DEL PURGATORIO DI SAN PATRIZIO” DEL DUOMO DI NARDO’…

    RICHIAMANDO ancora la suggestiva analisi di Paolo Marzano del “pozzo di San Patrizio, a Nardò” (http://culturasalentina.wordpress.com/2013/09/30/il-salento-delle-citta-apparate-lirlandese-pozzo-di-san-patrizio-a-nardo/), alla luce anche del precedente e prezioso lavoro di Giuliano Giunchi sopra “il mistero dei segni” (vedi: sopra – https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/03/12/il-mistero-dei-segni-divagazioni-in-margine-a-una-svista/), forse, potrebbe essere UTILE – per illuminare meglio il percorso culturale e artistico delle idee che hanno portato alla realizzazione del “misterioso” altare nel Duomo di Nardò – RICORDARE che “il pozzo di San Patrizio (quello reale di Orvieto, non quello mitico irlandese)”, progettato da Antonio da Sangallo il Giovane nel 1527 (e completato nel 1537), è segnato dalle “memorie” del rinascimento romano (la scoperta del “Lacoonte” e la visione profetico-sibillina registrata nella Volta della Cappella Sistina da Michelangelo), E CHE TALI “memorie” segnano ancora con forza anche la produzione artistico-religiosa dell’area di Nardò e di Copertino alla fine del Cinquecento e ai primi anni del Seicento (https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/24/santa-maria-casole-copertino-le-sue-sibille/). O no?!

    Federico La Sala

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